Il giorno 28 novembre scorso avevo un invito molto importante e gradito, cioè dovevo andare a Genova per presentare insieme a Rosangela Pesenti e per l'Udi, la Convenzione NO MORE contro la violenza sulle donne fino al Femminicidio, in una iniziativa alla quale prendevano parte anche il Presidente della Regione Liguria, il Commissario della Provincia di Genova e il Sindaco della città. Mi presento alla stazione di Bolzano la mattina col biglietto fatto, ma un po' prima che il mio treno arrivi vien cancellato (“ci scusiamo per il disagio”) e la cosa è irrimediabile, perché mentre prima treni per Verona (che devo in ogni modo raggiungere) ce ne sono ogni mezz'ora, dopo quello cancellato passano tre ore e arriverei a Genova giusto per andare a dormire: sicché furiosa e avvilita torno a casa, rammaricandomi perché così manco a due impegni: a Genova, dopo la cosa fin qui detta, che si svolge il pomeriggio, salto di necessità anche la presentazione del mio libro, che doveva avvenire la sera in un circolo culturale. Per fortuna erano iniziative con due relatrici e perciò si possono fare lo stesso, anche la presentazione del libro, come poi mi riferiscono sia Rosangela che Monica Lanfranco. Tutto bene, ma per caso, come fosse un terno al lotto.
Siccome il giorno 29 avrei la presentazione del libro a Savona presso la libreria Ubik, dove già sono stata ed è un ambiente molto accogliente curioso e di squisita ospitalità, mi ripresento alla stazione di Bolzano e riparto con un po' di ansia, ma va tutto benissimo e arrivo felicemente a Savona, l'iniziativa riesce bene e ritrovo molti amici amiche compagni compagne, che non vedevo da anni. Monica mi viene a prendere a Savona, dormirò a casa sua, perché l'indomani 30 è previsto che vada a Ravenna per una iniziativa promossa insieme dal Prc di Ravenna e dalla comunità valdese locale, su “Poiitica etica mercato”. Un invito molto stuzzicante e impegnativo, che non vorrei proprio mancare, anche perché sono stufa marcia di sentir parlare solo di Bersani e Renzi.
Finita l'iniziativa di Savona, in attesa di Monica, provo ad andare allo sportello per farmi dire le condizioni di viaggio dell'indomani, dato che già la sera del 29 alle 21 comincia lo sciopero dei treni. La mia è una storia un po' complicata e me ne accorgo al primo sportello, dove la sportellista, appreso che vorrei andare a Ravenna l'indomani, mi dice affettuosamente: “Ma stia a casa, signora!”. In effetti, se dico che casa mia è a Bolzano e non posso restare a Savona, mi viene obiettato perché mai voglio andare a Ravenna per raggiungere Bolzano: capisco di sembrare un po' matta a chiedere a Savona come si fa l'indomani a raggiungere da Genova Ravenna, un giorno prima di decidere di tornare a casa. E non ho detto che il primo dicembre vorrei andare invece a Recanati per il libro che raccoglie scritti di Lucio Magri. Forse sono un po' matta, ma so che fino a quando me lo chiedo, vuol dire che lo sono in forma leggera e non pericolosa né a me né agli altri. Lascio perdere perché intanto è arrivata Monica che mi porta a Genova dove come di solito trovo l'ospitalità di casa sua, conversazione, notizie, cucina, il letto, anche Stefano che mi trova l'indirizzo elettronico di uno che cerco, insomma benissimo. Controllando al computer vediamo che l'indomani posso partire con un treno garantito per il quale ho il biglietto: così va la faccenda, secondo terno al lotto.
Arrivo a Milano avendo saputo dai monitor che il treno che volevo prendere per Bologna c'è, parte da Milano Rogoredo, come mi viene detto. E mentre viaggio da Milano a Bologna i compagni di Ravenna mi avvisano che a Bologna c'è uno di loro che mi porterà a Ravenna. Bingo! Il viaggio va meglio che se non ci fosse lo sciopero e, certamente preda dell'“ideologia”, rifletto un po' precipitosamente come ferrovieri che si preoccupano degli “utenti” (non clienti) e danno informazioni siano molto preferibili, insomma un punto a favore del servizio pubblico. Ai compagni di Ravenna comunico l'ora di arrivo e replicano che uno di loro sarà sul piazzale della stazione di Bologna ad attendermi. Chiedo scusa di averli obbligati al trasporto, ma il compagno mi dice che lui lavora a Bologna, ma abita a Ravenna e io lancio un hurrà all'organizzazione. Il compagno è un archivio vivente e durante il viaggio ripasso tutta la storia del Prc, di Democrazia proletaria, del Pci prima della Bolognina ecc. All'arrivo andiamo alla Camst di Ravenna a mangiare, poi vado a casa del segretario di Ravenna Juri e lì dormicchio sul divano, e poi conosco la compagna e il figlio (4ª elementare) e la figlia (ultimo anno di materna), che sono molto ospitali e vispi, poi ceniamo e viene pian piano la volta del dibattito serale. Sono in grande aspettativa, riconosco il pastore valdese e lui si ricorda addirittura che ci siamo conosciuti a Comiso nella lotta (vittoriosa) contro l'installazione dei missili. Fa un bel discorso, dopo Juri che spiega l'iniziativa, intanto che la sala si riempie, contro ogni aspettativa. Probabilmente sbaglio l'intervento, perché come faccio da un po', parlo per prima cosa dell'Ilva, che però a me pare davvero in tema a proposito di etica politica e mercato. Come di solito dico che bisogna appoggiare la magistratura che sta cercando i limiti costituzionali della proprietà privata, la quale per Costituzione non è un diritto assoluto ma va giudicata secondo la sua “funzione sociale”, che non può essere certo quella di disseminare morte e malattia. Sicché come già per gli operai della Thyssen Krupp e per operai e popolazione del Casalese colpito dall'amianto, si deve considerare la proprietà colpevole di omicidio colposo plurimo e non accontentarsi che paghino le assicurazioni, come se si trattasse di incidenti “fatali”. Per me l'Ilva illustra benissimo il rapporto tra etica politica e mercato. Seguono domande e questioni interessanti: ma a un certo punto incorro in un incidente: di fronte alle sollecitazioni riformistiche del pastore (tali sembrano a me) replico che il riformismo non è più possibile e che al livello raggiunto dalla crisi strutturale e globale del capitalismo occorre una “mutazione”, cioè qualcosa come le mutazioni genetiche di cui parlano gli evoluzionisti. Segue un evidente rifiuto da parte del pastore e anche di una donna mussulmana presente che fa peraltro un bell'intervento, però rifiutando la “mutazione genetica”. Sono così scema o stanca da non accorgermi che forse stanno pensando che io voglia una mutazione genetica della specie umana, invece uso il termine “mutazione” per dire che occorre un taglio alternativo rispetto allo “stato delle cose presenti” come appunto dice Marx. Non è obbligatorio essere evoluzionisti: basta sapere che senso ha la parola mutazione, cioè un cambiamento irreversibile e non riformistico. Insomma faccio un pasticcio.
Bisognerà che prima o poi trovi il modo di tornare a Ravenna per correggere l'equivoco e però sottolineare che davvero il capitalismo non è più riformabile. Avanzo la proposta e spero che venga raccolta.
Anche perché mi incuriosisce molto un'opinione di Juri della quale abbiamo parlato mentre ero a casa sua: secondo lui Giuda non era affatto un traditore, ma colui che ha operato perché succedesse ciò che successe, spinto a ciò da Gesù Cristo, che di lui si fidava. Per il vero, l'opinione sarebbe politicamente molto logica: Cristo come Barabba era uno degli zeloti (indignati, seguaci dell'Intifada, che appunto vuol dire indignazione) che lottavano contro l'imperialismo romano, come lo erano anche molti dei discepoli. Ad esempio Pietro che girava con la sica, il corto pugnale dei sicari, usata per tagliare un orecchio al soldato romano che arrestava Gesù Cristo. Anche Barabba era uno zelota forse più estremista di Gesù; il governatore romano Pilato non sapeva chi scegliere tra i due, ma forse avrebbe voluto trattare con il più ragionevole di quegli “anarcoinsurrezionalisti”: gli andò male e dovette condannare a morte Gesù Cristo con la motivazione che voleva diventare re dei giudei.
Si può aggiungere qui una riflessione sul mercato, che Gesù Cristo sembra giudicare peggiore della violenza. Infatti mentre a Pietro che appunto usa il pugnale contro il soldato romano obietta solo che la violenza è inutile e ripetitiva (“chi di spada ferisce, di spada perisce”), quando incontra i mercanti che hanno messo i loro banchetti nel Tempio, li caccia a staffilate buttando tutto all'aria e chiamandoli senza mezzi termini ladroni.
Siccome mentre ero in viaggio mi è arrivata sul telefonino un'Ansa per comunicare un nuovo “record” della disoccupazione giovanile con molti dati, mi è venuto in mente che ormai come indicatore e guida non serve nemmeno più il mercato e che se a qualcuno la notte fosse apparso in sogno il bisnonno che dava i numeri, avrei dovuto consigliargli di giocarli al lotto:vincita sicure, i records sono records e la barbarie della crisi non è solo tragica, talora è tragicomica.
Per me allevata nel rigore etico delle vecchie famiglie piemontesi, secondo le quali lo stato deve vergognarsi di guadagnare dal gioco del lotto e dalla tenuta delle case di tolleranza, sarà dura. Quanto a razionalità tra il lotto e la Borsa per la verità non c'è quasi differenza. E del resto chissà quante imprese che fanno soldi da droga e prostituzione sono quotate in Borsa.
Lidia Menapace