Regia: Paolo Virzì. Soggetto: Liberamente tratto dal romanzo La generazione di Simone Lenzi. Sceneggiatura: Paolo Virzì, Simone Lenzi, Francesco Bruni. Fotografia: Vladan Radovic. Montaggio: Cecilia Zanuso. Scenografia: Alessandra Mura. Costumi: Maria Cristina La Parola. Trucco: Massimo Gattabrusi. Musiche: Thony (Federica Victoria Caiozzo). Sigla di coda: Simone Lenzi (Tutti i santi giorni). Produttore: Elisabetta Olmi. Produzione: Motorino Amaranto, Rai Cinema. Distribuzione: 01. Girato: Lazio (Roma, Acilia) e Sicilia. Interpreti: Luca Marinelli, Thony, Katie Mc Govern, Micol Azzurro, Frank Crudele, Robin Mugnaini, Fabio Gismondi, Benedetta Caselli.
Paolo Virzì gira una commedia romantica che spesso scade nel grottesco, passabile per tutto il primo tempo, persino ironica e divertente, ma decisamente sopra le righe per tutta la seconda parte, fino a risultare fastidiosa e poco credibile. Tutti i santi giorni ha pure il torto di arrivare dopo un piccolo capolavoro di poesia come La prima cosa bella, oltre al fatto che da Virzì ci attendiamo sempre il massimo e non uno scadente film alimentare.
In sintesi la trama. Guido (Marinelli) e Antonia (Thony) sono una coppia male assortita ma molto innamorata, lui viene dalla Val d’Orcia ed è figlio di docenti universitari, lei è una ragazza scappata di casa che vorrebbe fare la cantante. Vivono alla periferia di Roma, lui fa il portiere di notte ma è un ragazzo intelligente, laureato in letterature classiche, che per restare accanto alla sua bella rinuncia a un posto negli Stati Uniti come docente universitario. Antonia lavora in un autonoleggio e scrive canzoni nella speranza di avere successo. Il titolo del film è il leitmotiv della storia: Guido rientra dal lavoro e ogni mattina sveglia Antonia con la colazione a letto e la storia del santo quotidiano. I due ragazzi sono felici ma c’è qualcosa che manca alla loro unione: un figlio. Il desiderio si fa pressante, provano diverse strade, medici e consultori, infine optano per la fecondazione assistita. Il tentativo non va a buon fine, Antonia perde la testa, tradisce Guido con il primo che capita, scappa di casa, lui sprofonda nella disperazione, in un crescendo di disavventure davvero fuori luogo. Il lieto fine che prevede il matrimonio in Sicilia è la cosa più assurda di una storia bislacca, raccontata male, spesso fastidiosa, decisamente inutile. Tutti i santi giorni è senza dubbio il peggior film di Paolo Virzì, alla sua decima prova dietro la macchina da presa, che decide di raccontare una storia d’amore tra due persone diametralmente opposte per carattere, cultura e origini familiari. Guido è un bel personaggio e soltanto la bravura di Luca Marineli salva la pellicola da un giudizio ancora più negativo. Antonia è una figura raccontata molto sopra le righe, interpretata dalla debuttante Thony, molto brava come musicista ma con scarse doti da attrice. La colonna sonora ne guadagna non poco, ma il film meno. Apprezziamo l’ironia di alcune battute, il tono farsesco di certe situazioni, ma troviamo spiazzanti le caratterizzazioni dei personaggi di contorno, troppo trucidi per essere veri. I personaggi sono tratteggiati con poco spessore, a tinte monocordi, persino il protagonista è troppo buono, eccessivo nella sua dose di sopportazione di tutte le angherie pur di coronare un sogno d’amore. Virzì si fa prendere la mano da Simone Lenzi, autore di un libro scadente che affascina il regista, mentre l’apporto di Francesco Bruni, della sua poetica minimalista resta in secondo piano.
Leggiamo alcune dichiarazioni di Paolo Virzì, raccolte sulla stampa specializzata (Vivi il Cinema, ottobre 2012) che compongono una sorta di interpretazione autentica.
«Stavolta ho tenuto a bada lo spiritaccio sarcastico, anche se non ho rinunciato all’ironia, alle note buffe e anche tristi. Mi piaceva l’idea di celebrare la storia d’amore di questi due giovani che si adorano, nonostante il mondo gelido e feroce intorno a loro. È un film romantico, mi sa. Abbiamo spostato l’ambientazione a Roma e abbiamo messo questi due sradicati a vivere nella periferia metropolitana. Guido è un toscano della Val d’Orcia e viene da una famiglia di intellettuali prestigiosi. È un grande studioso latinista, uno dei maggiori conoscitori di santi e martiri proto-cristiani con alle spalle studi umanistici che avrebbero potuto portarlo chissà dove. Invece fa il portiere di notte, senza nessuna recriminazione o rimpianto. Si è accomodato a fare questa vita minuscola per stare appiccicato ad Antonia, che lavora come impiegata in un autonoleggio ma in realtà sarebbe una cantautrice. Ogni tanto canta in un locale canzoni struggenti nell’indifferenza generale, o si esibisce a beneficio dei vicini di casa, che le chiedono di fare Grazie Roma. Il suo unico devoto fan è il fidanzato. Sono entrambi dei talenti sotto-utilizzati, come ormai è regola che non scandalizza più nessuno. Presi singolarmente, Guido e Antonia sarebbero dei disadattati. Lui è un erudito d’altri tempi, parla lingue morte e vive nella propria mente. In fondo fa volentieri il portiere di notte perché può starsene tranquillo a leggere e a pensare. Lei è una sciagurata con un passato da ragazzaccia punk, spavaldamente ignorante ma vivace, vitale e bisbetica. Per il suo caratteraccio è presa di mira dal responsabile della filiale dove lavora e potrebbe essere licenziata da un giorno all’altro. Però messi insieme, questi due esseri così fragili diventano qualcosa di potentissimo, oltre a creare un meccanismo da commedia perfetto. Questo amore così potente, che scalda il cuore, a un certo punto arriva sul punto di esplodere. Lei soprattutto sembra intenzionata a buttare tutto all’aria per la frustrazione del bambino che non arriva. Il libro è stato decisamente trasformato in sceneggiatura ma il personaggio di Guido è rimasto fedele. Ci ha ispirato una qualità inconsueta nel panorama delle narrazioni all’italiana, ovvero quel suo essere tenacemente e pazientemente innamorato della compagna. Abbiamo complicato ulteriormente le carte rendendo il personaggio femminile irrequieto e sempre sull’orlo di sbottare e impazzire. Quando poi la vicenda sentimentale prende una piaga critica, nel film si aprono le pagine che nel libro non ci sono. Per i protagonisti volevo due attori del tutto ignoti, se possibile, per restituire quell’aria di verità, di storia realmente accaduta che avevo percepito nelle pagine di Simone. Per il ruolo di Guido ho fatto tanti provini a molti non attori, giovani registi, cantanti, anche a Simone Lenzi. Però poi mi ha conquistato Luca Marinelli, che avevo visto ne La solitudine dei numeri primi e ne L’ultimo terrestre, perché ha questa timidezza, questa dolcezza che corrisponde al personaggio, o perlomeno è stato capace di portarmela. Per Antonia, che nel racconto fa la cantante professionista, più che cercare un’attrice ci siamo subito indirizzati verso una cantante, che portasse nel film il suo vissuto e le sue canzoni. Ci siamo imbattuti in questo tipo un po’ curioso, Federica Victoria Caiozzo, che si è scelta un nome d’arte da elettrodomestico: Thony. Canta in inglese, pur essendo siciliana, ha una bella faccia che ispira un’aria di vivacità e insieme di dolore, è imbronciata, ombrosa e anche un po’ matta. Lei è del tutto inedita, non solo non aveva mai recitato, ma non desiderava neanche farlo. Abbiamo dovuto convincerla perché la cosa non la entusiasmava troppo. Nel film ci sono tante sue canzoni originali, bellissime. Ha veramente un talento incredibile».
Gordiano Lupi