Ci eravamo illusi di essere una società in progress ma considerata la condizione che l’infanzia vive nel nostro paese (e nel mondo), ne siamo ben lontani.
Non passa giorno senza che bambini subiscano violenze fino alla morte. Ancora due bimbi uccisi dalla furia paterna, accoltellati in modo atroce. Le peggiori violenze avvengono in famiglia, luogo considerato di protezione.
Avevamo superato un tempo lo stato animalesco, perché pensavamo di agire col cuore verso i più deboli, i più bisognosi, verso l’infanzia ma gli animali ci superano in amore.
Una società violenta non può dirsi civile, né può considerarsi tale chi non rispetta i diritti dell’infanzia in modo indiscriminato. Purtroppo i bambini sono vittime della nostra follia.
Non passa giorno senza che l’infanzia venga offesa nella propria dignità, segno di un degrado sociale che ormai non ha argini. Fino a quando i bambini saranno esposti a sevizie, prima che ognuno di noi si accorga dell’orrore di ciò che fa, inquinando alla base i valori della società che noi stessi componiamo? Quale evoluzione possiamo sperare quando la violenza si abbatte sui minori in maniera turpe, quando si nega ai bambini di sedersi a mensa, quando vengono pubblicamente contesi, quando si impedisce ai più sfortunati di vivere l’esperienza della vita con i propri coetanei e si condannano alla segregazione, quando ne facciamo oggetto delle nostre frustrazioni e dei disagi che viviamo? Quale modello di società possiamo offrire ai bambini che osservano e giudicano i nostri comportamenti? Ogni volta che si commette una violenza contro l’infanzia dobbiamo pensare che commettiamo un crimine che avrà conseguenze irreversibili sul nostro stesso futuro. L’infanzia non è un oggetto di cui possiamo disporre a nostro piacimento. I bambini ci giudicano, non invertiamo i ruoli, corriamo il rischio di mostrarci piccoli, piccolissimi, ma privi della loro innocenza.
Ho letto per caso questa poesia di Pablo Neruda che riporto perché è bellissima specialmente nei primi due versi:
Lasciate tranquilli
Quelli che nascono.
Lasciate spazio
Perché possano vivere.
Non preparate
già tutto pensato.
Non leggete a tutti
Gli stessi libri.
Lasciate che siano loro
A scoprire l’alba
A dare un nome ai loro baci
Molte sono le problematiche che affliggono la nostra società dove la parola rispetto sembra essere stata dimenticata.
Il problema della violenza verso l’infanzia sta assumendo forme sempre più eclatanti e preoccupanti; esso richiede da parte di tutti noi molta attenzione.
Dove e come affrontare il problema? Mi viene in mente il racconto di Pinocchio riscritto da Elena in un’esperienza di scrittura creativa e mi convinco che è sempre la scuola il filtro più idoneo per affrontare tali tematiche sul piano educativo attraverso l’analisi di testi fondamentali per la formazione.
Pinocchio ha rappresentato per generazioni di bambini, un percorso educativo e il suo lungo naso è diventato un metro di confronto tra l'ubbidienza e la disubbidienza; ce l'ha messa tutta, questo burattino per diventare il modello che tutti noi volevamo che fosse, ma la realtà ne ha deluso le aspettative.
Pinocchio rappresenta i bambini del mondo che subiscono violenze fisiche e psicologiche. Questa è l’interpretazione che Elena dà al Pinocchio di Collodi e quando riscrisse il racconto aveva solo 14 anni. Pinocchio è un sogno, un'illusione che nasce da un mondo fiabesco dove una Fatina è capace di soddisfare i sogni di un burattino, ma la verità è altra e la metamorfosi del burattino, a tanti anni di distanza, non si è ancora avverata. Pinocchio nasconde dietro il suo lungo naso una tristezza infinita e come Pierrot ha sul volto una lacrima di dolore e di commiserazione.
Egli si sforza di soddisfare i desideri degli adulti e di seguirne i consigli. Assume pian piano consapevolezza del suo ruolo sociale, aiuta Geppetto nel ventre del Pesce cane fino alla libertà, ed è felice, ma non sa ancora che nel ventre della balena il piccolo Jona vivrà il triste gioco della vita. Pinocchio non è felice, perché si sente tradito dalla stessa società che lo ha spinto al cambiamento.
Pinocchio ci guarda con commiserazione e ci chiede il perché delle promesse non mantenute, delle nostre negligenze e della nostra violenza verso l'infanzia.
E dove cercare il perché se non nel finale del racconto di Elena: – Difatti le cose non andarono bene e il burattino non divenne mai un bambino a tutti gli effetti.
Eh sì, fu proprio così! E sapete perché? La Fata Turchina non può niente contro le decisioni dell'uomo, in un mondo in cui i sogni dei bambini e i giochi di fantasia stanno sparendo a causa della sete di soldi e di potere dell'uomo e alla sua violenza che miete continuamente vittime; neanche un povero burattino può sorridere soddisfatto ai propri desideri! La Fatina gli ha regalato la vita, ma la bontà innocente di un pargolo non è sufficiente a realizzare i suoi sogni.
Dalla finestra Pinocchio guarda tutto ciò che lo circonda: palazzi, case, pochissimi spazi verdi, mille e mille costruzioni in atto e tanta tanta violenza. Per la prima volta capisce la realtà! Con tristezza e rassegnazione sospira e con gli occhi rivolti al cielo, sogna mondi impossibili, mentre una piccola lacrima scorre sul suo viso inanimato.
Sogna di non essere più vittima della nostra follia.
I ragazzi, come Elena dimostra, capiscono la realtà prima e più di noi adulti e periodicamente questo racconto ritorna con la sua tragica verità. Pinocchio nelle parole di Elena è un burattino che rifiuta il cambiamento perché ha paura della società, ha paura di noi adulti; piange per le violenze subite, per il sogno infranto da una società che ne lacera l'innocenza e che nella fretta di arrivare, retrocede.
Il Pinocchio di Collodi è uno strumento educativo per l'intera società e per ogni tempo perché ha la capacità di farci riflettere e di mutare ogni realtà in verità. Pinocchio è per tutti noi il “Grillo parlante” che ci invita a riflettere per rispondere ai suoi quesiti. E dove se non a scuola, parlandone insieme, adulti e ragazzi, unendo la nostra voce alle mille voci che manifestano contro la piaga della violenza. È attraverso il dialogo aperto, il confronto, la comunicazione diffusa ma essenzialmente attraverso la lettura, la scrittura e tutti i linguaggi espressivi come il cinema e il teatro che possiamo fare nostra questa piaga e dire con forza NO alla violenza sull’infanzia per non sentirci più offesi e per consentire a Pinocchio burattino di vestire un giorno senza timore gli abiti di un bambino felice.
Qualcuno la chiamerà utopia, io, “possibilità”.
Anna Lanzetta
Responsabile sezione didattica
Associazione Culturale MultiMedia91