Raúl non scommette sugli anacronistici trattati marxisti. Preferisce la Russia di Putin. E ammira la crescita economica con metodi capitalistici del gigante cinese.
Se paragoniamo il modo di governare dei Castro durante i loro mandati, possiamo cadere in un errore di valutazione dicendo che i due autocrati sono fatti della stessa pasta. Non c’è bisogno di essere dei politologi per notare le differenze. Anzi, i fratelli Castro si assomigliano solo per poche cose. Hanno nei geni l’autoritarismo. E vedono la democrazia come il loro peggior nemico.
Mentre Fidel Castro si comportava come un sovrano illuminato, padre della patria e bottegaio di quartiere, il fratello ama esercitare il potere stando nell’ombra. Castro era un vero uragano. Non stava fermo un istante. Una mattina si svegliava ed era capace di mobilitare tutte le forze produttive del paese per andare a raccogliere banane. In alternativa poteva ordinare di costruire un centro biotecnologico, oppure si convinceva di essere uno statista di livello mondiale e progettava un piano per abolire il debito dell’America Latina. Aveva la vocazione del guerriero. E in diversi conflitti civili africani si comportò da comandante supremo. Diresse personalmente la campagna militare di Cuito Cuanavale da una dimora ubicata nel quartiere di Nuevo Vedado.
Controllava tutto, fino all’ultimo dettaglio. Sapeva quanto asfalto serviva per costruire una pista aerea e la quantità precisa di cioccolata e di sardine in scatola che potevano consumare le truppe. Governava la nazione con la mentalità del bottegaio. Faceva i conti con la calcolatrice e decideva di comprare i frigoriferi più adatti per dare impulso alla Rivoluzione Energetica. Decideva il numero preciso di lampadine elettriche a basso consumo che il paese doveva importare. Sapeva tutto, si occupava di ogni cosa, pure di modesto livello, persino della quantità di cemento che serviva per costruire cento scuole infantili.
Fidel Castro è un autocrate. Un narcisista nato. Anche se adesso è in pensione, resta un uomo incontenibile. A volte predice disastri atomici oppure assicura di aver scoperto la formula, grazie a una pianta chiamata moringa, capace di far fronte a tutte le necessità dell’essere umano.
I suoi sostenitori lo considerano lo statista più importante del secolo XX. I detrattori, un matto senza uguali. Ha governato Cuba per 47 anni, tra presagi di guerra contro l'imperialismo yankee e mobilitazioni popolari per insultare chi voleva abbandonare il paese. Occupava gli studi televisivi e parlava per ore sui temi più disparati. Le cifre non mentono: Fidel Castro è stato un pessimo amministratore della nazione.
Quando per colpa di una malattia ha dovuto abbandonare il potere, la situazione economica cubana era pesante. La produzione di zucchero, per secoli principale ricchezza del paese, era caduta ai livelli del 1910. Le città erano a pezzi, i palazzi avevano le facciate screpolate e cadenti. Le strade erano piene di buche. E le dispense vuote. Si teneva in piedi un’educazione e una sanità gratuite, ma entrambe di pessima qualità.
Il passaggio di potere al Generale Raúl Castro, avvenuto il 31 luglio del 2006, fu un processo senza consultazione popolare. Il nuovo Presidente era stato designato come erede dal fratello. Già dalla fine degli anni Novanta, diversi settori economici erano gestiti da imprese militari. Senza fare drammi, Raúl Castro ha seppellito cento metri sotto terra il volontarismo e l’anarchia del fratello. Ha ristrutturato l’apparato amministrativo e ha chiuso diversi ministeri inutili, come quello della Battaglia delle Idee, un monumento all’inefficienza. Ha cambiato tutto il possibile. Gli uomini di fiducia di Fidel Castro sono stati pensionati o sono caduti in disgrazia. Gli istituti di scuola-lavoro nelle campagne, imbarazzante relitto ideologico del passato, sono stati chiusi.
Il Generale non ha preso queste misure come anticipazione di future riforme serie e profonde. No di certo. Sono cure da cavallo per stimolare il funzionamento d’una moribonda economia. L’ampliamento del lavoro privato, la vendita di case e di vecchie auto russe non sono un punto di partenza per esperimentare sistemi liberali. L’obiettivo è buttare nel cestino leggi assurde. Raúl Castro vuole dare continuità al sistema. Per riuscirci ha bisogno di due cose: dollari e minore controllo statale (adesso esagerato). Per dare efficienza e migliorare la produttività, ha tracciato un piano in cui un milione e mezzo di lavoratori perderà l'impiego. Se Castro I era un idealista, Castro II ha i piedi ben piantati in terra. E vede nel futuro un capitalismo simile a quello di molti paesi amici che gli permetta di controllare i principali introiti della nazione.
Raúl non scommette sugli anacronistici trattati marxisti. Preferisce la Russia di Putin. E ammira la crescita economica con metodi capitalisti del gigante cinese. Il Generale sa bene che per perpetuare l’opera di Fidel è imprescindibile un’economia efficace. Inoltre bisogna cercare di soddisfare le aspirazioni del cubano medio, che non sono eccessive: vivere in una casa decente e alimentarsi in maniera adeguata. Raggiungere questo risultato, senza perdere il potere e tenendo a bada gli oppositori, è la meta di Raúl. Le differenze tra i due governanti sono notevoli. Entrambi hanno mentalità da caudillos. Castro I, era più da rivoluzione terzomondista, folle, applausi e discorsi. Castro II è un uomo che fa le cose nell'ombra, senza troppo rumore.
L'attuale Presidente cubano vuole solo che il sistema messo in piedi dal fratello vada avanti per altri cent'anni. E anche di più.
Iván García
(da martionoticias.com, 24 settembre 2012)
Traduzione di Gordiano Lupi