«In una foresta di pietra/ ho partorito il mio dolore/ sorda al vagito dei ricordi/ho abbandonato/ i suoi occhi umidi/ sulla roccia nuda»... programma poetico che sembra uscire dalla cornice della silloge di Paola Sarcià per affidarsi al silenzio ed alla del mare che respirano in versi trasparenti e meditativi, luminosi acri di salsedine.
La natura si configura nell'io-narrante della poetessa ed invita a guardare lontano in un reportage di immagini-parole del passato che riaffiora, fuso in una visione pluralistica in continuo dialogo religioso con la terra.
Proprio nella parola che nasce “responsabile rivelazione” per prima a se stessa, proprio nella parola isolata spesso a costituire un solo verso in quel dosaggio leggero e mai presuntuoso, la lirica dell'autrice diventa, in particolare nella seconda sezione, poesia combattente e coscienza civile del male di vivere.
Poesia che mai, in nessun verso, perde la compostezza e la grazia caratterizzanti la prima raccolta (Occhi di Zagara) ed anzi ne eredita la forza migrando, dal racconto di se stessa, all’ascolto di silenzi da rivelare.
Un ascolto che, forte come zagara, abbraccia il dolore del massacro delle guerre e offre come sudario l'anima che pervade i suoi versi.
È proprio nel desiderio di fondersi nelle cose, fin quasi ad una religiosità pagana di penetrazione delle stesse, che trovano la maggiore intensità questi “echi d'onda” che titolano la silloge.
«Confondermi/ tra la sabbia e l'onda/ essere anch'io/ battigia/ increspata dalla risacca/ accarezzata dalle maree/ scoglio/ sommerso e silenzioso/ che occhieggia alla luna/ spuma/ sospinta dal vento/ creatura del mare/ senza confini di pietra/ orizzonte indistinto/ in cerca d'infinito».
“Battigia”, “scoglio”, “spuma”, identità contigue, seppur distinte in ambito semantico, concretizzano il desiderio della poetessa di dare voce alla varietà del creato con una poesia che è sospirodell'ansa lusinga la sponda… prima di fondersi col mare.
L'intera lirica è un ispirato sforzo di “accordo ossimorico” con la natura che sospira dolcemente ed insieme riporta l'eco del fragore degli alberi squassati e “sconfitti dal vento” mentre emergono dai fondali chiome d'alga e timide stelle.
Questo continuo accostamento di opposti
Magica manta/ di abissi stellati/ distende le sue ali/ in un volo liquido/ cavallucci marini … / … risplendono nell’alchimia /che cielo e mare trasfonde
sarà la spinta a solcare altri mari, echi e parole differenti,in una meditata introspezione che ci restituisce lo sguardo stupefatto della poetessa fattosi silenzioso e si apre in una scrittura diacronica, sempre più vasta e complessa, d'impegnato ascolto e condivisa accoglienza.
«artefice di parole/ ridisegno le forme/ di una realtà sfumata/ incendio i colori/ respiro vita» ed insieme «tutto travolge/ la marea del tempo/ che il prima e il dopo/ dissolve» ed ancora «si conta il dolore/ nelle pieghe del volto/ nelle dita scarne/ posate sul pianto dei bambini/ rassegnati testimoni/ di disumane follie».
È in questa modalità ascendente e di voluta sottomissione dell'ego, che la poesia migliore dell'autrice accompagna, con aderita pietas, volti impietriti di madri, silenzi e crocifissioni terrene «guardo piedi scalzi straziati di spine/ occhi vitrei/ scrutano un orizzonte d'argilla» mentre il mare non solo offre refrigerio ed ascolto ma veicola echi straziate facendosi «altare di aneliti/ sepolcro di sogni».
Riporto infine, non senza commozione, l’immagine del “poeta non fingitore” ma tedoforo di luce bagnata di lacrime «il poeta le raccoglie/ prima di dimenticare le parole/ le ricompone in versi/ liquidi di dolore/ che cola sulla pelle».
Patrizia Garofalo
Paola Sarcià
Echi dall'onda
EIF/“orizzonti”, pagg. 85, € 10,00