Ci sono delle date che devono restare indelebili nella memoria dei milanesi. E il 20 ottobre 1944 è una di queste.
Era una bella giornata di inizio autunno, piena di sole, ma allora la meteorologia contava poco: si accettava il tempo che veniva, come era sempre stato. E poi il cielo lo si guardava soprattutto per altri motivi. Come, ad esempio avvistare aeroplani nemici. Che, inaspettatamente, comparvero anche quella mattina, tracciando un percorso di morte per tutto il nord della città. Dapprima, infatti, passarono per la Bicocca e la Stazione di Greco, i loro obiettivi. Quindi, sganciando con casualità e indifferenza il resto del loro carico mortale, gli aerei inglesi proseguirono verso Precotto, colpendola, e giunsero infine a Gorla, allora un paese attraversato dalla Martesana. Case di ringhiera, un antico ponte, una bella villa, la scuola elementare Francesco Crispi. Dove, in quel momento, si trovavano più di duecento tra bambini, insegnanti e commessi.
Il primo allarme era già scattato, e così ci sarebbe dovuto essere ancora un po’ di tempo prima che suonasse il secondo. Invece, come ha raccontato don Walter Filippi nel bel libro Milano 1940-1955. Bombardata e ricostruita, non andò così: «L’intervallo è stato molto breve, forse di pochi minuti. Alle 11.25 mentre eravamo tutti sulla scala, in attesa di scendere al rifugio, è avvenuto il bombardamento. Il maestro Modena, anche lui morto quel giorno, aveva fatto in tempo a fare uscire gli amici della quinta elementare, che avevano la classe proprio vicino alla porta laterale della scuola, e a mandarli a casa».
Gli altri alunni, al contrario, erano ancora dentro l’edificio quando una bomba la centrò in pieno. Il disastro era avvenuto, come narra sempre don Filippi: «Si è sentito un gran colpo. Mi sono sentito volare, mi sono sentito strappare la cartella che avevo in mano, poi dopo un po’, non so quanto, ci siamo risvegliati. Sentivo alcuni compagni di classe, parlando ci siamo riconosciuti. Alcuni pregavano. Ero messo in diagonale, avevo un braccio steso. Il mio compagno di banco era sul mio ginocchio e quando mi muovevo mi diceva Fai piano, non muoverti che sento male».
Solo verso le 2 del pomeriggio, la pala toccò le sue dita. E lui, muovendosi, attirò l’attenzione dei soccorritori: «Il mio compagno di banco, che poi è morto perché aveva ferite molto gravi, mi ha detto: Se ti salvi, Walter, dì alla mamma che non ho sofferto e che la saluto tanto. Quando sono arrivato fuori avevo solo una cicatrice di una piccola scheggia, ero nudo però, caso strano, senza vestiti, cercavo una giacchettina che mi aveva dato la mamma alla mattina... Ero pieno di polvere. Mi hanno portato all’ospedale di Niguarda. Ero sulla barella e vicino a me c’erano tre barelle di operai della Breda morti, perché hanno preso anche la Breda quel giorno. Ero lì, vivo in mezzo alle bare, avevo 9 anni e non capivo».
Walter, insieme ad un’infermiera, prese poi il tram (già allora il 4) e tornò al suo paesino. A Gorla, però, non c’erano più bambini: «Della zona vecchia Gorla dalla prima alla quarta elementare, dei maschietti, sono rimasto solo io… Quando le mamme mi vedevano passare, mi dicevano “Fortunato!”, poi venivano ad abbracciarmi. Anche la mia cuginetta del primo piano è morta sotto il bombardamento e la zia quando mi vedeva aveva sempre dei problemi…».
Furono più di 600, i morti a Milano per quell’attacco. Un terzo, a Gorla. Tra loro Ambrogio Sironi, che come narra nel libro la sorella, quella mattina voleva bigiare e si era nascosto sotto la cesta del fieno del carro con cui il padre faceva delle consegne: a Turro, però, un signore aveva scorto il bambino e avvisato il papà, che l’aveva portato a scuola. Fu l’ultima volta che lo vide...
Destino, fortuna e sfortuna: la piccola storia, la nostra, è fatta anche di questo.
Al posto della scuola, adesso, in piazza dei Piccoli Martiri c’è un monumento sotto cui si trova un ossario: a fianco, scorre placida la Martesana. La folle Milano del boom al posto della scuola voleva costruirvi una casa e dimenticare, ma i cittadini della Gorla post bellica hanno raccolto soldi, fatto pressioni, interpellanze in Comune, e alla fine hanno ottenuto il loro diritto al ricordo.
Anche questo 20 ottobre vi si terrà una cerimonia: pochi di noi potranno andarci. Però, la prossima volta che passiamo con la linea 1 della Metropolitana da quelle parti, fermiamoci un momento dalla corsa della nostra vita e andiamo a vederlo, quel monumento. Ritagliamoci qualche minuto per immaginare, pensare, magari anche piangere.
Se poi qualcuno volesse saperne di più, si può contattare il Comitato Museo della pace, a cui va l’inestimabile merito di avere mantenuta viva questa tragedia, una delle più terribili che siano accadute nella lunga storia di Milano. Come, invece, non è successo a molte altre, perse nel veloce scorrere del tempo della città.
A tutto noi, il compito/dovere di ritrovarle e raccontarle. Saludi