Martedì 23 ottobre 2012 alle ore 18 si inaugura a Firenze, nelle Sale “Mario Fabiani” di Palazzo Medici Riccardi, la mostra: Natale Borsetti - La mia Resistenza non armata. Appunti e disegni di un militare italiano nei lager della Germania dal 1943 al 1945.
Interverranno: Giovanni Di Fede Assessore alla Pubblica Istruzione della Provincia di Firenze, Silvano Sarti Presidente ANPI provinciale, Alessandra Borsetti Venier curatore ed editore, Ugo Barlozzetti critico d’arte, Marco Palladini scrittore. Seguiranno alcune letture di brani scelti dagli studenti dell’Istituto “Gramsci” di Firenze, e la proiezione del video con musiche originali di Gianluca Venier.
La mostra sarà visitabile dal 23 ottobre al 10 novembre 2012.
La mostra è composta da oltre 100 disegni con scritti e appunti del capitano degli alpini Natale Borsetti (Sacile 1911-2004) - laureato in architettura a Venezia - eseguiti nei campi di concentramento nazisti di Częstochowa, Chelm, e Wietzendorf nei quali è stato prigioniero per quasi due anni.
I disegni, eseguiti per lo più a matita o a china su pezzi di carte geografiche, fogli di archivio, carta da pacchi, raffigurano con grande sensibilità e capacità tecnica scene di vita nei lager, oggetti, architetture, paesaggi e ritratti. La costante predilezione per il ritratto testimonia la volontà di restituire umanità a chi ne era stato privato, con l’evidente volontà di resistenza nei confronti di un abominio intollerabile.
Scopo della mostra e del libro è anche quello di portare una testimonianza diretta sulla storia degli oltre 650.000 I.M.I. “Internati Militari Italiani”, che ebbe caratteristiche del tutto particolari nell’ampio panorama dei prigionieri di guerra della Germania nazista.
Italienische Militär-Internierten era il nome ufficiale dato dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori del Terzo Reich nei giorni immediatamente successivi all'Armistizio di Cassibile l’8 settembre 1943.
Una storia, ancora oggi, poco conosciuta: il sacrificio che implicò il rifiuto della stragrande maggioranza degli I.M.I. di aderire alla Repubblica di Salò e non continuare la guerra al fianco dei tedeschi, che costò la vita a oltre 60.000 uomini, viene finalmente interpretato come una “Resistenza senz’armi”.
La tragedia della deportazione e l’internamento di Natale Borsetti, raccontato dalle parole del protagonista, chiamato il Biondino, sono stati trascritti dalla sottoscritta pochi mesi prima della morte di mio padre avvenuta nel 2004.
Nel 2010 a Natale Borsetti è stata conferita la medaglia d’Onore della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Scrive Claudio Di Scalzo nel testo “Resistenza in punta di matita” che ho pubblicato nel libro Natale Borsetti - La mia Resistenza non armata e che ringrazio sempre per aver colto con tanta sensibilità la storia della prigionia di mio padre:
[…] In un Novecento, addolcito nel suo baricentro da tanti diari intimi ermetici e reso aspro da altrettanti diari neorealistici, c’è anche chi ha custodito in silenzio quanto vissuto nei lager tedeschi, raccontandolo su dei foglietti anche disegnati per consegnarcelo nel nuovo secolo. Abbiamo così un libro illustrato che può diventare una narrazione simbolica ed emblematica sulla tragedia dei deportati I.M.I. in Germania. Nei fogli disegnati da Borsetti c’è l’urgenza del racconto in pochi tratti. E dico racconto rivolto agli altri suoi compagni di sventura delimitati dal perimetro del campo, dalle sagome delle baracche sia negli interni che negli esterni, dai vialetti recintati con filo spinato. E mai un tedesco: la presenza del male non ha diritto alla rappresentazione.
[…] Racconto che attinge alle risorse dell’estetica. E qui sta la necessità di farlo conoscere, dunque non solo una preziosa testimonianza, e già questo sarebbe molto, ma anche qualcosa che va oltre il raccontare comune per farsi interpretazione. In quei disegni infatti nulla è irrilevante. E proprio perché lo scopo del disegnatore non è soltanto la biografia personale o la comunicazione immediata. Qui le cose da dire e il modo di dirle si mischiano in un equilibrio puntuale e drammatico insieme. Raccontano insomma un’infinità di bagliori spirituali, umani, concreti, e questo avviene con la scabra essenzialità del segno quasi come fa il respiro che evidenzia la vitalità del vissuto.
[…] E se questi disegni fossero in alcuni momenti preghiere laiche disegnate? L’angoscia di questa “preghiera” sta tutta nella fluttuazione dell’uomo, fra l’imposizione di dovere vivere l’attimo della distruzione in un luogo terrestre e la vocazione diabolica intravista nell’ordine generale del mondo. Per accettare questo vissuto, per non smarrire la ragione o consegnarsi alla morte senza reagire, Borsetti si affida alla metafora del disegno. Il male, con una matita, viene rappresentato mentre marchia volti o squarci di paesaggio o segrega, e con questa minimale chiave estetica l’architetto e ufficiale degli alpini, prima di pensare le parole per trovare una spiegazione o una nuova idea di speranza, esce dal dominio dell’irrazionalità totale.
[…] In altri disegni Borsetti è preda di maggiore sconforto. Si sente perduto. Il disegno è o parossistico, o quasi irreale, senza bordi. Disegna fissando il nulla oltre le sagome.
Natale Borsetti ha tenuto in uno zibaldone di appunti, mischiati con i disegni stesi nei lager di Czestochowa, di Chelm, di Wietzendorf, la memoria dei suoi internamenti, prima di darne una minima sistemazione assieme alla figlia, a partire dal 1988. Così ora abbiamo una serie di prose, che in realtà sono dei racconti brevi, dove il protagonista è il Biondino. L’uso della terza persona serve all’autore ad ottenere un minimo di distacco da eventi che, seppur passati decenni, si possono prendere soltanto di taglio, come lame che non abbiano manico.
I racconti che si dipanano dalla fine del ’43 al ritorno a Sacile nell’agosto del ’45, a guerra finita, hanno diversi registri che lambiscono spesso il silenzio e l’impotenza. Anche perché i battiti del cuore rallentano, e le forze per la scrittura o il disegno potrebbero costare uno spreco mortale. La sofferenza e le trivialità subite dai soldati e dagli ufficiali italiani deportati emerge però con una nettezza che sconvolge. Quando poi la narrazione ci fa capire che le torture tedesche si raddoppiavano nel disprezzo finalizzato allo sterminio fisico e morale di ufficiali e soldati italiani, perché veicolate anche dal via libera degli aderenti alla Repubblica di Salò, che come i tedeschi non accettavano che italiani non si battessero ancora con Hitler e Mussolini contro gli Alleati, questo può suggerire come siano offensive certe riabilitazioni o certe vagheggiate pensioni per chi in Italia rastrellava partigiani mentre a Chelm militari del nostro esercito venivano mitragliati per divertimento.
Borsetti racconta la pietà, la comparsa di inaspettate generosità, la vocazione alla delazione, le umiliazioni dettate dai corpi in disfacimento, l’ottusità aguzzina, le regole innescate per stritolare gli inermi, gli amori immersi nella consolazione protettiva, e infine il ritorno a casa come lo scioglimento di un enorme gelo.
[…] Il compito più tenero e difficile della sua vita di architetto prigioniero. Inutile aggiungere che questo libro, curato da Alessandra Borsetti Venier, è anche l’indice del suo rapporto con il padre. Ora il percorso è compiuto: abbiamo un incipit e una fine. Il resto riguarda altre mani, altri occhi, altri prigionieri.
La maggior parte dei disegni e degli appunti sono pubblicati nel libro, Natale Borsetti. La mia Resistenza non armata a cura di A. Borsetti Venier, edito da Morgana Edizioni.
Con il Patrocinio di REGIONE TOSCANA - PROVINCIA DI FIRENZE - COMUNE DI FIRENZE - A.N.E.I. - A.N.P.I.
Orari: dalle 9 alle 18, con la chiusura settimanale il mercoledì. Ingresso libero
Info: Associazione culturale MULTIMEDIA91, Firenze, 335 6676218
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