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Alessandra Borsetti Venier. Morgana Edizioni pubblica “Clementina” dal sardo in italiano
12 Ottobre 2012
 

Un interessante esperimento editoriale proposto da Morgana Edizioni è Clementina, il romanzo di Palmiro De Giovanni, tradotto dal sardo all’italiano da Riccardo Mansani.

Già da molto tempo la Sardegna si sta rivelando variegata e straripante terra di narratori. Nomi come Michela Murgia, Salvatore Mannuzzu, Marcello Fois, il compianto Sergio Atzeni (ma tanti altri se ne potrebbero citare) fanno parte ormai stabilmente del panorama narrativo italiano e si ritrovano di frequente ai primi posti nelle classifiche dei principali premi letterari nazionali.

Con questi nuovi narratori la letteratura sarda si distacca dalle tradizionali tematiche agropastorali care alla Deledda e a gran parte del Novecento sardo, per proiettarsi a pieno titolo, e con risultati di eccellenza, verso la modernità.

La Sardegna costituisce un variegato e interessante universo linguistico formatosi direttamente dal latino, in parallelo con tutte le altre lingue romanze e quindi, a nessun titolo, riconducibile sotto l’etichetta di dialetto italiano. Della “lingua sarda” si possono individuare cinque principali ceppi: Logudorese, Nuorese, Campidanese, Sassarese e Gallurese, inoltre, un particolare dialetto Catalano è parlato nella città di Alghero.

I nuovi narratori cui ho accennato scrivono tutti in italiano, ma accanto ad essi esistono numerosi scrittori che, pur non rinunciando alla modernità delle tematiche, si esprimono in uno dei ceppi linguistici sardi. È questo il caso di Palmiro De Giovanni l’autore di Climintina, nel titolo originale.

Climintina è stato originariamente scritto in Sassarese, uno dei due ceppi linguistici, insieme al Gallurese, che si parlano sulla costa e in un ristretto entroterra settentrionale dell’isola. Entrambe le lingue risentono dell’influenza dell’antico Pisano, eredità della dominazione che, per oltre due secoli, dall’XI al XIV, la repubblica marinara esercitò sulla Sardegna e sulla Corsica.

 

Scrive Riccardo Mansani, traduttore del libro dal sardo all’italiano:

Il romanzo di De Giovanni, aveva vinto nel 1992 il premio “Posada”, uno dei tanti premi letterari per opere di narrativa in lingua sarda e nello stesso anno era stato pubblicato a cura del comitato organizzatore del premio, ma non aveva riscosso una grande attenzione. Nel 2008 il libro fu ripresentato a Sassari e io assistetti per puro caso a quella presentazione.

Quello che mi colpì fu il contrasto, abbastanza intrigante, tra la modernità della storia narrata e la lingua nella quale era scritta, lingua che io non conoscevo approfonditamente e che, difficilmente, riuscivo a immaginare fuori dalla realtà popolare dei mercatini e delle osterie del centro storico di Sassari. Incuriosito, decisi di leggerlo e fu una rivelazione: un romanzo che trovai bellissimo, profondo, che senza rinunciare alla centralità della narrazione indagava a fondo la psicologia femminile con partecipazione sofferta e perfino frequenti spunti psicanalitici.

Credo che un dialetto diventi lingua quando trascende la realtà locale nella quale è nato e arriva a esprimere sentimenti e situazioni universali; questo, a mio avviso, riusciva a fare Climintina.

Tradurlo in italiano e curarne la pubblicazione mi sembrò una buona idea, ma volevo che ciò fosse fatto rigettando tutti quegli elementi di interesse etnico e talvolta folkloristico, che caratterizzano in genere l’approccio alla produzione cosiddetta “dialettale”. Approccio legittimo e utile all’occhio dell’antropologo o del linguista, ma che avrebbe avuto il limite di mettere in secondo piano i valori letterari e narrativi dell’opera, oltre che considerare con pizzico di snobismo la lingua nella quale l’opera era stata scritta. Climintina era l’espressione di una “letteratura” e come tale doveva essere avvicinato dall’editore: per il suo valore letterario, non diversamente da come si fa con una qualsiasi opera appartenente ad una letteratura “altra”.

Questo significava innanzi tutto due cose, il rifiuto del testo originale a fronte e la scelta di un editore non sardo. Quest’ultimo elemento soprattutto, oltre a dissipare ogni sospetto di operazione autopromozionale, contiene un importante ingrediente di carattere simbolico: è la letteratura sassarese che diviene oggetto di interesse esterno e la lingua che viene trattata da lingua autonoma, capace cioè di suscitare interesse, per la letteratura che è in grado di produrre, anche al di fuori del mondo in cui si è formata. E questo altro non significa se non l’emancipazione dall’etichetta dialettale. L’editore Morgana Edizioni di Firenze a cui ho sottoposto il progetto editoriale si è dimostrato subito interessato e l’ha pubblicato facendone una rilevante operazione editoriale di grande coraggio e attualità.

Clementina è la storia di una donna che ha conosciuto precocemente l’esperienza di un amore totale, capace di fondere sesso e tenerezza, innocenza e oscenità; un’esperienza assoluta che, per tutta la vita, cercherà di ripetere scontrandosi inevitabilmente con la volontà di possesso e la meschinità dei maschi che incontra e che, cosciente della sua bellezza e della sua forza, finirà per distruggere. In questa sua personale ricerca di assoluto, Clementina ricorda i personaggi di Bataille che dietro la loro trasgressività ossessiva nascondono un inconscio e mai soddisfatto desiderio di Dio. Ma l’autore guarda al suo personaggio spogliandosi di ogni moralismo e fin dall’epigrafe con cui il romanzo si apre - una citazione da Nietzsche: Ciò che si fa per amore si fa sempre al di là del bene e del male - si capisce che a Clementina va tutta la sua simpatia.

Il romanzo si apre con un viaggio: Clementina, quarantenne con tutta la bellezza della maturità, ritorna al suo paese (un immaginario paese della provincia sarda dal nome bellissimo: Orviles), dopo aver scontato un lungo periodo di carcere. Sedici anni prima, durante un litigio, ha ferito il suo amante con un colpo partito accidentalmente dalla pistola di lui e per questo è stata giudicata e condannata con tutta la severità e la durezza che la sua fama di donna dissoluta le hanno attirato.

Il viaggio si rivela fin dall’inizio come la metafora di un ritorno, ritorno a una vita normale, pacificata dalla maturità, alla ricerca non più ossessiva di un amore pacato e riconoscente, di sentimenti sereni. Un viaggio alla ricerca di un “sé” troppo precocemente smarrito. Ma gli anni di prigione, durante i quali Clementina ha sperimentato le esperienze più degradanti, l’hanno profondamente cambiata e quel “sé” è forse perduto per sempre. Il suo tentativo di reinserimento è accolto dai compaesani con sospetto, quando non con aperta ostilità e nonostante l’amore struggente e ricambiato del giovane Ermanno la sua vicenda appare presto destinata al fallimento. Allora Clementina si abbandona: si lascia sedurre da Orazia, l’amica lesbica che resuscita in lei i fantasmi della prigione, si concede al Maresciallo Zordan lo zotico macho che su ogni femmina aspira a piantare le sue bandierine di conquista e si rassegna a un destino che forse si è deciso in tempi lontani con la sua prima dirompente esperienza amorosa.

Ma in tutta questa baraonda di sentimenti perdenti l’autore non l’abbandona, egli la conduce all’epilogo della storia senza mai farle mancare quel sentimento di solidarietà umana per le sofferenze che ha dovuto sopportare a causa di un mondo gretto che si regge su consuetudini ingiuste e che giudica inesorabilmente chi sceglie di vivere la propria vita e le sue scelte con la più disperata autenticità.

La conclusione, traboccante di pietas, la tira l’autore con le parole di Francesco Lantieri, un vecchio servo pastore che da bambino aveva conosciuto il nonno di Clementina:

Per tutti, e per tutte le cose, dopo quello degli affanni arriva il tempo della quiete. Le pene di questa donna che io ho visto bambina, furono più amare per l’incomprensione e il disprezzo, ma peggiori ne merita chi la portò a morire. Ogni uccello vola con le ali che Dio gli ha dato: il corvo sporca di nero il cielo, il gabbiano lo imbianca; l’aquila ha le ali potenti, l’avvoltoio luride, ma tutti sono volatori vigorosi. È lo scricciolo, il meschino che cade spossato prima degli altri e che muore sui rovi. Ricordiamoci almeno che è lui ad aver più bisogno di pace.

 

 

Palmiro De Giovanni è nato a Sassari nel 1922 e ancora vi risiede. Ha avuto, fin da ragazzo, una grande passione di leggere e di scrivere poesie e racconti. È uscito allo scoperto da pensionato cimentandosi come poeta e come narratore in sassarese. Ha vinto numerosissimi premi e tra questi i più prestigiosi il Premio “Ozieri” per la poesia nel 1998 e il “Casteddu de sa Fae” per la narrativa nel 1994.

 

 

Le prossime presentazioni di Clementina saranno ad Alghero, Libreria Il Labirinto, sabato 13 ottobre 2012 ore 18 e a Mogoro (Oristano) nella Sala Conferenze domenica 21 ottobre ore 18.

 

Nelle migliori librerie, pag. 144, Euro 15.00 ISBN 88-89033-48-7

Morgana Edizioni - Via dei Baldovini, 4 - 50126 Firenze - 0558398747 - 3356676218

info@morganaedizioni.it - www.morganaedizioni.it


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