segue dalla puntata precedente...
– [...]
– Se è per questo, conosco Sandra da molti anni, ancora prima che si facesse prendere da… questi interessi esoterici.
– Mah, sarà… È proprio vero: non ce n’è uno dei normali.
Quando arrivarono al suo pianerottolo, stranamente la porta era ancora chiusa, mentre Mirco di solito in passato l’aveva trovata sempre aperta, perché di norma Sandra lasciava che fosse lui a preoccuparsi di richiuderla.
Decisero quindi di suonare ancora una volta e dall’ingresso gli giunse il rumore dello scalpicciare di Sandra, la serratura girò sferragliando controvoglia e la porta si aprì. Mirco si accorse subito che la cosa era strana, ma non cercò di trovare nessuna spiegazione che potesse aiutarlo a risolvere un enigma che dopotutto era banale.
– Scusa Mirco, non ti ho aperto. Sono un po’ sconnessa. Ieri sera ho fatto tardi perché sono andata a Rimini per sentire il concerto di un gruppo che mi piace molto.
Nemmeno questa era una spiegazione. Era piuttosto una giustificazione. Mirco se ne accorse subito e, pur non capendone il motivo, preferì non indagare e scelse di glissare, perché, in fondo, una cosa è fare tardi la notte, un’altra, è essere ancora sconnessi. Con ogni probabilità Sandra aveva fatto molto tardi, ma oltre a questo aveva bevuto anche di più e, conoscendola, ad indagare bene, magari saltava fuori anche qualcos’altro che non avrebbe voluto sapere, perciò decise di lasciare il mondo così come stava.
– Oh, scusami tu allora, non volevamo disturbare. Vuoi venire a pranzo con noi?
Ma sapeva già la sua risposta, dal momento che era in pigiama, con i capelli arruffati e ancora profumata di caldo e di sonno.
– No, vi ringrazio, non ho voglia di mangiare. Però entrate. Tanto per fare due chiacchiere ed essere sicura di riuscire a svegliarmi. Volete un goccio di vino bianco per aperitivo?
– Certo, perché no? Visto che non siamo di disturbo.
Ed entrarono, mentre lei spalancava la porta e si tirava in disparte per farli passare.
– Piacere di conoscerti. Mi chiamo Federico. – Gli disse quando le fu vicino e nel dirlo si inchinò leggermente, ma in modo deciso, verso di lei.
Mirco credeva volesse farle un mezzo inchino, come si vede fare con una solennità propria dei film in costume, per baciarle la mano che lei aveva allungato per salutarlo, aspettandosi molto semplicemente che gliela stringesse. Ma da Federico se lo sarebbe anche potuto aspettare un bell’inchino con tanto di baciamano. La cosa cioè non l’avrebbe sorpreso più di tanto.
Ma Federico invece rimase fermo a guardare Sandra negli occhi, come aspettandosi la risposta corretta, che per costume avrebbe dovuto fornirgli una ragazza, che nel ventunesimo secolo ricevesse ancora, e abitualmente, mezzi inchini davanti alla propria mano che invece era stata protesa soltanto quel minimo necessario per un timido segno di saluto nei confronti di uno sconosciuto. Naturalmente la risposta che Federico sembrava impaziente di ricevere, non arrivò proprio. Anzi.
Si vide al contrario una Sandra che, assolutamente impacciata, si ritrasse più che poteva, cercando di sfuggire a quel mezzo inchino così desueto quanto inaspettato e imbarazzante.
A Mirco sembrò che addirittura tentasse di nascondersi a disagio dietro la porta per non farsi vedere. Gli sembrava proprio che avesse fatto un piccolissimo passo, timidamente, tra la porta e il muro d’ingresso, come per nascondersi, mentre inarcando le sopracciglia guardava Federico indifesa e stupita.
Di più, se si fosse messa un braccio attorno al seno e una mano sul pube, sarebbe assolutamente sembrata la Venere di Botticelli in tutto e per tutto, quindi, e soprattutto, sarebbe sembrata nuda anche se non lo era affatto.
– Sono Sandra, ciao. Accomodati pure in cucina, mi sistemo un po’ e sono da voi. Mirco fai strada.
– Certo, Federico viene di qua. Disse porgendogli una sedia, un posacenere e uno sguardo complice.
Il mezzo inchino sarà stato inaspettato e imbarazzante quanto si voleva, ma di certo era stato anche molto gradito, almeno a giudicare dal rossore che Mirco aveva visto spuntare sulle gote dell’amica.
All’improvviso però vide scaldarsi anche le guance dell’amico e la sua attenzione accendersi in maniera fulminea, il suo sorriso aprirsi.
Lo sguardo di Federico infatti era diventato quello di un animale in calore e tradiva lo sgusciare lento, ma irreversibile, della sua erezione, che a sua volta tradiva il reale interesse dei suoi attuali desideri. E Mirco, tutto sommato, non poteva certo dirsi sorpreso né tantomeno biasimare l’amico, poiché anche lui si accorse di trovarsi nel medesimo stato di eccitazione.
Dal bagno, infatti, stavano giungendo gli sciacquii delle abluzioni più intime di Sandra e, attraverso il vetro smerigliato della porta, ora, si poteva vedere anche la sua vaga ombra mentre si rialzava e, per asciugarsi, si sfregava con un asciugamano in mezzo alle gambe.
La porta della camera da letto di Sandra, come se non bastasse, era socchiusa: dolcemente si potevano intravedere i suoi calzini abbandonati ai piedi del letto, caduti vicino ad un paio di tenerissime e semplicissime mutandine bianche e bordate di rosa. Ma, soprattutto, arrivava fino a loro l’odore caldo e pulito del sonno di lei, che avrebbero sicuramente ritrovato anche nella canottiera color malva, che la ragazza aveva lasciato appoggiata sul cuscino, se quella canottiera l’avessero potuta annusare, respirare, come avrebbero tanto desiderato fare.
Tuttavia, l’audace scorrere dei pensieri dei due amici, fu costretto ad interrompersi, perché proprio in quel momento la porta del bagno si aprì e Sandra ne uscì col viso e il collo profumati di sapone, vestita di una felpa sopra ai pantaloni della tuta da ginnastica. Per i due amici fu come svegliarsi al suono della sveglia solo per cadere dritto per dritto nell’ovatta di in un altro sogno, ancora più bello, morbido e confortevole. Persino l’orecchino che trafiggeva il naso della ragazza, e che Mirco odiava fin dai tempi della scuola, aveva ora un aspetto tenero, delizioso, tirabaci.
Sandra si avvicinò al tavolo sorridendo e sedendosi aveva ripiegato un piede scalzo sotto al sedere. Sentivano l’odore del suo corpo. Era buono. In tanti anni di conoscenza, Sandra non era mai sembrata, neanche a Mirco, tanto piacevole come lo era adesso, avvolta nella sua intimità tanto semplice e genuina.
– Mi dispiace di non venire a pranzo con voi, ma proprio non me la sento. Ma siete stati carini lo stesso ad invitarmi. – Disse scusandosi con gli occhi, e principalmente rivolta a Federico.
– Figurati, sarà per un’altra volta. Così abbiamo una scusa per rivederci. – Continuò candidamente lui. E in un attimo, da complice, Mirco era diventato di troppo.
– Scusa, che cos’è quella punta di legno appoggiata sulla libreria? – Chiese inspiegabilmente Federico che, da come lo conosceva Mirco, quando si imbatteva in un oggetto sconosciuto, faceva di tutto, tranne il chiedere cosa fosse.
– È una specie di talismano che si usa nelle sedute spiritiche.
– Già è vero, Mirco mi ha raccontato dei tuoi interessi.
– Anche tu, però, in fatto di interessi bizzarri non scherzi affatto. – Intervenne Mirco deciso a ricordare agli altri due la sua esistenza.
– Perché? – Chiese Sandra direttamente a Federico, ricacciando l’altro con altrettanta decisione nell’oblio.
– Si riferisce al fatto che colleziono oggetti strani.
– Sconosciuti. – Si intromise Mirco nuovamente e disperatamente.
– Come scusa?
– Sconosciuti, e non strani. C’è una bella differenza. – Tenne a precisare Mirco ancora decisissimo a farsi notare.
– Beh insomma, a farla breve colleziono oggetti che non so cosa siano e a cosa servano. – Specificò Federico facendola molto, troppo breve.
– Se non puoi venire a pranzo ora, vorresti venire con noi a cena questa sera? – Era l’unica cosa di utile che Mirco potesse dire giustificando la sua presenza in quel momento.
– Perché invece non facciamo così? Il gruppo che ho ascoltato ieri sera a Rimini, alla fine del concerto ha detto che avrebbe suonato anche da noi questa sera al Pitekko. Da sola non ci vado. C’è gente troppo scalmanata. Perché non mi accompagnate voi?
– Ma bene, così non menano solo te, ma anche noi due. – Rispose acido Mirco, che non aveva proprio la minima intenzione di andare a prendersi spintoni per tutta una serata in una discoteca affollatissima. Era una promessa che si era fatto molti anni addietro, di non mettere piede in discoteca, e che aveva sempre mantenuto con ligia dedizione. Gli sarebbe scocciato davvero parecchio dover interrompere quel voto a solo vantaggio di quei due che fino a quel momento nemmeno se lo erano cagato.
– Dai non rompere! – Lo avvisò Sandra.
– E come si chiamerebbe questo gruppo, di grazia?
– Si chiama Tribal Crash, ma non sfottere per favore.
– E scommetto che sono i soliti idioti, che cantano per un pubblico di idioti, che si spingono davanti al palco come degli idioti.
– Mirco smettila, se non vuoi venire stattene a casa, ma smettila di sfottere. A te del resto la musica non piace nemmeno. E non ti piacciono le discoteche. Stattene a casa allora!
Capiva che Sandra si stava irritando. Eppure non riusciva a smettere, la rabbia lo stava accecando e vedeva le cose ondeggiargli davanti agli occhi.
– Certo, e invece scommetto che il gruppo di questa sera è per veri intenditori, immagino che non tutti siano in grado di capirli o di ascoltarli. Sono io che sto sbagliando vero? – Continuò Mirco con la voglia di ferirla.
– Smettila!
– Poi, che fanno di tanto nuovo o diverso? Sentiamo. Sputano sul pubblico in segno di protesta? – Continuò ancora più cattivo.
– Smettila di spingere è il nero che bussa sta sera! – Replicò Sandra imbufalita. Senza accorgersene.
Mirco rimase fulminato sul posto, in quel preciso istante. E rimase a guardarla stupefatto. Gli occhi di Sandra si erano riempiti di goccioloni.
All’improvviso sentì che il suo corpo si era fatto duro, immobile e freddo, vetrificato. Come succede alla sabbia dopo che viene colpita dalla violenza di un fulmine su una spiaggia: una pozza che sembra ghiacciata e invece si è fatta di vetro. Mirco se ne accorse subito: Sandra aveva risposto parlandogli come fa anche lui nei momenti più bui del suo mal di testa.
– Scusa Sandra, non volevo farti arrabbiare in questo modo. Perdonami ti prego.
Si sentiva in colpa per essersi comportato come un verme che striscia sulla debolezza degli altri. Come un padre che sgrida suo figlio e poi si accorge di avere torto.
– Tutto bene ragazzi? – Era Federico. È vero, c’era anche lui.
Se Mirco era sgusciato fuori dall’oblio, allora l’avevo fatto nel peggiore dei modi possibili: aggredendo gli altri.
– Sì, tutto bene. – Risposero lui e Sandra quasi in coro.
– Scusami ancora. Giuro che sta sera farò il bravo e non romperò le scatole.
– Va bene.
Ma non era vero. Gli teneva ancora il broncio e la capiva benissimo. Era ancora lontanissima dallo scusarsi realmente.
Chiunque ti metta in angolo tanto buio e freddo da costringerti a parlare in quel modo così sconnesso e impaurito, non può essere scusato tanto facilmente, perché per quel momento è stato classificato come un nemico che vorresti vedere contorcersi come un pesce con un coltello piantato in un occhio. E certe cose non possono passare subito.
Lo sapeva.
Accidenti però! Sembravi me quando sono in preda ai miei attacchi di mal di testa. Per un attimo abbiamo parlato la stessa lingua, mancava poco che ci capissimo.
– Già. – Fu la sua risposta seccata.
E niente di più.
Non lo guardò nemmeno. Sembrava che qualcosa si fosse rotto per davvero. Mirco temeva per sempre.
Gli era successo come quando da bambino si divertiva a spaccare le macchinine giocattolo che riceveva in regalo. Lo faceva per guardare come erano fatte dentro, come si modificava la loro forma quando lentamente le strizzava in una morsa da fabbro. Poi, consumato quel piacere momentaneo di tortura curiosa, osservava stupito e incapace di credere a ciò che aveva appena fatto, e pentendosi per averlo fatto, perché si ritrovava in possesso di un gioco inutilizzabile con il piacere provato poco prima del tutto sparito, volatilizzato in pochi secondi.
Il dono che qualcuno gli aveva fatto restava lì, completamente e irreversibilmente maciullato davanti a lui e ai suoi occhi pieni di pentimento sincero, ma inutile. Eppure, pur sapendo esattamente cosa gli sarebbe successo dopo, sebbene conoscesse già la tristezza e la vergogna che lo assalivano non appena terminata la sua opera di distruzione, nondimeno continuava imperterrito col distruggere collezioni intere di giocattoli. Inarrestabilmente e come trascinato da forza insana che agiva per mezzo del suo corpo per manifestare la propria violenza e la propria chirurgica curiosità, aveva storpiato, violato, disgregato automobiline, robot, soldatini in plastica e qualsiasi altra cosa avesse eccitato la sua morbosità.
Con Sandra ora avevo fatto la stessa identica cosa. Guidato da un istinto, distruttivamente tanto primitivo quanto infantile e oscuro, aveva infuriato su di lei solo per vedere come fossero le sue forme schiacciate dall’impotenza, l’aspetto che avessero i visceri della sua resa. E non appena si concluse quell’attimo di crudeltà e rabbia martirizzanti, non appena svanì quell’ebbrezza dal sapore quasi divino, che possiamo gustare solo distruggendo, laddove il potere della creazione ci è impossibile o negato, tra le mani si ritrovò una persona indifesa, stupita, ferita, spaventata, richiusa in sé stessa, che, ovviamente piuttosto che scusarlo, lo avrebbe mandato volentieri a fare in culo, e che, vistosamente, si tratteneva dal farlo davvero, soltanto per una mera questione di educazione.
Era stata una furia che si era librata dal suo petto forse solo per pochi minuti. Ma gli occhi di Mirco ancora ne tradivano tutto il sadismo. E Sandra evitava di guardarci dentro.
– …
– …
– …
– Allora ci vediamo sta sera. D’accordo? – Intervenne Federico per smorzare la tensione.
– Sì, alle dieci e mezza davanti all’ingresso del Pitekko. – Rispose Sandra.
E per un attimo sembrò riprendere luce negli occhi. Addolcirsi, fino a sorvolare su quanto era appena accaduto, pur di andare al concerto e fare quella cosa che tanto le premeva. Sembrava disposta a sobbarcarsi anche Mirco, che intuì, una volta di più, di non essere ancora stato scusato e che forse non lo sarebbe stato mai.
Ma cosa le interessava di più? Si chiese Mirco dentro di sé. Le interessava davvero così tanto quel concerto o forse le interessava di più la compagnia di Federico, solo che non aveva ancora intenzione di esporsi così tanto da chiedere solo a lui di accompagnarla?
Così… le era bastato vederlo una volta sola.
Immediatamente sentì di nuovo che la rabbia e la sua potenza stavano per riassalirlo al petto con una volontà impersonale e rapace. Soffiò forte dalle narici e riuscì a trattenersi. Silenziosamente. E non disse una parola.
Nessuno disse una parola. Se qualcuno l’avesse fatto, sarebbe caduta sul pavimento col rumore di una pietra tirata contro la vetrata di una chiesa.
– …
– …
– …
– Vi accompagno alla porta. – Era Sandra.
– …
– …
– …
Mirco soffiò ancora. Questa volta però parlò:
– Sì. – Disse tagliente.
Ascoltò la sua voce muoversi nell’aria della stanza con un rumore simile a quello che fa il coltello del macellaio nella carne che sta affettando in quel momento.
– Ok. – Si azzardò a dire Federico.
– …
– …
– …
Ma nessuno si muoveva di una virgola.
Silenzio tra loro. Ognuno a guardarsi le punte delle dita.
– …
– …
– …
– Allora andiamo. – Riprese Federico, ma sempre guardandosi le punte delle dita. E sarebbe potuto trascorrere un secondo, come un anno, o una vita intera. Forse era già il trenta di febbraio.
Nessuno si mosse.
– …
– …
– …
Poi Sandra alzò lo sguardo. Questa volta soffiò anche lei, ma non dal naso, lo fece dalla bocca e per scacciare la tensione. Subito dopo le spalle le si abbassarono leggermente.
– Forza dai… ci vediamo sta sera. Va bene? – Chiese.
– Certo.
– Ok.
Si avviarono tutti e tre verso la porta in questo ordine: Sandra, Federico, Mirco.
E, quando Sandra aprì la porta per fare uscire Federico, lo baciò su una guancia e gli sussurrò qualcosa per scusarsi. Siccome non aveva nulla di cui scusarsi, Mirco che aveva notato la scena, comprese che era altro quello che voleva veramente dirgli o fargli capire.
Anche Federico capì, perché le disse che non c’era nessun problema. E dal momento che non c’era, almeno tra loro due, davvero nessun problema, Mirco comprese che anche Federico aveva capito tutto quel che c’era da capire.
Infatti, li vide abbracciarsi come amici di vecchissima data per salutarsi ancora un’ultima volta e scusarsi nuovamente, questa volta all’unisono.
Gli scocciava parecchio a Mirco, che loro avessero trovato quella appariscente solidarietà grazie al suo comportamento idiota, che si era rivelato essere non solo potenzialmente, ma anche, e a tutti gli effetti, distruttivo e tenebroso, esaltato e geloso.
Quando, per uscire e salutarsi, toccò a lui passare di fianco a Sandra, si guardarono, e gli occhi di lei, ne era certo, erano cambiati. Il loro colore non era più nero, anzi non era più nemmeno un colore quello che stava vedendo ora, bensì due fori che si affacciavano sul buio, sullo sgomento, si affacciavano anche sul freddo, in una parola si affacciavano sulla notte, quella primordiale che regnava prima che iniziasse il tempo.
– Tutto bene? – Si accertò di nuovo Mirco, con quanta più contrizione potesse mettere nella sua voce e nei suoi gesti, perché si sentiva la causa di quei due fori che sembravano averle mangiato gli occhi e l’anima.
– Sì. – Rispose.
Ma sapeva benissimo che non era vero. Era accaduto qualcosa di diverso che tra loro due, qualcosa che non era mai accaduto prima.
O forse loro due non c’entravano nemmeno. Per niente. Forse non c’entrava proprio nessuno. C’era semplicemente qualcosa di diverso nel mondo
Decisero di trattenere il respiro per qualche secondo...
– …
– …
– Allora ciao.
– Ciao.
– Ma fate sempre così? – Gli chiese Federico quando furono da soli nell'ascensore.
– Più o meno da quando ci conosciamo. – Rispose, sapendo di mentire.
Dentro di sé sapeva che questa volta c’era qualcosa di diverso. Stava mentendo. Sentiva, piuttosto, ma in modo percettivo e remoto, come se qualcosa avesse serpeggiato nella stanza per tutto il tempo che vi erano rimasti, come se qualcosa avesse strisciato in mezzo a loro con una forza capace di unirli come di dividerli tutti, di creare come di distruggere. Aveva sentito qualcosa di diverso in Sandra. Qualcosa di cambiato nei suoi occhi, che aveva visto così lontani e alieni nel momento in cui si erano dovuti salutare.
– …
– …
– Avevi ragione sai...
– Cioè?
– È carina.
– Ah, ma davvero!?
– …
– …
– Tribal crash eh? – Disse Federico storcendo la bocca all'insù prima di mettersi a ridere.
– Già… Che nome del cazzo!
E anche Mirco scoppiò in una risata liberatoria, scuotendo la testa e guardandosi la punta delle scarpe. Quando uscirono in strada si accordarono nuovamente:
– Allora alle dieci e trenta davanti all’ingresso della discoteca.
– Va bene. A sta sera. Ciao.
Alle dieci e venti Mirco, mentre parcheggiava l’auto dietro alla discoteca, incontrò Federico che stava camminando in direzione dell’ingresso, dove avevano l’appuntamento con Sandra.
– Ehi, ciao. – Lo chiamò e guardandolo gli venne da sorridere perché si accorse che non era più vestito come suo solito, ma si era preparato per l'occasione e con ogni probabilità per Sandra.
Indossava Jeans bianchi, una maglia nera da cui spuntava una t-shirt di cotone bianco e un misero e slavato giubbottino jeans. Era visibilmente infreddolito. Ma stava indossando con dignità la sua nuova divisa.
Mirco non sapeva spiegare bene il motivo, ma cominciava a sentire la presenza di Federico un po’ come un’invadenza nella sua vita. E dire che su Sandra non aveva alcuna mira particolare e il loro rapporto rimaneva circoscritto all’amicizia. Eppure era geloso del suo amico e della semplicità con cui sembrava proprio avere fatto colpo. Cosa che a lui non era successa.
Sebbene il bisogno che Mirco aveva di quella ragazza fosse principalmente legato alla disponibilità di quest’ultima a leggergli il futuro nei suoi momenti di ansia più nera, non si può certo dire che Sandra in tanti anni lo avesse mai degnato di una forma qualsiasi di attenzione, seppur vaga. Anzi sembrava proprio che lui fosse decisamente l’ultimo uomo sul pianeta in grado di attrarla o anche solo di interessarla. Dal punto di vista della virilità era davvero frustrante, tant’è vero che Mirco cominciò a dubitare degli orientamenti sessuali di Sandra. Poi, era arrivato Federico…
Addirittura era bastata una volta sola. E questo lo faceva incazzare di brutto. Tutto ciò era molto, molto frustrante. A lui non era toccato niente, all’altro tutto.
Si ritrovò così nella immobile e scomoda posizione in cui lo costringeva l’aspetto immaturo, in fondo ne era consapevole, della sua emotività.
La sua rabbia di maschio sconfitto lo spingeva, da un lato, a chiedere a Federico di farsi da parte, anche se senza alcun valido motivo, ma solo perché ad ogni modo Sandra era una sua amica e, dall’altro, la sua razionalità, o ciò che rimaneva di essa, lo invitava a reprimere i suoi istinti possessivi, ma col risultato di fargli montare ancora di più la rabbia per una sconfitta inesistente.
Se non fosse stato che Federico si era dimostrato, almeno fino a quel momento, l’unica persona in grado di capirlo e di farlo uscire dalla sua dislessia ansio-depressiva, gliela avrebbe fatta notare lo stesso, la difficile posizione in cui si trovava, disposto anche a soffocare la vergogna per il suo comportamento che poteva ricordare da vicino quello di un inopportuno e scomodo fratello maggiore, poiché sarebbe finito col consigliare i due amici, subdolamente, a muovere i propri passi di coppia con molta calma e soprattutto con molta lentezza. Si sarebbe sicuramente ritrovato a ragguagliarli, in maniera non completamene disinteressata, circa la mai smentita validità di quell’adagio che consiglia di non mettere mai il carro davanti ai buoi.
Ma, appunto, visto quanto gli serviva avere vicini entrambi gli amici, in quel momento così arzigogolato della sua vita, preferì lasciare che tutto continuasse a covare solo dentro di sé.
– Fumiamo una sigaretta qui nel parcheggio, prima di raggiungere Sandra? – Chiese però a Federico tanto per punzecchiarlo un po'.
– No è troppo freddo. Anzi, diamoci una mossa.
Sandra stava aspettando con impazienza, la videro mentre bilanciava il proprio corpo ora su un piede ora sull’altro, e non appena si accorse di loro gli corse incontro prendendoli a braccetto entrambi.
– Forza sbrighiamoci, il concerto sta per iniziare.
Mirco si aspettava si trovarla fredda e distaccata nei suoi confronti e il fatto di vederla così euforica contraddisse decisamente le sue previsioni. La cosa lo rincuorò non poco. Anzi, era tanto contento di vederla così raggiante, dopo l’accaduto del pomeriggio, che, nonostante la fatica, si trattenne dal fare dello spirito circa la necessità di essere puntuali ad un concerto simile.
Ma, non appena entrarono e vide quel gruppo sul palco, improvvisamente la fatica per trattenersi triplicò.
Erano quattro ragazzi macilenti e anonimi, con i capelli lunghissimi e sporchi, unti, che indossavano impermeabili di pelle nera lunghi fino a sfiorargli le caviglie, ai piedi invece calzavano enormi anfibi slacciati e tagliuzzati. Quando i tre amici entrarono in discoteca, stavano accordando gli strumenti, per poter iniziare il concerto.
La prima fila di pubblico, immediatamente vicino a loro, gli stava incitando a cominciare subito, protendendo le braccia verso l’alto e sbattendo le mani all’unisono con un movimento che ricordava lo stupido tentativo di riuscire in un volo tanto idiota quanto collettivo. Sembrava una questione di sopravvivenza, che iniziassero quella figata di concerto.
Mirco si aspettava esattamente tutto questo. Niente di più e niente di meno. E guardando Federico lesse sul suo volto lo stesso disgusto, che erano sul punto di esprimersi a parole, proprio quando una sciabolata di chitarra elettrica si interpose tra loro due, tagliando così ogni parola che avessero ancora in gola.
Un fischio acido e metallico gli scavò nelle orecchie per almeno dieci secondi senza che niente gli facesse seguito. Il concerto era iniziato, finalmente. Sandra, aspettando, oscillava il corpo leggermente avanti e indietro. Ora, invece, saltava sul posto per la gioia incontenibile che l’aveva invasa, come se avesse trovato precisamente ciò di cui aveva bisogno.
Mirco si guardò attorno e percepì in tutti la stessa identica cosa. Lo stesso strano bisogno. In fondo non era gioia quella che vedeva saltare di qua e di là, quanto piuttosto un qualcosa di fisico che aveva trovato finalmente soddisfazione. Stava assistendo all’appagamento tangibile di un bisogno dettato dall’interno, dalla parte più profonda e misteriosamente materica di tutti quei corpi. Un bisogno che non si riduceva al saltellare di qua e di là, ma che aveva radici ben più profonde.
Non appena il fischio nelle loro orecchie finì, il concerto irruppe addosso a tutti con la sua potenza sguaiata, tremendo, caotico, aggressivo, empio. Non lasciava fermo nemmeno un angolo d’aria, ogni particella del mondo stava tremando sotto l’urto violento di quelle sonorità feroci. Gli atomi erano sul punto di spaccarsi.
Era come ascoltare un cantiere del porto in movimento. La musica era un rotolare di ferro, lo sbattere violento di un fischio contro un altro. Tutto tagliava, pestava, scavava o perforava. Le parolacce erano fluviali e abbondanti, rivolte all’indirizzo di ogni aspetto del creato e di ogni qualità del creatore. Madri, padri, fratelli, amici e nemici, cani, gatti, animali e piante, ombrelloni e occhiali da sole, tutti e tutto insomma veniva condannato, maledetto, senza appello e senza rimorsi.
Poi furono le urla, e l’articolazione di parole senza senso, suoni gutturali, strozzati nella gola, e spalmati sull’aria con rabbia.
Sandra a quel punto, come del resto fece la quasi totalità del pubblico, cominciò a saltare ancora di più e a ripetere quei suoni così disarticolati e primitivi.
– Ihatagh shu matric-boh stanch. – Si sentì provenire dal palco.
– Ihatagh shu matric-boh stanch. – Si sentì ripetere dal pubblico.
– Scià-c-sià ombri pugh do mon.
– Scià-c-sià ombri pugh do mon.
Per quanto la cosa potesse apparirgli assurda, a Mirco sembrava proprio che tutti si stessero capendo e stessero parlandosi nel modo più intuitivo possibile.
– Secondo te si sono imparati le parole a memoria? – Gridò ironicamente appoggiando la sua bocca all'orecchio di Federico in modo che potesse sentirlo in mezzo a tutto quel frastuono. L'altro lo guardò sorridendo, poi si voltò verso Sandra e, spostandole i capelli, con una delicata carezza gli accostò la bocca all'orecchio.
– Parlate tutti la stessa lingua? – Le chiese.
Mirco ebbe modo di sentire la sua domanda.
– Vieni!
E Sandra prese per mano Federico e trascinandolo dietro di sé sgusciarono verso l’uscita. Mirco immaginava a fare cosa e in cuor suo gli maledisse tutti e due.
Rimasto da solo raggiunse il bar e si accorse in quel momento che, in mezzo a quel fracasso, a quello stordimento così inutile e in fondo così semplice e innocente, il suo mal di testa e la sua confusione stavano arrivando e gonfiandosi prepotentemente.
Restò pertanto seduto in disparte per qualche minuto studiando come fare per andarsene senza fare la figura del coglione con Sandra e Federico. Ma, tra una fitta e l’altra del suo ormai furioso mal di testa, giunse alla triste conclusione che avrebbe potuto tranquillamente starsene a casa, addirittura fin dall’inizio, senza che nessuno ne soffrisse più di tanto. Quindi, dato che ormai era lì, tanto valeva sbronzarsi a più non posso.
Con gli occhi appesantiti a causa del torpore vibrante dovuto all’emicrania raggiunse barcollando il bancone del bar per ordinare da bere e il barista gli si parò immediatamente davanti in attesa che lo facesse. Ma il mal di testa come al solito, gli impediva la formulazione di una frase umanamente comprensibile.
– Un’acqua gonfia con metallo sulla lingua.
Riuscì a formulare come ordinazione, pervaso ormai completamente dal mal di testa e strisciandosi una mano sulla fronte, puntellato col gomito sul bancone.
– Subito. – Rispose il barista.
E Mirco rimase stupito, incredulo e, quasi ridendo tra sé e sé, curioso di vedere cosa gli avrebbe preparato.
Tuttavia, rimase ancor più stupito e incredulo, quando si vide consegnare un Gin tonic, cioè esattamente quello che voleva, ma che non era riuscito a dire.
Come cazzo aveva fatto a capirlo? Si domandò. Anche se non sembrava affatto così, non poteva essere altro che una coincidenza.
Ma la cosa lo aveva comunque divertito, forse persino rallegrato, e cominciò a guardarsi attorno contento.
Si accorse che Sandra e Federico erano tornati e stavano ballando.
Fanculo il mal di testa, fanculo il gin tonic misterioso e fanculo pure quei due. Chi se ne frega dopotutto. E decise di raggiungerli e di ballare anche lui.
Forse l’alcol che l’aveva calmato o forse la forza che invece gli aveva infuso, o il torpore del menefreghismo che gli aveva regalato, ma in fondo era bello così: loro erano suoi amici, sopportavano i suoi bruschi modi di fare come nessun altro e in quel momento erano tutti assieme. E in fondo di Sandra gli fregava soltanto perché gli leggeva il futuro. Doveva ammetterlo: carte, fondi di caffè e tutto il resto, in fondo credeva in quelle cose.
Sentì la voglia di essere vicino ai suoi amici, di ballare con loro. E gli si avvicinò.
– Fad bin qu las mihai gan. – Continuavano a cantare i Tribal crash.
– Fad bin qu las mihai gan. – Rispondevano tutti.
E, con stupore di Mirco, faceva la stessa cosa anche Federico.
– Hai fatto presto ad imparare la lingua. – Gli gridò ridendo.
– Sagat bin ialù. – Gli rispose voltandosi nella sua direzione.
– Sì certo, come no? – Rispose scherzando.
– Ma guarda tu quello che non riesce a fare la voglia di figa… – Aggiunse sempre scherzando.
E continuarono a dimenarsi nella pista da ballo tutti e tre.
Non si parlarono più, eppure Mirco ormai era certo che stavano tutti e tre condividendo quella serata, quei momenti. Li sentiva vicini a sé ed era felice di avere sconfitto la sua ritrosia e di averli accompagnati a quello strano e folle, ridicolo concerto, perché in fondo assieme a loro si stava divertendo. Quindi, chi se ne sbatteva se quelli sul palco continuavano ad emettere solo urla e lamenti provenienti da qualcosa che si poteva solo lontanamente classificare come mammifero. Chi se ne sbatteva del suo odio per quelle cose tipo balli, musica, concerti, c’era persino un barista che lo capiva durante i suoi attacchi di mal di testa. Bene.
Dopo altre due ore il concerto finì e si avviarono verso il parcheggio, mentre le luci del locale si stavano spegnendo e i musicisti stavano insaccando gli strumenti.
– Non ci crederete, ma mi sono proprio divertito. Grazie per la serata. – Ringraziò Mirco quando arrivarono alle macchine.
– Davvero? – Chiese Federico.
A Sandra però, evidentemente, la cosa non interessava. Forse aveva ancora in mente lo scazzo di quel pomeriggio e si sentiva ancora offesa. O forse ora stava sperando che la serata si incamminasse verso altre direzioni, da percorre con più riservatezza.
– Bella serata davvero. Grazie ancora Sandra. Ma ora vi lascio soli, vado a casa.
Non voleva rovinare tutto sentendosi di troppo anche quella sera.
– Aspetta, vengo anch’io. – Lo fermò Federico.
– Allora ci vediamo domani pomeriggio? – Chiese rivolto a Sandra.
– Sì, ti aspetto alle cinque.
Era contento Mirco che avessero già preso tutti i loro accordi, evitandogli possibili imbarazzi. Si scoprì sinceramente e semplicemente contento di averli presentati. In fondo stava bene con loro.
– Grazie Mirco. – Gli disse Federico prima di salire in macchina.
– Grazie a te, anzi a voi, per la bella serata. – E gli chiuse lo sportello.
Guidando verso casa si accorse di essere felice, c’era però una cosa che lo lasciava perplesso.
Gli occhi di Federico, che aveva visto mentre si salutavano, erano stranissimi, e solo quando fu nel letto si accorse che erano come quelli di Sandra: due pezzi di buio, due fori che si affacciavano sulla notte più antica dei tempi.
Ma non diede alla cosa eccessiva importanza e, spenta la luce, si addormentò ancora felice per aver trascorso una bella serata assieme a i suoi amici più cari.
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© Concerto di Valerio Fabbri, illustrazioni di Roberto Pagnani