Il male oscuro. Qual è il male oscuro che travaglia la gloriosa Pallacanestro Olimpia Milano? Una squadra costruita per vincere, la favorita, a inizio stagione e secondo il giudizio unanime della critica, del campionato.
Il tricolore del basket non sventola su Milano dal lontano 1996 quando ad allenare c'era Mastro Boscia Tanjević e le scarpette rosse erano condotte dal gran genio, ordinatore e insieme sovvertitore, di Nando Gentile, affiancato dall'esimio tiratore Flavio Portaluppi, dalla classe di Rolando Blackman, nativo di Panama, già star della NBA (980 partite fra Dallas Mavericks e New York Knicks), dall'airone Gregor Fucka, dalla versatilità e disposizione al sacrificio, quasi una mistica, di Sandro De Pol, dal talento sterminato di Dejan Bodiroga (un high nel '93, con Trieste, di 51 punti, con 11 rimbalzi, 3 assist e 63 di valutazione!) e da una compagnia di superbo valore.
Oggi, nonostante gli investimenti, consistenti, i risultati sono un po' tristi: 5 perse su 10 in campionato e 5 su 8 in Eurolega. Partite smarrite in casa (contro Reggio Emilia, Venezia e Sassari) e lasciate andare fuori (contro Avellino), talora in maniera imbarazzante; rimonte subite (contro il Caja Laboral là dopo essere stati addirittura a + 17 e avere dato, prima del crollo per via soprattutto dei troppi rimbalzi offensivi concessi, la sensazione di dominare); un non gioco persistente.
Eppure l'allenatore è un nome e un valore, lo Scariolo che ha vinto ovunque, anche alla guida della Spagna dei campioni, seconda solo agli USA NBA, e forse al suo nome (qualcuno con una punta di malizia aggiunge... e al suo ingaggio) Don Sergio deve la sua permanenza sulla scottante panchina. Un altro sarebbe stato già licenziato, anche se, riconosciamolo, non è nella tradizione Olimpia cacciare allenatori a stagione in corso (e questo depone a favore della serietà societaria).
Eppure i giocatori ci sono: talenti tecnico-atletici come Keith Langford (foto) e Malik (in arabo significa “re”) Hairston; onusti di vittorie come Antonis Fotsis; giovani brillanti e futuribili come Sandro Gentile e Nicolò Melli; un centro dalle mani dolci come Ioannis Bouroussis; comprimari di buonissima levatura e qualità come Rok Stipčević, David Chiotti (in verità poco usato) et cetera. E il play titolare nonché capitano, il newyorkese di Brooklyn Omar Cook, uno che nei playground della Grande Mela era rispettato e sapeva dire la sua? Cook, uomo che dicono maturo e colto, colmo di interessi. Alcuni sostengono non il play adatto a questa realtà. Spiacerebbe dar credito a questa voce viste le virtù umane di cui Omar è accreditato. Gli auguriamo di smentire clamorosamente i giudizi negativi sul suo conto da parte di tifosi e addetti ai lavori.
Forse, semplicemente, è una questione di chimica, la famosa chimica. Forse, presi uno per uno, sono ottimi giocatori, e quel che manca è, per l'appunto, l'amalgama – una volta un presidente di calcio quando gli dissero che alla sua squadra mancava l'amalgama subito esclamò: “Dov'è? Lo voglio comprare?” –, e qui rientrano in gioco le responsabilità dell'allenatore.
Insomma, un bel rebus l'EA7. Non pareva Giorgio Armani molto soddisfatto (diremmo, anzi, contrariato) dopo la sconfitta contro la Dinamo Sassari dei giustizieri Diener (il cugino Travis, l'altro è Drake, è un play sublime) e dell'ex Manuel Vanuzzo, che con quattro triple ha dato un discreto colpo di grazia alle velleità meneghine.
Varese intanto vola con il suo play Mike Green, anche se stoppata, per la prima volta nel torneo, da una Roma strepitosa.
A Omar Cook non resta che far cambiare marcia ai suoi e far loro guadagnare un po' di killer istinct. Cook deve tracciare una nuova via, da esploratore. A Scariolo, che ha sempre avuto carta bianca nel gestire gioco e scelte di mercato, il compito di assemblare e fornire un'identità. Il popolo Olimpia vuole che la squadra torni a vincere e, soprattutto, vuole tornare a divertirsi.
Alberto Figliolia