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Gianfranco Cercone. “A Royal weekend” di Roger Michell 
Un nesso profondo tra “pubblico” e “privato”
23 Gennaio 2013
 

Non è raro che un film di argomento storico-politico si occupi anche delle storie d’amore dei protagonisti, anche quando sono personaggi storici illustri. Ma nel caso di A royal weekend la grande Storia e l’alta diplomazia non sono il fondale di una storia d’amore; e nemmeno questi due ambiti tematici – il pubblico e il privato – sono soltanto affiancati come due pietanze servite insieme per soddisfare tutti i gusti. Sono uniti, invece, da un nesso originale e profondo.

Il film si svolge negli Stati Uniti, nel 1939; e precisamente nella residenza di campagna del presidente in carica, Franklin Delano Roosevelt. Il Congresso degli Stati Uniti è restio a entrare in guerra contro la Germania di Hitler, perché ritiene che l’America non debba immischiarsi un’altra volta in una guerra europea.

In tale contesto, Roosevelt prende un’iniziativa originale: invita per un week end nella propria residenza privata i Reali inglesi, che aspirano ad avere l’America dalla loro parte.

A royal weekend è in gran parte la storia del loro incontro; che è narrato dal punto di vista di una donna, al momento l’amante di Roosevelt, pure regolarmente sposato. E si riferisce della sua delusione alla scoperta di non essere la sola amante, perché l’uomo, a quanto pare, amava circondarsi di più donne, anche “consapevoli” l’una dell’altra.

Tale franchezza di costumi è destinata a sconcertare i monarchi inglesi, magari in segreto infedeli anche loro, ma più attenti alle apparenze e alla riservatezza. E con l’umorismo raffinato che appartiene tradizionalmente a un certo cinema inglese, il film si diverte a contrappuntare le due diverse mentalità. Ma ecco: la maggiore disinvoltura in ambito amoroso del presidente americano, non risulta elogiata nel film magari perché più libertaria (senza tuttavia essere nemmeno moralisticamente deprecata).

C’è un’idea forte che attraversa tutto il racconto: che i capi di Stati sono ovviamente soggetti alle debolezze di tutti gli uomini (quasi emblematicamente: Roosevelt ha le gambe paralizzate per via della poliomielite; il re inglese Giorgio VI è afflitto dalla balbuzie); ma il loro valore non ne è diminuito, perché si misura dalla loro capacità di adempiere, ciò malgrado, come possono e meglio che possono, al mandato che i loro popoli, democraticamente o meno, hanno loro affidato. E tale mandato, agli occhi dei protagonisti, prevede in questo caso di combattere insieme contro Hitler.

Da tale concezione realistica ma non cinica, della politica – fondata sulla personalità degli individui che ne sono i fautori – che è degli autori del film ma che viene in particolare attribuita a Roosevelt, deriva il suo comportamento diplomatico: poco conformista, anzi sprezzante delle convenzioni e in particolare della dissimulazione. Un’alleanza militare, sembra di capire, è anche una questione di fiducia, e la fiducia si instaura quando si ha il coraggio di mostrarsi l’un l’altro, per quanto si riesce, come davvero si è, esposti anche nelle proprie imperfezioni.

L’incontro, per certi versi irrituale, culmina in un episodio che si definirebbe oggi una trovata mediatica. Durante un picnic, Re Giorgio addenta un hot dog. L’immagine, immortalata dai fotografi, diventa il segno dell’amicizia tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie Radicali, 21 gennaio 2013)


 
 
 
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