Un passo indietro per capire l’oggi, sulla filosofia politica.
In modo troppo sbrigativo si è celebrato il cinquecentenario della scoperta delle Americhe che veniva a cadere in un mondo completamente cambiato nei suoi tradizionali equilibri: la controparte del mondo occidentale (URSS) veniva liquidata. È stato un avvenimento che ha scosso le vecchie categorie del politico, onde si avvertono anche i tentennamenti della avanzata neo-liberista, di stampo monopolista, e non solo nel campo economico, con la conseguente recessione della produzione, dell’aumento della disoccupazione, dei fatti gravosi verso colui che si teme: il “diverso”.
Viviamo anni densi di cambiamento, di forti contraddizioni sociali. Chi si sente “in crisi” almeno ha evitato di non cadere in forti tentazioni irrazionalistiche o esasperate. La riflessione critica del paradigma eurocentrista (o di un modello culturale confacentesi alla nostra cultura), ha riportato -da un lato- alla rivalutazione delle cosiddette culture diverse (non per questo inferiori); dall’altro a “ri-visitare” lo sviluppo tecnico-scientifico imposto dalla mentalità “neo- positivista” e neo-liberista, modello che usciva vincente dopo lo sfacelo dell’impero sovietico. La politica non si deve limitare ad uno scontro i d e o l o g i c o, di una scelta di sistema, ad un aut-aut tra democrazia tipo occidentale e popolare, visto che tale sopravvive solo a Cuba e ha caratteristiche sui generis in Cina. Si è notato che la teoria del libero mercato, lasciato a sé, non frena, anzi!, le piaghe sociali.
Nella scienza medesima c’è la essenza stessa della tecnica ma tale esasperazione tecnologica non risolve per nulla i problemi di ordine morale, sociale e politico. Sarebbe sciocco chiedere alle scienze varie soluzioni di tal genere che, per statuto ontologico, esulano da suddetti problemi.
Lo si è tentato in passato, historia docet, dimenticando che la natura dell’uomo non è esauribile nel campo prettamente tecnico-scientifico ma in sé e per sé (aseità): è una entità a sé stante. Non abbisogna solo di ingegnerie bensì di un patrimonio esaustivo di ordine etico-filosofico.
Abbiamo visto il ricorrere a vecchi artifici quando per “curare” il disavanzo pubblico si è supplicato e auspicato un governo di tecnici: vecchie e desuete formule in quanto il tecnico è esso stesso un politico e a tale oggi si chiede non esclusivamente competenza ma che obbedisca non solo ad una scala di valori attinenti alla cosa pubblica nazionale, bensì guardi ai grandi problemi non più nazionali in quanto, volenti o nolenti, viviamo in una dimensione cosmica, planetaria e non è un abuso di aggettivazioni.
Siamo legati ad ingranaggi internazionali, interdipendenti, onde una decisione che può andare bene per la nostra nazione, può esser in contrasto con altre le quali tendono assieme, e lo si spera, a formare un unico organismo.
Non solo nel nostro Paese esiste la necessità di guardare al corpo politico-sociale con nuove categorie ma il discorso si espande ad altri paesi europei e non.
Ad esempio, la follia demenziale del disboscamento dell’unico polmone verde del nostro, unico -ripeto- pianeta riguarda tutti gli stati e non solo quelli dell’America latina o degli indios che verranno ancora più defraudati e depauperizzati nonché sterminati.
Un nuovo ripensamento, al di là delle ideologie e teorie tradizionali, si esige e si impone come l’uscire dall’autarchismo mentale e da una politica a senso unico.
I problemi dei senza casa, della miseria, delle minoranze etnico-linguistiche, dello Stato Sociale non sono “stranieri”, alieni ma rientrano nella nuova visione del c o r p o politico che deve guardare il mondo non come conquista o il proprio paese come realizzato, autarchico.
La critica che la borghesia ha sempre mosso allo stato marxista è questa da secoli: il marxismo opta per una dittatura, quella del proletariato.
Il marxista ha sempre obiettato che nei sistemi borghesi, in realtà, la classe al potere è la borghesia che impone la propria dittatura…
L’obiezione è giusta se concepiamo in termini classistici la politica e con vecchi criteri.
Con i nostri occhi possiamo constatare la ricchezza più smodata e la povertà più greve. Se i sistemi marxisti o del “socialismo reale o realizzato” hanno fallito, anche il neo-liberismo sfrenato crea profondi traumi sociali. Non ci può assicurare quella cultura della non-discriminazione e dei valori poiché esso si basa sulla lotta belluina, sulla concorrenza spietata, sul “surplus” dei prodotti che non riesce a smerciare… Anzi, tende ad arricchire una fascia di privilegiati, aprendo un baratro su altri soggetti socio-politici i quali restano pur sempre degli individui.
L’apprensione delle coscienze più attente mira alla salvaguardia del rapporto uomo sta ad uomo con i suoi diritti inalienabili, intoccabili, in primis quelli fisici e morali nonché “spirituali” onde non all’assistenzialismo ma alla creazione di un moderno e forte Stato Sociale e alla comprensione del diverso.
Solo da tale prospettiva (il diverso,l’altro e non l’inferiore…) si può pensare ad una sintesi più alta della civiltà planetaria, rispettando le varie civiltà frutto di tantissime etnie, anche succedutesi nei secoli. In realtà, riservandomi di tornare sul problema Etica, Morale e Politica, tal ultima deve acquisire un senso universale e non limitarsi al “particolare” di guicciardinesca memoria che appartiene piuttosto ai partiti, alle fazioni ma la scienza del governo dovrebbe avere caratteri statuali di “universalità” come ogni altra disciplina, senza mutazioni -ben inteso di campo-. Così come la filosofia assume il carattere di universalità in quanto il logos non è di un popolo o di élites ma, per esser tale, deve appartenere a tutti. Le interrelazioni tra i popoli invero, quasi ovvio ma non troppo, sono planetarie e ciò non dovrebbe sfuggire ad una seria riflessione, altrimenti si rischia di ricadere nel fare corporativo e isterilirci in schemi più che obsoleti e vinti in partenza, schemi desertificanti.
Bisogna abituarsi a pensare una cultura politica in senso nuovo, aperto, privo dei retaggi del passato, non dimenticare, ma saper riflettere, compito difficile di certo ma indispensabile.
Enrico Marco Cipollini