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Yoani Sánchez. Cuba vota un Parlamento senza opposizione
(foto Alejandro Ernesto, EFE)
(foto Alejandro Ernesto, EFE) 
05 Febbraio 2013
 

Questa domenica, a Cuba, all’esterno dei collegi elettorali, si potevano vedere esposte foto e biografie. La giornata è trascorsa senza sorprese e non sono serviti sondaggi. Infatti, gli elettori non dovevano scegliere tra diversi candidati, ma solo ratificare una lista di nominativi proposti. Si dovevano votare 612 candidati per l’Assemblea Nazionale, identico numero di deputati che compongono il massimo organismo del Potere Popolare.

Il Parlamento che sarà eletto non avrà un solo oppositore, a meno che qualcuno dei nomi proposti non porti la sua non conformità nell’animo, nascosta da una maschera di adesione nei confronti del Governo. Sorprende che in un paese ricco di contrasti ideologici, rappresentati da un così alto numero di esiliati e da continue detenzioni per motivi politici, non esista una rappresentanza delle non conformità in un Parlamento che dovrebbe rappresentare il pluralismo nazionale.

Secondo dati pubblicati dalla stampa ufficiale tra i membri del nuovo Parlamento figurano operai, contadini, componenti di cooperative, maestri, medici, scienziati, scrittori, artisti, leader religiosi, studenti, dirigenti di enti produttivi, combattenti delle Forze Armate e del Ministero degli Interni, ma anche dirigenti politici e rappresentanti del sistema del potere popolare.

Più del 48% sono donne, il 37% sono meticci o di razza nera e oltre il 78% è nato dopo il 1959. Molti altri dati riguardano l’equilibrio nel livello di scolarità e distribuzione territoriale, presentati in maniera tale da convincere tutti che a Cuba i nuovi deputati sono un vero e proprio riflesso della popolazione. Tuttavia, se leggiamo le biografie pubblicate nei Collegi Elettorali non sappiamo come alzerebbe la mano ogni candidato in caso di voto sul matrimonio tra omosessuali, per decidere sull’ampliamento del lavoro privato, sulle nuove riforme migratorie e sulle condizioni per dare il via ai colloqui con il governo degli Stati Uniti.

Infatti l’Articolo 171 della Legge Elettorale stabilisce chiaramente che «ogni elettore valuterà, per decidere a favore di quale candidato esprimerà il suo voto, le sue condizioni personali, il suo prestigio, la capacità di servire il popolo». Più avanti la norma aggiunge: «come mezzo di propaganda saranno divulgate le biografie, accompagnate da riproduzioni delle foto dei candidati». Vale a dire che si vota a partire da un ritratto accompagnato da un curriculum, senza conoscere programmi o tendenze di questi rappresentanti.

Una legge elettorale che stabilisce un principio soggettivo come “ciò che l’elettore dovrà valutare per esprimere il suo voto” e che proibisce la campagna elettorale sui programmi, mette in evidenza come la democrazia cubana non sia basata sul principio della “unità nella diversità” ma della poca diversità intorno al solo partito consentito.

La propaganda ufficiale ripete con insistenza che non è il Partito Comunista a proporre i candidati ma sono le organizzazioni di massa, come la Federazione delle Donne Cubane, i Comitati di Difesa della Rivoluzione, il Sindacato dei Lavoratori di Cuba, l’Associazione Nazionale dei Piccoli Agricoltori, la Federazione degli Studenti Universitari, la Federazione degli Studenti delle Scuole Superiori e l’Associazione dei Combattenti della Rivoluzione. Ma basta leggere gli statuti di queste entità per verificare come per ognuno di essi sia fondamentale l’incondizionata lealtà verso il Partito, Fidel Castro e la Rivoluzione. I massimi dirigenti di queste istituzioni sono membri del Comitato Centrale del Partito Comunista o della sua filiale giovanile e sono loro che designano i membri della Commissione di Candidatura.

Vale la pena aggiungere che è proibito fondare associazioni parallele, di maniera tale che queste organizzazioni di massa, invece di rappresentare gli interessi degli associati nei confronti del potere, risultano semplici poli di trasmissione per compiere i disegni del potere nei confronti della popolazione.

L’elenco finale dei candidati è formato per un 50% da coloro che sono stati eletti come delegati di circoscrizione, mentre l’altra metà vengono nominati dalla Commissione di Candidatura tra personalità della cultura, sport, scienza, o per i loro meriti storici. Nel paese ci sono quasi 15.000 circoscrizioni, pertanto selezionare al loro interno 300 persone permette al Governo di compiere una selezione molto vicina ai propri interessi. La candidatura realizzata da queste commissioni è portata davanti all’Assemblea Nazionale che approva le proposte per alzata di mano. Non abbiamo memoria che sia stata revocata una sola proposta nel corso di queste riunioni.

Per arrivare davanti all’Assemblea Nazionale un oppositore non solo dovrebbe essere eletto come delegato della sua circoscrizione, ma dovrebbe superare i rigidi requisiti imposti dalla Commissione di Candidatura, perché è ovvio che non sarà mai inserito nell’altro 50%, composto da personalità illustri. Questo procedimento comincia con un’assemblea di quartiere, dove i vicini dovranno votare per alzata di mano in favore del candidato oppositore, sotto lo sguardo vigile dei membri del Comitato di Difesa della Rivoluzione, dei militanti del Partito e in alcune occasioni alla presenza della Sicurezza di Stato, che di solito controlla dove vivono i più ribelli.

Alcuni oppositori e membri della società civile alternativa hanno cercato di autoproporsi in queste assemblee di quartiere e, senza eccezione, sono stati affrontati con vigore e in maniera intimidatoria dai militanti del partito, che di solito concludono i loro interventi con frasi del tipo: “siamo sicuri che nessuno voterà per questo nemico della patria?”. Chi alzerebbe la mano in un simile clima?

Fino a quando esisteranno queste regole del gioco non avremo oppositori in Parlamento e le leggi proposte dall’Esecutivo continueranno a essere approvate all’unanimità o con ampia maggioranza. L’Assemblea Nazionale continuerà a essere lontana anni luce dal rappresentare il motore del cambiamento a Cuba.

 

Yoani Sánchez

(da El País, 4 febbraio 2013)

Traduzione di Gordiano Lupi


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