Ancora una volta il popolo di twitter, il partito trasversale e multinazionale dei democratici di ogni paese, ha combattuto una battaglia contro la protervia del regime dittatoriale cubano. Lo ha fatto senza coltelli, senza pistole, senza sassi da scagliare contro le carni del nemico. Lo ha fatto a suon di bit. Di impulsi elettrici che hanno corso veloci, tra i 200 mila e i 70 mila km al secondo, da un capo all'altro del pianeta. Condivisione del pensiero, delle paure, delle speranze, in una sorta di telepatia democratica, digitale e collettiva. Una immensa energia positiva che ha incredibilmente smosso in poche ore governi, politici, giornalisti, intellettuali, semplici cittadini.
Milioni di parole digitate sulle tastiere di computer, tablet, telefonini, ma tutte con una sola ragion d'essere, Yoani Sánchez era sparita da ore. La si sapeva in viaggio, sulle dissestate autostrade cubane che la vita di Oswaldo Payá avevano portato via. Proprio a Bayamo Yoani Sánchez e il marito erano diretti. Avrebbero voluto avere notizie più sicure o magari riuscire ad assistere a un processo così importante per l'opinione pubblica di diversi paesi.
Durante il viaggio, Yoani, ci ha parlato dei controlli sanitari che si intensificavano a causa di molti casi di febbre Dengue, sino a raccontarci la bellezza della natura del luogo.
Poi d'un tratto il silenzio.
Alle prime luci del mattino di venerdì ho cominciato a leggere dei twitter di dissidenti che riportavano la notizia della sua assenza, della sua strana mancanza di messaggi, del suo silenzio. Incuriosito della situazione ho continuato a scandagliare nei messaggi twitter, sui giornali online in lingua spagnola. Il primo a muoversi nell'ufficialità è stato Diario de Cuba, che a sua volta citava fonti governative spacciate da sempre per semplici voci libere, ossia García Ginarte, noto giornalista di regime, e il blog di Yohandry, definito dallo stesso Diario de Cuba il blog della Sicurezza di Stato. Ho verificato con Gordiano Lupi. Quei siti cubani riportavano la notizia nella loro consueta freddezza. Parlavano di arresto preventivo allo scopo di evitare “spettacolarizzazioni” dell'evento.
Interessante questione che mi ha fatto tornare in mente come il regime cubano si avvalga di leggi costruite ad hoc per la conservazione del regime stesso. Pensiamo all'anziano Alan Gross che è stato condannato a 15 anni di detenzione per aver ceduto sistemi di telefonia cellulare. La surreale legge cubana ha parlato di alta pericolosità relativamente all'integrità dello stato. Telefoni cellulari contro la Rivoluzione?
Ma i perversi legislatori cubani hanno prodotto qualcosa di ancor più pericoloso. La famigerata “pericolosità pre-criminale”. Questo fantasioso apparato legislativo permette alle autorità di arrestare le persone che potrebbero commettere un crimine. In sostanza, un arresto preventivo anche senza la presenza del crimine. Tale reato può essere punito con una pena fino a 4 anni di carcere. Yoani Sánchez e il marito non sono stati arrestati e privati della libertà di movimento, di espressione, di conoscenza, per aver commesso “nella realtà” un reato... ma perché il regime cubano ha deciso (evidentemente senza nessun dialogo con le parti, senza prove, senza processo) che lo avrebbero commesso. Una sorta di dittatura retroattiva e declinata alle azioni future. Come se quella coniugata al presente non bastasse.
Stamani Yoani ha scritto: «La cosa più triste e significativa è il dramma che vive la famiglia di Oswaldo Payá. I nostri arresti non sono NULLA al confronto di questa perdita».
Concludo con una domanda retorica, e personalmente penosa.
In quale diavolo di paese, anche solo discretamente civile, alla famiglia di una persona morta durante un accadimento definito reato dalla stessa magistratura... viene impedito di assistere al processo che quel reato si prefigge di condannare?
Massimo Campo
(da NuovaCuba, 6 ottobre 2012)