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Gino Songini. Il paese dell’eterno Carnevale
07 Ottobre 2012
 

Basta con Arlecchino e Pulcinella. Basta con Gianduia e Pantalone. Basta con Meneghino e Stenterello. Basta. Oggi le nostre maschere hanno altri nomi. Nell’anno di grazia 2012 esse, tanto per non fare nomi, si chiamano Berlusconi, Bossi, Polverini, Penati, Formigoni, Lombardo, ecc. Altre maschere per così dire minori, che sfileranno sicuramente al prossimo Carnevale di Viareggio, portano il nome di Lusi, Belsito, Fiorito, Nicole Minetti, ecc. (di quest’ultima sfilerà l’immagine di una parte anatomica che per decenza non vogliamo nominare).

Intanto il mondo ride di noi. Ah, questi italiani, che non riescono a liberarsi della loro immagine da operetta! Intendiamoci, non è che negli altri paesi tutto vada per il meglio. La politica è ovunque un labirinto insidioso, difficile da percorrere senza andare a sbattere da qualche parte. E ovunque, in questo percorso, ci si imbatte in ipocriti e bugiardi, in ladri e predoni. Qualche volta, ahimè, anche in sanguinari assassini. Ma forse in nessuna parte del mondo il famoso “teatrino della politica” assume quella veste di Carnevale che è il segno distintivo della nostra vita pubblica. Forse non ci rendiamo abbastanza conto di come certi comportamenti della nostra classe politica colpiscano i cittadini degli altri paesi, che non riescono a capire come gli italiani possano accettare dai loro rappresentanti tutto e il contrario di tutto: le feste trimalcionesche con donne nude e musi di maiale, le lauree fasulle in Albania, le vacanze ai Caraibi, l’elezione di mafiosi, il bunga-bunga. E ancora i venticinque milioni (!) di denaro pubblico sottratti da un tale per fini privati, i soldi in Tanzania, i SUV e le cene a base di ostriche e champagne, la sfilata in passerella di una nota consigliera con tette e chiappe esibite ai quattro venti. Ma davvero siamo caduti così in basso? Ha certamente buon gioco l’ex comico che grida dagli angoli delle piazze: “Italiani!!”.

Permettete a questo punto una parentesi. Io non voterò mai Grillo. Per il vero non so per chi voterei ma so con certezza per chi non voterei. Non voterei sicuramente per le maschere di Carnevale prima ricordate e non darei il voto a Grillo. Voterei piuttosto per il vero Arlecchino e per il vero Pulcinella qualora si candidassero alle elezioni. Ma probabilmente non succederà. E allora? E allora si naviga a vista. Non voterò Grillo, ma come non capire la rabbia della gente? La rivolta contro la politica non è sempre qualunquismo, questa volta c’è di più, molto di più. C’è la presa d’atto di essere in mano a una immensa banda di maneggioni che si fa beffe dei sacrifici di tanta gente. Una banda che si prende gioco degli operai che salgono sui tetti degli stabilimenti e delle chiese, che si incatenano ai cancelli delle fabbriche, che si barricano nelle miniere a centinaia di metri di profondità, ecc. Una banda che se ne frega dei giovani senza lavoro, delle famiglie in difficoltà, degli onesti che pagano le tasse per poi vedere il denaro pubblico in tal modo sperperato e rubato.

I venti consigli regionali, quale più quale meno, stanno offrendo uno spettacolo penoso. Il parlamento nazionale non fa niente di meglio. Deputati e senatori, chiusi nel loro mondo dorato, non sono neppure in grado di predisporre una legge elettorale che si potrebbe varare e approvare in due giorni. I costi della politica sono vergognosi. I rappresentanti del popolo, con qualche rara eccezione, sono quasi sempre delle facce di tolla da mettere i brividi, assolutamente privi di scrupoli e di vergogna. Ogni giorno lo spettacolo offerto è peggiore di quello del giorno precedente. Intanto il Carnevale impazza. E pensare che un tempo (beata ingenuità!) pensavamo che la politica chiamasse a sé i migliori, i più competenti, i più onesti, i più pensosi del bene comune. Avevamo negli occhi i volti dei Padri della Patria, quelli che vissero e lottarono per l’indipendenza e la libertà del nostro paese, che sacrificarono se stessi per offrire all’Italia un avvenire migliore. Pensavamo a Mazzini, Garibaldi, Cavour. Pensavamo a Cattaneo, a Giolitti e poi agli eroi dell’antifascismo e a coloro che posero le basi per la ricostruzione dell’Italia dopo la tragedia della guerra: Einaudi, De Gasperi, Vanoni, ecc. O a Ferruccio Parri che, capo del governo italiano alla fine della seconda guerra mondiale, viveva a Roma in assoluta semplicità. Nella cameretta in cui dormiva c’erano un letto, un comodino e un telefono: niente altro. A questi pensavamo.

Ecco invece dove siamo finiti. Con le donnine seminude e le teste di maiale, le ville acquistate con denaro pubblico e le vacanze ai Caraibi, le lauree in Albania e il bunga-bunga. Ma se tutto questo è avvenuto la colpa è anche nostra. Perché non siamo stati capaci di una rivolta morale che ci portasse a cacciare i mercanti dal tempio. Abbiamo accettato di assistere a questo eterno Carnevale che invece di farci ridere dovrebbe farci piangere e indurci a prendere la ramazza per fare pulizia. Ma ora non se ne può più. Dicevano gli antichi romani: Oportet ut scandala eveniant (“è opportuno che gli scandali avvengano”). Proprio questa saturazione o per meglio dire questo schifo, può costituire l’occasione buona per ripartire e rinnovare dal profondo la nostra società. Coraggio. Non è mai troppo tardi.

 

Gino Songini

(da 'l Gazetinottobre 2012)


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