Il fatto che -si può dire ogni giorno- una donna venga uccisa dal proprio marito o compagno in casa o all'ultimo appuntamento accettato da sola, dopo storie di assoluta arcaicità, è molto doloroso. Ma gli stupori virtuosi e le meraviglie piagnucolose e le geremiadi sui bei tempi antichi sono ipocrisia pura.
Nei bei tempi antichi era così frequente che mariti uccidessero le mogli, che il reato specifico si chiana “uxoricidio”, che vuol dire “uccisione della moglie” (in latino uxor). E poiché invece che le mogli uccidessero il marito era stato sempre così raro, il nome del reato vale anche nei pochissimi casi in cui mogli abbiano ucciso i mariti. È forse l'unica volta nella lingua italiana in cui un femminile non marcato vale come neutro universale.
Ma perché allora si è inventata la parola “FEMMINICIDIO”? Alcune giornaliste storcono il naso e non amano il termine. Basta che riprendano il più aulico uxoricidio, no?
Il fatto è che se si inventa un nuovo nome, sembra che vi sia una novità. Invece il fatto col suo nome antico segnala una regressione tremenda, una barbarie: si poteva sperare che da quando il femminismo ha insegnato alle donne ad analizzarsi e a conoscere anche le miserie della sessualità del genere femminile (sottomessa, riservata, ruolizzata, disponibile ecc. ecc.) si poteva dunque sperare che anche gli uomini facessero qualcosa di simile a se stessi, cioè si decidessero a diventare da maschi uomini. Ma l'ondata di barbarie ha respinto tutti e tutte in una regressione drammatica e le mogli ridiventano terribilmente oggetti di proprietà dei maschi: non si vorrà chiamare “modernità” tutto questo, vero?
O non si sta pensando a ristabilire il delitto d'onore, il matrimonio riparatore, la verginità, e l'aborto clandestino, nonché il “divorzio all'italiana”?
Lidia Menapace