Freddie Quell è un giovane uomo, tornato dalla seconda guerra mondiale col sistema nervoso a pezzi e con una pregressa fragilità emotiva che gli deriva da un ambiente familiare degradato: la madre è malata di mente, il padre alcolizzato.
Gli spettri della guerra lo tormentano, lasciandolo in un perenne stato di agitazione; il futuro che gli si prospetta al rientro nella vita normale è incerto, un lavoro stabile duro da conquistare. Scatti d’ira incontenibile e alcolismo fanno il resto…
Fino a quando Freddie farà l’incontro della sua vita: l’incontro fortuito con Lancaster Dodd.
Subito fra i due scatta un reciproco interesse, un riconoscersi in qualcosa di familiare. Per Freddie è l’impressione del tutto nuova di esistere, di essere visto. Nonostante si trovi sulla nave di Lancaster Dodd come clandestino, Freddie viene subito accolto con parole calde, rassicuranti e con la promessa di un aiuto. È l’approdo di un’anima inquieta, la percezione che la propria follia possa essere domata, la prospettiva di una rinascita.
Lancaster Dodd, infatti, è un uomo di fama, scrittore, filosofo, terapeuta… così si presenta a quello che egli stesso, fin dal primo momento, definirà il suo prescelto, il suo protégé.
Il regista di The Master, Paul Thomas Anderson (Magnolia, Il Petroliere…), non ha nascosto di essersi ispirato per la figura di Lancaster Dodd a L. Ron Hubbard, il controverso fondatore di Dianetics ossia quel metodo di introspezione fondato su un insieme di procedure concernenti spirito, corpo e mente, che Hubbard presentò come una rivoluzionaria alternativa alla psicoanalisi e alla psichiatria e che poi confluirà in Scientology.
Dapprima, alla sua ribalta ottenuta grazie alla pubblicazione dell’omonimo libro nel 1950, Dianetics suscitò qualche interesse in una parte della comunità scientifica; poi, via via, venne derubricata a un livello di associazionismo di tipo religioso, senza comprovata validità scientifica.
Nel film le critiche non bastano a far vacillare il pensiero e l’azione di Lancaster Dodd e dei suoi fedelissimi adepti. Per loro the Master (il maestro) è colui che può curarli e soprattutto guarirli, da fobie, ma anche da malattie gravi, considerate tutte di natura psicosomatica.
È in questa cerchia di persone che Freddie capita, questa sorta di grande famiglia che attornia Dodd, in adorazione. Una famiglia con dinamiche subdole, però, dove chiunque è ben accolto e può sentirsi amato solo fintanto che non dubiti e non metta in forse l’autorità del proprio capo. Che è sì un maestro paziente e bonario, coi suoi, ma anche un uomo che non sa dominarsi di fronte alla critiche, non sa argomentare senza ricorrere all’attacco. Un uomo che ha delle debolezze che non sa gestire: l’alcool, le donne, e forse un’inammissibile omosessualità latente.
Emblematica appare anche la figura della giovane moglie di Dodd, devotissima e al contempo sicura di sé, la sola in grado di far valere proprie autonomie e di far sì che il proprio pensiero riesca a imporsi a volte nelle scelte del suo stesso, autoritario marito. Freddie diviene il caso numero 1, per il clan de “La Causa” (così viene chiamata nel film l’associazione che fa capo al Master), il caso umano da risolvere, quasi una sfida per l’organizzazione, che possa comprovare l’efficacia del metodo, la bravura eccelsa del suo fondatore.
Ma come a volte capita tra allievo e maestro, e come ancor più spesso accade quando il dogmatismo supera ogni altra caratteristica di una data linea di pensiero, alla sottomissione a alla fiducia si sostituirà presto un dubbio, dapprincipio fievole, poi un’incrinatura sempre più larga, alimentata dal tempo che passa, dalla conoscenza reciproca, dall’affiorare, infine, dei primi accenni di un’autodeterminazione che può minare alla radice rapporti del genere.
Con rigore e abilità, Anderson ci racconta il rapporto particolare fra i due protagonisti, facendoceli avvertire in fondo come le due facce della stessa medaglia. Chi ha ragione? O meglio, chi agisce in buona fede? Quali sono le reali necessità di entrambi? Dove l’autenticità dei loro comportamenti?
Come sempre, nelle proposte più interessanti, non vengono fornite risposte univoche o una sola verità, bensì stimoli per riflessioni e nuove domande. Un film interessante, dunque, sotto molteplici aspetti, Leone d’Argento all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Ottima l’interpretazione dei due attori: Joaquin Phoenix (Freddie Quell) e Philip Seymour Hoffman (Lancaster Dodd), premiati ex-aequo con la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile.
Annagloria Del Piano