Che un giornalista, direttore di un quotidiano, debba finire in prigione per non aver controllato un articolo diffamatorio, è senz’altro motivo di inquietudine. Certamente lo è per chi considera l’informazione e la libertà di stampa conquiste fondamentali per la democrazia e da difendere senza mezzi termini. Qualsiasi limitazione sarebbe odiosa e contraddirebbe il principio del fondamentale servizio che la stampa svolge per la crescita civile e culturale dei cittadini.
In questo senso si capiscono benissimo le reazioni che hanno seguito il caso Sallusti e il rischio che corre il direttore de Il giornale di venire arrestato per non aver controllato un articolo, firmato con uno pseudonimo, comparso sul suo giornale. Colleghi, esponenti del mondo politico, lo stesso Capo dello Stato si stanno interessando della questione e chiedono che sia evitato l’arresto. Un esempio forte del tessuto democratico raggiunto nel nostro Paese in difesa dei diritti fondamentali della libertà dei cittadini, da noi apprezzata e condivisa.
Allo stesso tempo siamo convinti che questa vicenda dovrebbe servire per fare un punto di riflessione sull’enorme potere raggiunto nella società contemporanea dai mezzi d’informazione di massa e, oltre ai grandi benefici che gli stessi procurano, anche i danni che possono provocare. Articoli imprudenti, o anche maliziosi, possono colpire singoli cittadini fino a distruggere la loro vita. Un’allusione a una colpa di pedofilia o addirittura un’accusa, comparsa su un giornale e poi risultata completamente infondata, non riparerà mai ai danni creati, anche perché generalmente le notizie di smentita risultano ben meno evidenti di quelle che narravano i fatti. Articoli di fondi che gettano lo sconcerto tra i cittadini, basandosi magari su dati non controllati e completamente inesatti, possono contribuire ad orientare comportamenti di massa nocivi per la vita economica e sociale del Paese e nuocere economicamente ad intere categorie e singoli imprenditori. Commenti generici che gettano una luce fosca su intere categorie di disonesti i cui appartenenti sarebbe “tutti eguali”, evidentemente comportano un danno irreparabile a chi disonesto non è e non lo è mai stato, facendo allo stesso tempo un grande favore ai disonesti che, d’incanto, diventano eguali a tutti.
Comportamenti giornalistici deprecabili, che vengono totalmente coperti dal principio della libertà di stampa. E generalmente tutti i componenti di questa categoria, così avara nel farsi qualsiasi autocritica e sempre così pronta ad atteggiamenti censori con tutti, ogni qualvolta uno di loro è accusato di avere commesso un errore o un’ingiustizia, commentano poco l’episodio e immediatamente si mobilitano per difendere in linea di principio la libertà di stampa. La verità è che spesso prevale la necessità di vendere giornali e la ricerca dello scoop senza troppo riflettere sulle conseguenze che un articolo può avere; ed altre volte alcuni giornalisti, magari troppo coinvolti nella bagarre politica, più che informare, si schierano e colpiscono senza mezzi termini.
Una pausa di riflessione. Quello che s’invoca è una pausa di riflessione. Magari ragionando sul fatto che qualsiasi professionista che, per colpa grave o addirittura per dolo, crea un danno ad una persona, ne deve rispondere di fronte alla legge, senza coprirsi dietro nessun principio di libertà, né tanto meno dietro nessuno pseudonimo.
Il direttore Sallusti, che oggi viene giustamente difeso in nome della libertà di stampa, non è completamente indenne da atteggiamenti e colpe di quel tipo.
Auguriamoci che non vada in galera in nome della libertà di stampa, e che corregga qualche atteggiamento giornalistico in nome del rispetto della vita e della professionalità delle persone.
Renato Pasqualetti