Il dibattito prima in commissione Sanità, quindi in aula, si è spostato dal merito del provvedimento alle modalità di approvazione e alla conseguente ratifica da parte del Senato dell'introduzione - per prassi consolidata - del “monocameralismo alternato”. Ormai tutti i provvedimenti del Governo sono decreti che alternativamente iniziano il loro iter in un ramo parlamentare e solo in quello si possono discutere e in parte modificare. All'altro ramo parlamentare spetta la mera ratifica. In questo caso per il decreto sulla Sanità, si può solo prendere atto delle decisioni prese dal Governo e dalla Camera dei Deputati.
Una amputazione della Costituzione, una violazione della legge scritta, con la colpevole consapevolezza che stiamo celebrando un rito vuoto.
È un decreto destinato ad incidere poco sul sistema sanitario, un decreto debole. Il riassetto della medicina generale sul territorio, da anni sostenuto da noi Radicali, rischia di restare solo sulla carta perché la normativa proposta si riduce ad una enunciazione e ad un invito alle Regioni. Per renderlo operativo occorrevano risorse economiche rilevanti in favore della medicina sul territorio, premi e penalità per le Regioni, tempi certi di attuazione.
La parte riguardante le nomine dei Direttori Generali e i Primari, introduce una maggiore trasparenza, ma sarebbe stato necessario maggiore coraggio per porre fine alla spartizione partitocratica delle nomine. Inutile ricordare che la sanità è tra i settori in cui la corruzione trova terreno fertile per prosperare.
Sia per i Lea (tra cui l'annosa e condivisa questione dell'epidurale e del parto senza dolore) che per l'aggiornamento del nomenclatore (quindi della lista degli ausili sanitari a disposizione dei malati) si rimanda nel primo caso alla fine dell'anno e quel che è peggio nel secondo caso “pilatescamente” a maggio prossimo, ossia, alla prossima legislatura, al prossimo Governo.
Donatella Poretti