György Lukács (Budapest, 13 aprile 1885 – Budapest, 4 giugno 1971) ha scritto questo suo La distruzione della ragione (2 voll., con introduzione di Elio Matassi, Mimesis, 2011) nel 1954. Siamo in piena Guerra Fredda ed il capitalismo americano è diventato il sistema economico di riferimento per il cosiddetto Occidente del mondo. In questo contesto, dominato dalla deterrenza reciproca fra le due Superpotenze mondiali, il filosofo ungherese sceglie di occuparsi di un problema che si innesta perfettamente nel teatro contemporaneo della politica e della vita sociale. Innanzitutto, Lukács circoscrive le coordinate di riferimento rispetto al fenomeno che intende indagare. Il tempo infatti – che ospiterà il dipanarsi dell’analisi contenuta nel saggio – sarà costituito dai secoli XIX e XX. Il luogo, cioè lo spazio: sarà semplicemente la Germania. Una volta fatto questo, egli specifica che «Non si tratta di fare una storia vasta e particolareggiata dell’irrazionalismo, che aspiri alla completezza, bensì di tracciare la linea principale del suo sviluppo, di analizzare le tappe e i rappresentanti più importanti e tipici». Ovvero: «Per ciò non può trattarsi d’altro che di mettere nella giusta luce mediante un’analisi approfondita i punti essenziali; e non già di fare una storia particolareggiata dell’irrazionalismo o magari della filosofia reazionaria in generale con la pretesa di trattare o anche soltanto enumerare tutte le forme e le tendenze». Dunque ci troviamo di fronte a un saggio di storia della filosofia delimitato da un arco di tempo particolare (i due secoli dell’Ottocento e del Novecento) e localizzato in quella Germania nella quale «Il problema dell’irrazionalismo, che appare così “innocuo” in Schelling, si potenzia sempre più nel corso della storia, per diventare infine lo strumento infernale del fascismo». Quale è, allora, il metodo utilizzato dal nostro autore? «Se non si scoprono reali fondamenti storico-sociali, non è possibile alcuna analisi scientifica». Il metodo di Lukács è dunque quello di far venire alla luce e di mettere in evidenza la realtà (politica, culturale, sociale, economica) che sta alla base dell’affermarsi del fenomeno in questione: l’irrazionalismo moderno. Sulla base di questa realtà egli, successivamente, fornirà una interpretazione di questa «corrente» filosofica, sempre essendo sorretto da una convinzione – ribadita in due parti diverse dei due volumi e con parole diverse –; e cioè: «l’efficacia o l’inefficacia di una tendenza di pensiero procede del pari dalla realtà ai libri e non dai libri alla realtà», ovvero: «Abbiamo cercato ovunque di mostrare in questo libro che la presa di posizione di fronte alla ragione, la tendenza ad affermarla o a negarla, il riconoscimento o il rifiuto della sua efficacia, sono passati dalla vita nella filosofia e non dalla filosofia nella vita».
Il quadro della Distruzione della ragione è dunque completo. Si tratta adesso di stabilire che cosa Lukács, in virtù del suo metodo, riesce a scoprire lungo il corso della bella disamina da lui condotta in questo libro. L’irrazionalismo moderno «È sorto ed ha operato in continua lotta col materialismo e col metodo dialettico. Anche in questa polemica filosofia si rispecchia la lotta di classe. Infatti, non è certo un caso che l’ultima e più evoluta forma di dialettica idealistica si sia sviluppata in relazione con la Rivoluzione francese e specialmente con le conseguenze sociali di essa. Il carattere storico di questa dialettica, i cui grandi precursori furono Vico e Herder, trova un’espressione metodologicamente cosciente e logicamente elaborata soltanto dopo la Rivoluzione francese, anzitutto nella dialettica hegeliana». Insomma ci troviamo di fronte ad un contrasto, ad una disputa, ad un conflitto e sappiamo anche che ogni crisi nel pensiero filosofico corrisponde ad una lotta sociale. È quando ci sono le grandi crisi sociali che c’è la necessità di rifugiarsi nell’irrazionalismo. La realtà storico-sociale che Lukács tiene sempre ferma, lo conduce sulla strada del riconoscimento di due opposte direzioni di marcia: la ragione ed il suo contrario. Ma che cos’è l’irrazionalismo? «La svalutazione dell’intelletto e della ragione, l’esaltazione acritica dell’intuizione, l’aristocrazia gnoseologica, il ripudio del progresso storico-sociale, la creazione di miti ecc. sono motivi che ritroviamo praticamente in ogni pensatore irrazionalista» ed inoltre «Equiparare intelletto e conoscenza, i limiti dell’intelletto con i limiti della conoscenza in generale, far intervenire la “sovrarazionalità” (dell’intuizione ecc.), dove è possibile e necessario procedere oltre verso una conoscenza razionale: ecco le caratteristiche più generali dell’irrazionalismo filosofico». Apprendiamo ancora che questo irrazionalismo è solo una delle tante tendenze delle cosiddette filosofie borghesi e che nello stesso tempo esso è la corrente principale della filosofia reazionaria dei secoli XIX e XX. Siamo di fronte a un fenomeno, dunque, che ha un origine del tutto internazionale ed anche uno sviluppo a carattere del tutto internazionale. Abbiamo anche imparato che le sue varie «fasi» o «periodi» sono tutte nate come risposte reazionarie ai problemi della lotta di classe. Tenendo sempre ferma questa realtà – che sta alla base dell’edificio lukácsiano – ci rendiamo altresì conto che a mano a mano che si passa da una fase all’altra dell’irrazionalismo si abbassa drammaticamente il livello filosofico. Ed infine tutto quanto il movimento, all’interno del suo sviluppo, presenta un carattere unitario (di contenuti e metodi). Anche se «L’irrazionalismo… non possiede una storia unitaria e coerente, come si può parlare di una storia del materialismo e della dialettica». Nessuna delle varie «tappe» attraverso cui transita l’irrazionalismo moderno è del tutto «innocente». E vale anche che «In nessuna delle sue fasi lo sviluppo dell’irrazionalismo manifesta un carattere essenzialmente “immanente”, come se da un certo modo di porre e di risolvere i problemi scaturissero altri problemi ed altre soluzioni per impulso dell’interna dialettica del pensiero filosofico in movimento. Vogliamo al contrario mostrare che le diverse fasi dell’irrazionalismo sono nate come risposte reazionarie ai problemi della lotta di classe. Il contenuto, la forma il metodo, il tono della sua reazione al progresso della società vengono quindi determinati non da una dialettica di tal genere ad esso intrinseca e peculiare, bensì invece dall’avversario, dalle condizioni di lotta che vengono imposte alla borghesia reazionaria».
Tutto è necessario, tutto è stato necessario. Nell’economia della storia sono ineluttabilmente sorti sia il razionalismo che il suo opposto. Ed è sorta anche necessariamente la disfatta di questo (nel 1945) ed il nuovo scenario inaugurato dalla sconfitta del nazionalsocialismo. Ed in questo senso è storicamente necessario anche l’avversario – adesso manifestatosi – degli Stati Uniti d’America (la potenza che continua la strada del capitalismo come sistema economico nazionale) e cioè: l’Unione Sovietica. Insomma per Lukács, l’irrazionalismo è una corrente filosofica relazionale. La sua stessa esistenza presuppone una relazione di «opposizione» alla ragione. Senza la dialettica, senza il materialismo, nessun irrazionalismo sarebbe potuto sorgere. È la stessa ragione, per contrasto e contraddizione, a definire l’irrazionalismo per quello che è. Non esiste un irrazionalismo indipendente, in sé e per sé, autonomo, unico elemento da poter prendere in considerazione per poter cominciare a ragionare sulle sue caratteristiche e sulle sue specificità. L’irrazionalismo è un elemento, invece: relativo, è un addentellato; è comunque dipendente da qualcos’altro. Prendiamo per un attimo in considerazione il primo «periodo» di questa storia dell’irrazionalismo tedesco tra Otto e Novecento. «Il primo periodo importante dell’irrazionalismo moderno sorge però in opposizione al concetto idealistico e storico-dialettico di progresso; la via che va da Schelling a Kierkegaard è al tempo stesso la via che conduce da una reazione feudale contro la Rivoluzione francese alla ostilità borghese verso il progresso». La Germania si trova in quel periodo con un capitalismo fortemente arretrato. A questo mancato sviluppo del capitalismo, però, non fanno fronte delle masse informi, ma un proletariato moderno ed attrezzato. La realtà storico-sociale vede da una parte la reazione e dall’altra la Rivoluzione. Lo stesso Lukács, ad un certo punto, esprime proprio questo concetto: «Si nega la ragione o si proclama la sua impotenza (Scheler), in quanto la realtà stessa, la vita vissuta dal pensatore, non mostra alcun movimento progressivo verso un avvenire degno di approvazione, alcune prospettiva di un futuro migliore del presente. La ragione di tutte le posizioni ostili alla ragione sta quindi (oggettivamente nel corso dell’evoluzione politico-sociale stessa, soggettivamente nella posizione dell’individuo considerato) nel fatto che si prende partito per ciò che tramonta e muore o per il nuovo che nasce». Insomma, da una parte ci sono i nostalgici e dall’altra i modernisti. E’ su questo piano e su questo campo che si decide il destino della filosofia irrazionalistica. Nella prima fase di questo fenomeno storico-filosofico si trovano dunque di fronte: la borghesia ed il feudalismo (e la monarchia assoluta). La strada presa dall’irrazionalismo – già di per sé frutto relativo di un collegamento con la ragione – è quella della tradizione a fronte del rinnovamento. L’irrazionalismo si attacca al passato e respinge l’avvenirismo dei tempi che si stanno profilando all’orizzonte. Ed ancora, Lukács, afferma: «L’opposizione delle diverse ideologie borghesi ai risultati del materialismo dialettico e storico è il naturale fondamento della nostra esposizione, della nostra critica». C’è la lotta nella vita reale, c’è la crisi nel pensiero filosofico, c’è la scelta di campo tra razionalismo ed irrazionalismo.
Sempre per quanto riguarda la prima «fase» dell’irrazionalismo: in Germania ci sono grandi feudatari e seguaci dell’antica monarchia da una parte, mentre dall’altra si fa largo un proletariato moderno. La filosofia di Schelling nasce dunque dalla crisi filosofica dovuta a questa primigenia lotta di classe. E la filosofia di Schelling è, secondo Lukács: «Un precedente di rilievo del moderno irrazionalismo». Via via scorrono lungo le pagine del libro di Lukács, altri periodi storici che hanno visto la Germania protagonista di aspre lotte: il 1848, la filosofia della vita, il neohegelismo, la sociologia di Max Weber, l’avvento del darwinismo sociale ed infine la disfatta hitleriana del 1945. E via via tutti questi periodi storici diventano periodi filosofici di questo irrazionalismo inseguito fin dalle prime righe di questo libro e rintracciato anche – nel dopoguerra – all’interno della «Preparazione della guerra» vista come «La grande potenza sociale che tende alla distruzione della ragione». Per cui il filosofo ungherese ravvisa nel «movimento per la pace» (esso stesso internazionale e trans-marxista, nel senso che non è immediatamente da identificare con gli scopi propri del marxismo-leninismo attuato in Unione Sovietica) «Il grande elemento che oggi si oppone al timor panico di fronte alle masse e all’irrazionalismo ad esso strettamente congiunto».
Lukács alla fine, dunque, ci consegna un vasto affresco che – sia pure per «linee essenziali» – sostiene una tesi e la dimostra. Ed, in virtù di un analisi molto serrata: restituisce così un percorso di pensiero coerente e lucido.
Gianfranco Cordì