Mi ricordo che anni fa incominciai a riflettere sul rapporto tra attività politica e dimensione del territorio. I grandi spazi urbani mi cominciavano a sembrare poco vivibili. Dicevo: se da Bolzano dove risiedo voglio una sera incontrarmi con persone che abitano a Merano, a 30 km, ci telefoniamo, combiniamo di trovarci di lì a un’ora in un ristorante a metà strada, ci incontriamo, ceniamo insieme, chiacchieriamo e poi ciascuno rientra a casa sua senza difficoltà. Ma da quando passavo molto tempo a Roma perché lavoravo nella redazione del Manifesto, se volevo andare al cinema con Pier e Giuliana, con i quali avevo condiviso la vita in una comune sessantottina, ci mettevamo d’accordo il giorno prima, decidevamo a casa di chi si cenava, e finalmente si andava al cinema. Ma per arrivarci toccava a qualcuno tra noi fare 30 km di attraversamento urbano, uno stress tremendo. Finivamo per andare al cinema molto di rado, così a teatro o a conferenze.
E constatavamo sempre che pochissime persone si ritrovavano nelle occasioni culturali: sicché, a leggere gli elenchi di occasioni sui giornali, sembrava che vivere a Roma fosse straordinario e che ogni sera avremmo potuto scegliere tra concerti di ogni tipo di musica, balletti di ogni scuola, spettacoli di ogni genere, dibattiti su qualsiasi argomento, ma in verità erano potenzialità molto aleatorie e faticosissime, oltreché costose. Faceva eccezione solo la famosa 'Estate romana' inventata da Nicolini.
Capivo i ricchissimi di Roma, Milano, Torino, Napoli, che trovavano casa fuori città e campavano meglio anche dal punto di vista culturale.
Incominciai a studiare le opportunità offerte da quella che veniva chiamata “Italia minore”.
Il processo oggi è -si può dire- compiuto e il risultato è che nelle città minori, in moltissimi paesi l’offerta socioculturale e anche quella sanitaria è molto migliore che nelle metropoli. Vale anche per la scuola. E non parliamo delle calamità: attentati tsunami terremoti inondazioni ecc. bloccano e uccidono nelle metropoli molto più che nelle città minori e nei paesi. Se poi parliamo di qualità della vita nel suo complesso, le situazioni sono imparagonabili, a favore dell’Italia minore.
Dopo i primi casi di presentazione del mio ultimo libro, la cosa è ampiamente riconfermata.
Penso sia venuto il momento di farci su una riflessione politico/istituzionale.
Proprio durante la recente discussione intorno al libro, tenutasi a Pianengo, paese del Cremasco, in un bellissimo centro culturale del Comune si è potuto capire quanto sia bello e gradevole lo stare insieme per discutere senza acrimonie, senza timori, senza obblighi di rappresentanza e con esplicito discorso sulle questioni di classe e di genere, per dirsi che se si vuol fare l’unità a sinistra sulle questioni di gestione del territorio, bisogna candidare molte donne e aprire un cammino naturale verso il riequilibrio della rappresentanza di genere, inoltre che ci si trova d’accordo su molte iniziative e progetti se non si fa riferimento obbligato ai vincoli degli schieramenti e delle linee politiche, del resto decise altrove.
Morale della favola. Presentare liste civiche di sinistra unitarie, e candidature di donne in rete è un buon progetto per riprendere nelle nostre mani la direzione del paese a cominciare dalla prima dimensione politica, cioè il COMUNE. È giusto e possibile. Poi si vedrà.
Lidia Menapace