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Rocco Del Nero. Cinquanta contratture di bicipite 
Note dal Trofeo Vanoni 2012
(foto corsainmontagna.it)
(foto corsainmontagna.it) 
01 Novembre 2012
 

Domenica 21 Ottobre, Morbegno. Sono da poco passate le 15. Saltello nervoso nella centrale Via Vanoni, un paio di pantaloncini addosso e una canottiera con il pettorale numero 114. A un centinaio di metri da me distinguo con chiarezza il mio compagno di staffetta, gli ultimi passi verso l'arrivo con la bocca spalancata. Mi batte un colpo sulla mano, io parto. Inizia cosi la mia prima partecipazione al “Trofeo Vanoni”, gara internazionale di corsa in montagna, giunta quest'anno alla cinquantacinquesima edizione. Più di mille atleti, uomini, donne e giovanissimi, giunti da mezza Europa.

Le regole sono semplici: si parte da Morbegno, si sale fino ad Arzo e si scende dai Bellini per chiudere cosi il giro ad anello da dove si è partiti, Via Vanoni. 7250 metri, 435 metri di dislivello, da compiere correndo, un passo dopo l'altro senza esitazioni. Nel mezzo sentieri ripidi e scivolosi, tratti di asfalto, antiche mulattiere e tanta gente che ti guarda a volte in silenzio e a volte urlandoti nelle orecchie.

Ho iniziato a correre poco tempo fa, sono un novello e le gambe legnose come spesso succede sono qui a ricordarmelo anche oggi. È poco più di un anno che ho preso questa faccenda della corsa quasi seriamente. Ho iniziato a Melbourne, Australia. Mi sono iscritto a una gara di dieci chilometri, per allenarmi correvo sul lungomare al tramonto, quando i pinguini escono dalle fredde acque dell'oceano per cercare riparo tra i sassi del molo di Saint Kilda. Poi, archiviata la gara, ho continuato a correre ovunque andassi, facendo sempre più chilometri. Molti posti che ho attraversato correndo me li porto nel cuore: le foreste tropicali a Pakgkor Island, in Malesia, dove gruppi di scimmie mi guardavano incuriosite lungo strade fangose, i vulcani estinti di Lanzarote, su cui salivo fino al cratere e poi giu' in discesa tra sassi e colate di lava pietrificata. Ma anche luoghi di casa: le creste della Val Tartano, gli alpeggi della Valsassina, i soleggiati borghi della costiera dei Cech, i sassi sconnessi della Via Priula. Chilometri ne ho fatti molti, eppure dopo aver allacciato le scarpe e mosso i primi passi, devo fare i conti con un'unica cosa: la fatica. Perché nella corsa, come dicono gli esperti, nulla si inventa. È questione di allenamento, dedizione, costanza e conoscenza di sé. Ma è anche gioia. Corpo e spirito si fondono in unico prezioso sforzo per riuscire a trovare l'armonia del gesto, la leggerezza del passo e l'impulso ad andare avanti.

Ad un primo veloce sguardo è facile spiegare la corsa, si tratta dopotutto di andare avanti mettendo un piede dopo l'altro. Ciò che è difficile da spiegare è tutto il resto, ovvero ciò che succede non tanto al corpo ma alla testa durante la corsa. Mentre corro, quando ormai sono “caldo” e le gambe prendono il giusto ritmo, entro in una dimensione personale molto intima, in cui rimanendo soli si cerca di andare d'accordo con sé stessi perché solo cosi la corsa può essere una buona corsa.

Quella che sto facendo oggi, lungo il tracciato del mitico “Vanoni”, non è una buona corsa. Il passo è pesante e risente della tensione che ho accumulato nelle ore precedenti alla partenza. Sento lo stomaco irrigidirsi con il trascorrere dei minuti, sento il respiro che si fa fin troppo affannoso con l'avanzare dei passi. Forse sono partito troppo veloce, penso. Ma difficile non farlo quando alla prima salita trovi amici e familiari che urlano il tuo nome. Ho messo il gas e ora che le loro voci sono rimaste alle mie spalle me ne sto pentendo. Rallento un poco per recuperare mentre passo di fianco al Tempietto, ma il sentiero si fa ancora più ripido e il respiro ancora più affannoso. Altre persone mi incitano e battono le mani, non voglio indispettirli e allora allungo ancora una volta il passo e abbasso la testa. Ancora pochi metri e la salita finisce. O meglio, la salita continua, ma è asfaltata e più regolare. È qui che bisogna mettere il turbo e spingere al massimo. Ma le mie gambe fanno ancora fatica, mi accorgo che avanzano rigide dopo una partenza affrontata con troppa foga. Ma spingo lo stesso. Arrivo con altri tre corridori al temutissimo dosso, il tratto più duro della gara, un sentiero ripidissimo su fondo sterrato e sconnesso. Rallento il ritmo per cercare di mettere in pratica i consigli dell'amico Saverio: recuperare in salita. Ovvero utilizzare i tratti più ripidi, e anche quindi quelli meno veloci, per rallentare e recuperare forze e fiato per poi aumentare il ritmo quando la salita si fa meno ripida e quindi più veloce. Due atleti mi passano decisi. Mi ripeto mentalmente che devo recuperare, quindi respirare regolarmente ed essere leggero sulle gambe. Mi aggrappo a una staccionata metallica e mi tiro su con le braccia per superare gli ultimi metri di questa impietosa salita. Non ho recuperato molto, cerco solo di essere fiducioso e continuo a correre.

Ora la salita è più regolare, si riprende la Via Priula con una serie di tornanti. I due corridori davanti a me hanno messo il turbo e se ne vanno, riesco almeno a staccare quello con cui avevo preso la salita del dosso. Devo essere fiducioso, mi ripeto. Un tornante, poi l'altro e poi l'altro ancora. La salita sta per terminare nel lungo rettilineo di Arzo. Alzo la testa e vedo tanta gente là in fondo, tra le case e ai lati della strada. Una visione nuova, tutte le volte che correndo sono passato di qua non ho mai incontrato nessuno se non qualche gatto spaventato. Gli ultimi metri di questa durissima salita li corro tra i calorosi applausi della gente, lo speaker dice il mio nome, io alzo il braccio, saluto e ringrazio. Un gesto che mi costa una gran fatica ma che mi fa sentire meglio. La salita è finita, faccio una curva e giù per i gradini di pietra che segnano l'inizio della lunga discesa fino a Morbegno. Pochi metri dopo gli ultimi applausi sono di nuovo solo a correre in mezzo al bosco. Tengo un buon ritmo. Controllo le gambe per non rischiare di inciamparmi, cerco di essere leggero e veloce. Il cronometro mi dice che ho tenuto una buona andatura e se riesco ad andare avanti cosi posso chiudere la gara con un buon tempo. Ma inizio a scricchiolare, avverto i primi segnali di cedimento: crampi. I polpacci si contraggono involontariamente, sento delle fitte dolorose ogni volta che faccio un salto, e qui ce ne sono parecchi di salti, tra un sasso e l'altro o giù dai muretti. Mi ripeto, citando un libro letto di recente, che perseverare è umano, rinunciare è diabolico. Ma so anche che sono qui per divertirmi, non è necessario fare l'eroe e che se anche lo facessi non arriverei di certo primo. La gente mi applaude, chi conosco mi chiama per nome, mi urla qualcosa che non comprendo. Tengo lo sguardo basso, concentrato per riuscire a controllare i crampi. La discesa è dura, i piedi sbattono violentemente sul cemento fino a sembrare roventi. Arrivo in Piazza Sant'Antonio, l'ultimo tratto è pianeggiante, faccio fatica a ritrovare il passo dopo tanta salita e discesa, anzi non lo trovo proprio. Corro in modo sgraziato, con i polpacci rigidi, i crampi alle gambe e il sudore che mi brucia gli occhi. Scopro che la Via Vanoni è in salita, lo scopro oggi nonostante ci sia passato così tante volte da conoscerne a memoria le scritte delle vetrine. Vedo il traguardo, gli ultimi metri, sono solo tra due ali di folla che applaude. Roba da diretta televisiva. Roba da atleti seri, non certo come me.

La soddisfazione e' enorme. Sono a pochi passi del traguardo, sono cotto, le gambe a pezzi e la mente confusa. Le ultime forze che ho le uso per sorridere, un attimo di gioia intensa mentre passo il traguardo. Sono emozionato. Un metro dopo, mentre lo spekear annuncia il mio nome, cado sull'asfalto della Via Vanoni. Il luogo dove durante la mia adolescenza cercavo inutilmente di rimorchiare qualche mia coetanea nelle sere d'estate, quando la Via Vanoni si trasformava in una passerella per anime inquiete. Il bottino a fine serata era sempre il medesimo: indifferenza. A distanza di anni sono ancora qui, sudato e dolorante questa volta, e tutte le attenzioni sono per me, finalmente.

Per la cronaca l'edizione è stata vinta dal fortissimo runner bergamasco Alex Baldaccini (foto) che ha anche fatto registrare il miglior tempo di sempre. Complimenti a lui e a tutti i partecipanti, all'organizzazione e al numerosissimo pubblico.

 

Rocco Del Nero


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