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Gianfranco Cordì. “Eclisse della ragione” di Max Horkheimer
Max Horkheimer (1895-1973)
Max Horkheimer (1895-1973) 
10 Ottobre 2012
 

1. La struttura. Eclisse della ragione. Critica alla ragione strumentale (traduzione di Elena Vaccari Spagnol, Einaudi, 2000) di Max Horkheimer (Stoccarda, 14 febbraio 1895 - Norimberga, 7 luglio 1973) possiede una struttura a forma di parabola. Si tratta di un luogo geometrico dei punti equidistanti da una retta (detta direttrice) e da un altro punto (detto fuoco). Si tratta ancora di una parabola convessa, ovvero concava verso l’alto. In definitiva Horkheimer parte da un punto preciso posto in alto e conduce la propria trattazione verso il basso; arriva al fuoco centrale e da lì risale di nuovo verso l’alto dirigendosi in prossimità di un punto parallelo a quello dal quale era partito. Ma perché il filosofo che ha diretto l’«Istituto per la Ricerca Sociale» nel 1930 - naturalmente a Francoforte - ha inteso assegnare al proprio percorso speculativo il carattere di una figura geometrica? E perché, poi, proprio di quella particolare figura geometrica che è la parabola? Evidentemente il titolo del volume (che esprime, mai come in questo caso, il contenuto precipuo dell’opera) ci aiuta a ricostruire un’intenzione di lavoro davvero straordinaria. «Eclisse della ragione», cioè: un evento astronomico che avviene quando un corpo celeste si colloca tra una sorgente di luce e un altro corpo. Per estensione: oscurità ombra (in senso figurato). Ancora figuratamente: crisi, periodo oscuro, perturbazione, decadenza. Insomma: la ragione si trova in un periodo di smarrimento. A giudizio dell’autore: per descrivere tale desolazione c’era bisogno di una parabola. Proprio perché la parabola, scendendo prima verso il fuoco - andando all’ingiù - descrive un percorso che conduce alla crisi per poi risalire verso su: verso il luogo dal quale potrà tornare la luce sul pianeta oscurato. Il volume di Horkheimer è dunque esattamente la descrizione di un percorso, la perimetrazione di un itinerario tra un inizio formidabile, una discesa verso il basso, un punto di non ritorno (il fuoco) ed una - possibile - risalita da tentare comunque. Così che alla fine questo «Eclisse della ragione» non ci regala solamente il tracciato del momento di maggiore difficoltà della ragione, appunto (il fuoco o l’eclissi) ma anche una storia di ciò che ha condotto l’umanità a questo tracollo e una proposta concreta di un metodo atto a far perseguire una risalita per altri versi non impossibile. C’è qualcosa che fa ombra, c’è un intruso: oggi predomina la «ragione soggettiva», lo vedremo. Occorre rendersene conto ed occorre altresì capire che esistono tutte le circostanze favorevoli alla rimozione di questo intruso. Nei fatti, può darsi benissimo che torni la luce. Ed Horkheimer ha scelto proprio una figura geometrica per esemplare il proprio pensiero perché si sta occupando della «ragione» (ovvero della guida autonoma dell’uomo in tutti i campi nei quali un’indagine o una ricerca è possibile), ovvero di quella cosa che traccia il cammino dell’uomo (attraverso il mezzo del pensiero), stabilendo rapporti e legami tra i concetti, che conduce a giudicare bene discernendo il vero dal falso e il giusto dall’ingiusto; ovvero ancora di una linea, di una retta da seguire e transitare. E per trascorrere una linea, che fa parte del piano o dello spazio, c’è comunque bisogno di una geometria.

 

2. Le quattro parti. Horckheimer descrive in questo volume più di tutto il fuoco. Ma per farlo ha bisogno di altre tre parti concatenate ad esso. Il punto di partenza della parabola è qualcosa di orizzontale (la descrizione di due concetti, di due artifici ideali restituiti attraverso le loro rispettive definizioni). Subito dopo abbiamo la seconda parte: che è la via all’ingiù della parabola. Siamo nelle zone di una considerazione storica e quindi il tempo prediletto dall’autore (correndo la parabola verso il basso) è il passato. La descrizione del fuoco torna ad essere orizzontale: siamo nel pieno di un affresco di una condizione storica particolare (quella dell’eclissi) e quindi il tempo in questo caso è quello del presente (il 1947 è l’anno di pubblicazione di questo saggio che reca come titolo originale, appunto: «Eclipse of Reason»). Si torna alla esposizione temporale nell’ultima parte (la quarta) che rappresenta una concreta proposta dell’autore per uscire dalla «crisi» illustrata nel fuoco in cui è contenuta l’eclissi. In sostanza: abbiamo, nel corso del volume, l’alternarsi di due rappresentazioni spaziali con due rappresentazioni temporali. Lo spazio dei concetti all’inizio, il tempo all’ingiù del passato, poi lo spazio della situazione particolare della «crisi» ed il tempo finale del futuro (all’interno del quale è racchiusa la proposta teorica di Horkheimer).

 

3. Nel particolare. Nel particolare le quattro parti che compongono la parabola, che serve per dar luce ad un mondo oramai oscurato, sono composte da quanto segue. Il punto di partenza è la duplice definizione di «ragione oggettiva» e «ragione soggettiva». La via all’ingiù è la considerazione storica degli avvenimenti che hanno condotto la ragione a manifestare «una tendenza a dissolvere il proprio contenuto oggettivo». Il fuoco della parabola, o terza parte del libro, è l’esatta delimitazione di quel cosmo nel quale vale la seguente considerazione: «In realtà, la ragione non ha mai guidato la realtà sociale; ma adesso è stata depurata così a fondo d’ogni tendenza o preferenza specifiche, ch’essa ha rinunciato persino a giudicare le azioni e il modo di vivere dell’uomo, che affida oramai, per una sanzione definitiva, ai contrastanti interessi di cui il nostro mondo sembra oggi alla mercé». La quarta parte invece descrive la risalita e quindi il compito che spetta alla filosofia per far uscire il mondo da questo pantano.

 

4. La ragione è sempre la stessa ma può essere oggettiva o soggettiva. Horkheimer scrive: «Secondo questa concezione, la ragione esisteva non solo nella mente dell’individuo ma anche nel mondo oggettivo; nei rapporti fra gli esseri umani e fra le classi sociali, nelle istituzioni sociali, nella natura e nelle sue manifestazioni». A questa «ragione oggettiva», il teorico della Scuola di Francoforte affianca una «ragione soggettiva». «La forza che in ultima analisi rende possibili azioni ragionevoli è la facoltà di classificare, la facoltà di induzione e deduzione, cioè il funzionamento astratto del meccanismo del pensiero, sempre identico quale che sia il contenuto specifico. Questo tipo di ragione si può chiamare ragione soggettiva». Alla «ragione soggettiva»: «Interessa soprattutto il rapporto fra mezzi e fini, l’idoneità dei procedimenti adottati per raggiungere scopi che in genere si danno per scontati e che si suppone si spighino da sé». Questo secondo tipo di «ragione» non si preoccupa affatto se gli scopi siano in sé ragionevoli; se e quando si preoccupa dei fini essa dà per scontato che anche essi siano «ragionevoli» sempre in senso soggettivo: cioè, dice ancora Horkheimer: «Secondo la ragione formalizzata, il dispotismo, la crudeltà, l’oppressione non sono cattivi in sé». Ora, la «ragione oggettiva» ha sempre considerato quella «soggettiva» come «Un’espressione limitata e parziale di un’universale razionalità da cui si deducevano criteri per tutte le cose per tutti gli esseri». Nella «ragione oggettiva» contano più i fini; nella «ragione soggettiva» hanno il predominio su tutte le altre cose i mezzi. Queste due declinazioni della «ragione» contengono, in loro stesse, due intrinseche possibili evoluzioni: «Così come la ragione soggettiva tende al materialismo volgare, così la ragione oggettiva rivela un’inclinazione al romanticismo». È infine da notare che: «Le due concezioni della ragione non rappresentano due separati e indipendenti modi d’essere dello spirito, benché la loro opposizione esprima una reale antinomia». Ed inoltre: «Il rapporto fra questi due modi di concepire la ragione non è semplicemente di opposizione: storicamente, sia l’aspetto soggettivo sia quello oggettivo della ragione sono stati presenti sin da principio, e il predominio del primo sul secondo è il frutto di un lungo processo».

 

5. La via all’ingiù. Da questo momento in poi Horkheimer intraprende un lungo excursus storico che coinvolge la religione, l’illuminismo, il pragmatismo, il tomismo, il darwinismo, il positivismo, la moderna società di massa, l’industrialismo, la scienza e la filosofia. Attraverso questo lungo processo storico si arriva dunque ad una conclusione: «Nel platonismo la teoria pitagorica dei numeri, che aveva le sue origini nella mitologia astrale, si trasformò nella teoria delle idee che cercò di definire il contenuto ultimo del pensiero come un’oggettività assoluta al di là del pensiero, benché in rapporto con esso. La crisi odierna della ragione consiste fondamentalmente nel fatto che a un certo punto il pensiero è diventato incapace di concepire una tale oggettività, o ha cominciato a negarla affermando che si tratta di un’illusione… Alla fine nessuna realtà particolare può essere considerata ragionevole in sé». La ragione si soggettivizza e «Soggettivandosi, la ragione si è anche formalizzata». Ma tutto questo processo ha una causa. «Avendo rinunciato alla sua autonomia, la ragione è diventata uno strumento. Nell’aspetto formalistico della ragione soggettiva, sottolineato dal positivismo, è messa in rilievo la sua indipendenza dal contenuto oggettivo; nell’aspetto strumentale sottolineato dal pragmatismo, è messo in rilievo il suo piegarsi a contenuti eteronomi. La ragione è ormai completamente aggiogata al processo sociale; unico criterio è diventato il suo valore strumentale, la sua funzione di mezzo per dominare gli uomini e la natura». La «ragione», in sostanza, conduce a questa situazione: «L’uomo non ha più modo di sfuggire al sistema; e come il processo di razionalizzazione non è più il risultato delle anonime forze del mercato bensì è consapevolmente deciso da una minoranza dedita al compito della pianificazione, così la massa dei soggetti deve consapevolmente adattarsi; il soggetto deve per così dire (se vogliamo valerci della definizione pragmatista) dedicare tutte le sue energie all’essere “nel movimento delle cose appartenendo ad esso”». La «ragione soggettiva» adesso è piena di «involucri formali»; la Realtà la fa da padrona, la filosofia si adegua ad essa, la condizione in cui ci si viene a trovare è quella che decide tutto quanto; contano - come detto - solo i mezzi e tutto è un unico grande mezzo. Siamo nel regno della razionalizzazione e della pianificazione. Tutto è generato dal processo di produzione stabilito dall’industrialismo. Ciò comporta una serie di conseguenze.

 

6. L’eclisse. Diminuisce l’autonomia dell’individuo. Inizia un irreversibile processo di disumanizzazione. Il pensiero diventa incapace di concepire l’oggettività oppure la nega come non esistente. Le opere d’arte vengono neutralizzate nel loro valore conoscitivo. Tutti i prodotti dell’attività umana divengono beni di consumo. La «ragione soggettiva» diventa un macchinario; un apparato buono solo per registrare dei dati altrimenti indifferenti. Tutte le categorie filosofiche si presentano adesso come dati da catalogare. Il soggetto umano è liquidato. La «ragione» stessa diventa irrazionale e stupida. La natura è asservita ed è repressa. L’uomo è sì indipendente da ideali oggettivi ma si riduce ad essere sempre più passivo. L’individuo agisce meccanicamente obbedendo ad impersonali schemi di adattamento. L’ego diventa smisurato. C’è solo l’autoconservazione a dettare legge. Si genera una profonda insicurezza.

 

7. Per una critica della ragione industriale. «Il formalizzarsi della ragione conduce ad una paradossale situazione culturale. Da una parte, in quest’epoca raggiunge il culmine il distruttivo antagonismo di io e natura, un antagonismo in cui si riassume la storia della nostra civiltà. Abbiamo visto come il tentativo totalitario di soggiogare la natura riducesse l’ego, il soggetto umano, a semplice strumento di repressione. Tutte le altre funzioni dell’ego, espresse da concetti e idee generali, ne sono state screditate. Dall’altra parte il pensiero filosofico, cui spetta il compito di tentare una riconciliazione è giunto a negare o a dimenticare l’esistenza stessa di quell’antagonismo». All’interno di questa «situazione paradossale» germogliano, sempre a giudizio di Horkheimer, proprio le condizioni fattive e concrete affinché il pensiero filosofico possa azzardare quella «riconciliazione» e far risalire la parabola dal fuoco in cui è finita. Affinché possa tornare la luce momentaneamente assente a causa dell’eclisse. E qui parte la proposta teorica sostanziale che Horckheimer mette in campo come possibile via all’insù della parabola. Come possibile risalita della linea che, geometricamente, egli aveva investigato nel corso del suo libro sino alla descrizione spaziale della condizione in cui si è venuta a trovare la società attuale. Questa condizione è vero che è quella nella quale la stessa «ragione soggettiva»: «Perde ogni spontaneità e produttività, ogni capacità di scoprire e affermare contenuti nuovi; perde, in una parola, la sua soggettività» ma è anche vero che è la stessa circostanza nella quale «Le forme di un industrialismo estremamente sviluppato hanno tolto libertà ai pensieri e alle azioni dell’uomo, il peso dei meccanismo della cultura di massa, che non lasciano scappatoie per nessuno, ha determinato la decadenza dell’idea di individualità: così si sono create le condizioni essenziali all’emanciparsi della ragione». Nasce così una prospettiva (che scaturisce dalla storia stessa raccontata attraverso due definizioni - momento orizzontale - una via all’ingiù -primo momento temporale riservato al passato -e una constatazione di una occorrenza di nuovo orizzontale -l’eclissi (o fuoco) descritta da Horkheimer nei termini di una crisi e di una profonda malattia. La proposta di Horkheimer si riferisce alla possibilità di un nuovo pensiero critico e indipendente. «Il compito della riflessione critica non è solo quello di comprendere i fatti nella loro evoluzione storica - e già questo avrebbe implicazioni immensamente più vaste di quanto abbia mai immaginato la scolastica positivistica - ma anche quello di approfondire il concetto stesso di fatto, rendendolo nella sua evoluzione e quindi nella sua relatività». Detto in parole povere: «Il compito della filosofia non sta nel difendere ostinatamente una di queste due concezioni a spese dell’altra ma nell’incoraggiare la critica reciproca e così, se possibile, preparare nel regno delle idee la loro conciliazione nella realtà». Abbiamo di fronte «ragione soggettiva» e «ragione oggettiva», spirito e natura, soggetto e oggetto. Occorre tentare il tutto per tutto. Occorre una filosofia che alla ragione industriale sappia opporre una critica che sappia «opporsi alla frattura fra idee e realtà; ossia confronta l’esistente, nel suo contesto storico, con i suoi principî concettuali, al fine di sottoporre a critica il rapporto fra l’uno e gli altri e così trascenderli. Essa deriva il suo carattere positivo precisamente dall’interazione di questi due procedimenti negativi». La ragione industriale è quella che circola liberamente e in maniera incontrastata in uno spazio (e siamo di nuovo al fuoco) nel quale «La completa trasformazione del mondo in un mondo di mezzi anziché di fini è essa stessa la conseguenza dello sviluppo storico dei metodi di produzione». La strada per Max Horkheimer è dunque quella della riflessione che riesca ad esaminare fatti e teorie per determinare in modo rigoroso certe loro caratteristiche. La strada è quella della consapevolezza e dell’analisi. Una via d’uscita, forse, c’è.

 

Gianfranco Cordì


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