Se c’è un errore di cui mi vergogno, ed è bene dirlo, scriverlo, non si sa mai qualcuno ti venga a rinfacciare cose che hai sempre detto ad amici, parenti, conoscenti, ecco, se c’è una cosa di cui mi vergogno è di aver creduto che il comunismo potesse essere la soluzione di tutti i problemi. Certo, ho le mie attenuanti, sono nato in una famiglia di operai, mia nonna lavorava in Magona, mio nonno alle Acciaierie, mio padre era ferroviere, tutti comunisti, qualcuno di loro persino iscritto al PCI, mio padre lo mandarono via dall’Arma dei Carabinieri proprio per quel motivo, ai tempi in cui l’Italia era governata da fascisti travestiti da democristiani. Ma non voglio accampare scuse, tra l’altro il Partito Comunista Italiano, da Berlinguer in poi, è stato un partito dignitoso, senza scheletri stalinisti nell’armadio, quindi non si può considerare un peccato aver creduto in quel comunismo più vicino alla Primavera di Praga che all’Unione Sovietica. Altra cosa Togliatti, ma lasciamo stare, ero piccolo a quei tempi, non potevo capire, sono colpe dei padri che ricadono sui figli.
La mia vergogna più grande è quella di aver creduto in Fidel Castro e nella sua specie di comunismo caraibico, ché allora avevo l’età della ragione, ma non la usavo, mi lasciavo abbindolare dalle sirene italiane quando scrivevano che a Cuba c’era la giustizia sociale, tutti avevano il minimo garantito, non si viveva per avere, sanità e istruzione funzionavano benissimo, altro che da noi… Ero così convinto di quelle panzane che ai tempi del mio primo viaggio a Cuba – saranno passati vent’anni, come corre il tempo… – tentavo di convincere i cubani delle mie verità apodittiche lette su Latinoamerica, il Granma versione italiana, sui testi di Gianni Vattimo, sugli articoli di Gianni Minà nel Manifesto… sì, perché compravo pure Il Manifesto e criticavo chi acquistava Il Giornale, senza capire che erano due facce della testa falsa medaglia. Ecco, questo pezzo che mi è venuto voglia di scrivere oggi è una sorta di confessione tardiva, una ritrattazione – ma non stalinista – un modo per dire quanto sono stato stupido a farmi imbottire di tante sciocchezze. Ho avuto persino a che fare con l’Associazione Italia-Cuba, pensate un po’, sia pure per poco, ricoprendo compiti direttivi nella sezione Alta Maremma. Adesso sono proprio loro che mi vomitano addosso bile e insulti, in perfetto stile comunista, secondo il copione dell’assassinio della reputazione, così in voga nell’estrema sinistra intollerante. E io mi vergogno, sì, mi vergogno da morire di aver parlato come loro, un tempo, ma l’ho fatto perché non avevo toccato con mano, perché non avevo ancora conosciuto il loro Paradiso e non potevo immaginare che era soltanto un paradiso perduto, come recita il titolo di un vecchio racconto cubano, scritto di ritorno dal primo viaggio nell’isola caraibica, una storia autobiografica, una prima forma di abiura verso quel comunismo che mi aveva allattato. Ricordo d’aver pensato, durante il viaggio di ritorno dal Caribe, a bordo d’un poco confortevole volo Cubana: “Non voterò mai più un partito che abbia per simbolo una falce e un martello”. E ho tenuto fede a quel proposito. Ma forse non le avevo mai scritte queste cose, non le avevo mai messe nero su bianco, più per me che per gli altri, per rendermene conto, io per primo, per capire che la giustizia sociale non passa per la dittatura, che il sogno d’un mondo migliore non significa privazione della libertà personale. La democrazia è un sistema imperfetto, ha molti punti deboli, spesso lascia a desiderare, ma con tutti i suoi difetti è pur sempre il sistema migliore che siamo riusciti a inventare. Churchill aveva proprio ragione. Chi l’avrebbe mai detto…
Gordiano Lupi