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Alberto Figliolia. Giorgio Fornoni ai confini del mondo
29 Dicembre 2012
 

«Giorgio Fornoni seguiva i missionari sparsi per il mondo e girava tutto come un professionista consumato. Quando ho visto il suo materiale sono rimasta sbalordita. Aveva fatto in dieci anni quello che un professionista realizza in un'intera carriera. Una vera scoperta». Giudizio firmato da Milena Gabanelli, giornalista che non ha certo bisogno di presentazioni.

«Da quando ho votato la mia vita a restituire dignità ai più deboli, la lunga chioma scapigliata, il pizzetto e il sorriso meraviglioso di Giorgio, con la sua inseparabile videocamera, sono una presenza costante», parole di Dominique Lapierre, scrittore e filantropo, celebre autore de La città della gioia.

Indubbiamente l'avventurosa parabola di Giorgio Fornoni nel giornalismo d'inchiesta, quello che tratta i temi più scottanti, nei luoghi più pericolosi del pianeta, nelle situazioni più disperate, ha dell'incredibile. Senza avere grandi gruppi di comunicazione alle spalle, provvisto soltanto della sua volontà d'acciaio, di un formidabile intuito, di idee – il che non è tuttavia poco, diciamocelo –, quello che faceva il commercialista (lo studio è ancora attivo) ad Ardesio, un paese della Valseriana, provincia di Bergamo, ha girato il mondo seguendo il filo rosso della passione giornalistica, ciò che gli ha consentito di costruire reportages che infine hanno attirato l'attenzione dei più famosi operatori professionali (Gabanelli docet).

Fornoni ha rischiato nelle zone di guerra, ha intervistato il Dalai Lama, Anna Politkovskaja, Rigoberta Menchù, Shirin Ebadi at alii, si è mosso, con la forza degli ideali e l'amore per la verità e la giustizia, fra Russia, Siberia, Cina, India, Afghanistan, Pakistan, Iran, le Americhe... «I momenti di pericolo sono stati tanti. Per esempio quando il Kgb mi ha preso davanti al centro di ricerca sulle armi biologiche più grande al mondo, negli Urali, accusandomi di essere una spia, o quando sono andato a intervistare i capi guerriglia in Africa. La situazione più scioccante l'ho vissuta senz'altro in Texas, quando ho assistito all'esecuzione di un condannato a morte tramite iniezione letale. Ho ancora negli occhi l'ultimo spasmo di quell'uomo. E poi, in mezzo ai bombardamenti fra i taliban e Massud, in Afghanistan: grida, spari, terrore. A chi mi chiede “Come fai a sopportare tanta sofferenza?” rispondo che preferisco affrontarla e trovare momenti di umanità piuttosto che mettere a tacere la coscienza disinteressandomi di ciò che succede lontano da me», dice di sé e del proprio lavoro.

Ai confini del mondo è il libro, con DVD, edito da Chiarelettere, in cui Fornoni si racconta narrando aneliti, slanci, viaggi e incontri in giro per il globo. Un reporter indipendente, un reporter non comune. Esemplare l'intervista allo stesso Fornoni per opera di Stefano Lorenzetto che introduce la narrazione e il dipanarsi dei capitoli: dai brogli elettorali in Angola alla Cambogia devastata dai khmer rossi; dalla guerra e dal traffico di cocaina ai ragazzi-soldato nella martoriata Africa; dal calvario ceceno al viaggio, attraverso varie nazioni, nell'abominio della pena di morte, vera vendetta di Stato (e di stato); dallo sfruttamento selvaggio neo o post coloniale alle interviste.

Un volume (e un DVD) la cui lettura fluisce, testimonianza importante, pagine formative, educative, appassionanti per impegno civile, nobili e notabili per qualità giornalistiche e stilistiche.

Quando gli chiedono perché fa questa vita, Giorgio risponde ribadendo: «Non lo so. È un'irrequietezza esistenziale. Per me vivere significa camminare. Come diceva García Lorca, ci siamo incamminati su una strada dove strada non c'è. Però si può camminare. […] M'interessa la precarietà dell'uomo. Non riesco a immaginarmi lontano dall'umanità che soffre. E non è che un nuovo viaggio cancelli le angosce di quello precedente. È come se mi portassi sulle spalle una gerla. Ogni volta ci metto dentro un peso».

Un peso duro da portare, ma è necessario farlo. Un peso che è possibile condividere e suddividere perché sia più leggero, perché prima o poi la consapevolezza renda l'umanità più leggera, sgombra dagli orrori della guerra e dall'ingiustizia sociale.

 

Alberto Figliolia


 
 
 
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