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Silvia Bolis. Camino, il treno che sapeva sognare
11 Dicembre 2012
 

Lentamente muore/ chi diventa schiavo dell'abitudine,/ ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,/ chi non cambia la marcia,/ chi non rischia e cambia colore dei vestiti,/ chi non parla a chi non conosce. […] Muore lentamente chi evita una passione,/ chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i"/ piuttosto che un insieme di emozioni,/ proprio quelle che fanno brillare gli occhi,/ quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,/ quelle che fanno battere il cuore/ davanti all'errore e ai sentimenti (Martha Medeiros)

 

 

D'ora in poi non guarderete più un treno con gli stessi occhi. Dopo avere letto questo splendido libro: Camino. Il treno che sapeva sognare. E non temete di commuovervi pagina dopo pagina, non vergognatevi di quei dolci moti e sconvolgimenti che sorprenderete dentro il vostro animo nello scorrere i pensieri, la malinconia, i sogni, le speranze, la nostalgia evocati da Camino, il treno che deve percorrere la tratta da Qui a Là e ritorno, due città separate da poche decine di chilometri.

Due binari in un infinito uguale, ma il viaggio può essere sempre diverso. Se si vuole, se solo si sa udire la musica della pioggia, assimilare, immergendovisi, la struggente bellezza di un tramonto, abbandonarsi alla musica del vento, farsi carezzare dai milioni di farfalle quali sono i fiocchi di una nevicata, lieve elegante ed educata danza senza tempo, accettare l'incognito dono di ogni nuovo giorno, abitare le misteriose e confortevoli dimore della nebbia, non considerare il ricordo come un rischio o un pericolo. Se solo non ci si dimenticasse d'esser stati bambini e di essersi stupiti alla magia del mondo che si rivela, al fiore che il mattino si schiude, all'arcobaleno che porta altrove, alle isole celesti. Se solo – noi umani – desiderassimo, ancora e sempre, stupirci: una scelta semplice e doverosa; una semplicità cui nessuno dovrebbe rinunciare, chiave di volta (l'unica) della saggezza e, soprattutto, dello stare bene in sé e con sé, con gli altri.

Davvero Silvia Bolis ha saputo creare una storia deliziosa, una meravigliosa parabola, un po' come Firmino, il topo intelligente e cultore di libri portato al successo da Sam Savage. La differenza è che Firmino ha una matrice d'incolmabile diversità e un marchio di latente infelicità: l'anima di un uomo nel corpo di un ratto. L'incomunicabilità prevale, con la disillusione, salvo rari incontri come oasi nel deserto. Camino, no. Camino è felice, ha degli amici: l'Ingegnere che l'ha creato, il suo papà: Alba, una bambina speciale che sente i pensieri del giovane treno – «Il treno non voleva illudersi, eppure… lei riusciva a vederlo! Tutte le persone vedono i treni, ovviamente, e si vedono tra loro, ma ci sono tanti modi di vedere e nessun umano, a parte l’Ingegnere, era mai riuscito a penetrare con lo sguardo nella sua parte più profonda, quella in cui prendevano forma i suoi pensieri. Eppure lei ci riusciva perché i Bambini, di solito, riescono a vedere l’anima delle cose. Mi chiamo Alba, disse la bambina al treno, vuoi giocare a palle di neve con me?» –; gli altri treni, fra cui il Vecchio Merci; la nave Rose che solca gli oceani, conosce infinite storie e sente il canto delle balene. Camino saprà uscire dai binari della consuetudine, dal quieto e mortifero grigiore dell'assuefazione – scriverà persino un romanzo (!) pur non avendo le mani –, e vedrà il mondo traversando l'immensa distesa salata dell'Atlantico per approdare a Here (San Francisco) nella scintillante baia protetta dal suo rosso o aureo, a seconda della luce, ponte, porta verso altre terre, onde, voci, idee, orizzonti.

«Il rumore delle sue ruote di ferro sulle rotaie si era attutito sempre di più per poi scomparire. Ad un tratto tutto era silenzio, luce e velocità. Camino non vedeva più i boschi, l’oceano e nemmeno le rotaie, ma riusciva a percepirli in lontananza come le cose che si vedono in sogno. L’aria che lo attraversava sembrava sciogliere uno dopo l’altro i nodi che si portava dentro: i dubbi sul futuro, la nostalgia, il dolore e la rabbia di quando si era sentito abbandonato, la paura della nebbia. Tutto veniva dissolto in quello strano vento che aveva il potere di raggiungere le parti più profonde della sua anima. Dissolto e trascinato lontano. Allora Camino capì che cosa si prova a essere liberi. “Non ho più i binari!” si disse, con l’assoluta certezza che da quel momento avrebbe potuto andare dove voleva. E quella splendida sensazione aveva il sapore inconfondibile della verità».

Colpi di scena si succedono... ci sarà pure uno sciopero dei treni, nel senso che viene deciso proprio dai treni, oltre la volontà degli umani inconsapevoli e immemori; in un sogno, piccola fantastica parentesi di ironica surrealtà compare Albert Einstein e i diagrammi di Gantt dialogano fra loro e i numeri primi sorseggiano cocktail. La costruzione del racconto è perfetta: un'architettura bizzarra ma solida come una casa di Gaudì, inventività senza confini ma con essenzialità di linee; una serena commistione di elementi naturali e intellettuali; fuochi d'artificio nell'atmosfera lunare. E il valore della solidarietà oltre ogni logica di cinismo e d'egoismo.

Un elemento hanno invece in comune il bestseller di Sam Savage e il libro di Silvia Bolis: la straordinaria qualità della scrittura. L'augurio è che questo lavoro della giovane autrice conosca la miglior fortuna, lo merita per i profondi contenuti che esprime, per i messaggi che veicola senza alcuna saccenteria, per la soavità, mai scevra di incisività, dello stile, per gli squarci di poesia che s'aprono al cuore.

Una favola, un apologo di lieta e sapiente stralunatezza, che appaga, che si scolpisce con gentile prepotenza nelle nostre fibre sentimentali. Indimenticabile, genuina, toccante vicenda che tutti coinvolge e riguarda: il viaggio, la vita.

Soltanto l'ardente pazienza/ porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Buon viaggio, Camino. Buon viaggio, o nostro lettore.

 

Alberto Figliolia


 
 
 
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