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Flavio Bacchetta. I ladri di sabbia di Coral Spring
14 Settembre 2012
 

FALMOUTH (Giamaica) – Una mattina di luglio, i pescatori di una piccola comunità giamaicana si svegliano con una sorpresa: cinque chilometri della loro “spiaggia d'argento” non esistono più. Chi l'ha rubata? Cosa si nasconde dietro il furto? E chi l'ha coperto? Un giallo in piena regola, tra “vecchia guardia” locale e nuovi colonialisti

La Giamaica è, tra le altre cose, terra di misteri e scenario di gialli, la cui soluzione avrebbe scatenato Sherlock Holmes, forse l'unico in grado di risolverli. Uno di questi iniziò nel luglio 2008. Una mattina Coral Spring, piccola comunità di pescatori nella provincia di Trelawny, la cui capitale Falmouth è sede del nuovo sbarco delle crociere caraibiche, si svegliò con un'amara sorpresa: la splendida spiaggia libera di Silver Sand, cinque chilometri di sabbia bianca fine come il talco, era stata quasi interamente svuotata del suo contenuto. Cinquecento tonnellate di arena erano sparite. Pochi testimoni riferirono di aver assistito durante la notte precedente a un traffico frenetico di camion che caricavano e trasportavano via il prezioso materiale. Tutto ciò avveniva a meno di un miglio di distanza dalla locale stazione di polizia, che si era ben guardata dall'intervenire.

Avete una pallida idea del fracasso che deve aver provocato nel cuore della notte un'operazione del genere? Ogni camion può caricare al massimo una tonnellata di materiale. Moltiplicate per cinquecento e provate a immaginare. Di sicuro un'idea precisa doveva avercela Roberto Saviano, quando descrisse in Gomorra un simile andirivieni di mezzi, intenti a depredare la sabbia dalla foce del fiume Volturno, azione che l'impresa camorra perpetrava di continuo, ai fini di utilizzarla insieme al cemento per le sue costruzioni criminali.

 

Le inchieste giornalistiche

Tornando a Coral Spring, dove prima riluceva la “Spiaggia d'argento” ora rimane solo una triste depressione irta di pietre e ciottoli. Silver Sand faceva parte di un progetto che puntava alla costruzione di un mega resort turistico del valore di 110 milioni di dollari. La cordata imprenditoriale era guidata dai due Mogul della “vecchia guardia” giamaicana: Gordon “Butch” Stewart, inglese di origine, proprietario della catena Sandals, fondatore dell'Air Jamaica, la compagnia di bandiera, e anche editore dell'Observer, uno dei maggiori quotidiani dell'isola; ed Elias Issa, libanese, proprietario dei consorzi alberghieri Grand Lido e Couples.

Solitamente rivali, i due decisero di unire le forze per fronteggiare le nuove joint-ventures straniere del turismo, principalmente spagnoli e dominicani, che costruirono lungo la Giamaica, fin dal 2002, mostruosi complessi alberghieri all-inclusive da un minimo di 3.000 stanze, stile Costa Brava.

Sfruttando spazi della foresta pluviale, i nuovi conquistadores avevano già metastatizzato l'isola caraibica con alberghi presenti da anni in tutto il Centro America; la catena dei Riu, l'Iberostar, Fiesta e l'ultimo nato del gruppo spagnolo Pinero, il Bahia di RunawayBay.

Stewart e Issa avevano affidato il nuovo progetto in comune ai propri figli, denominandolo Coral Spring Complex. I “ladri di sabbia”, così facendo, sottrassero ai due “grandi vecchi” il giocattolo per i loro rampolli.

L'Observer di Stewart cominciò, un paio di settimane dopo l'accaduto, a scrivere editoriali accusando compagnie stranieri del furto, senza fare però nomi specifici. Ma fu un settimanale minore, il Sunday Herald, a fare un'inchiesta dettagliata, bruciando la concorrenza del prestigioso Gleaner, il primo quotidiano dell'isola. Dalle denunce del giornale, venne a galla che uno dei dirigenti del gruppo Fiesta, proprietario dell'hotel Gran Palladium e del lussuoso complesso residenziale The Palmyra a Montego Bay, aveva ordinato, ad aprile 2008, 20 mila metri cubi di sabbia marina per le spiagge dei due complessi a una piccola ditta di costruzioni, la Bedrock Building, che aveva iniziato l'attività giusto l'anno prima.

La piccola azienda non era riuscita a completare la consegna nei sessanta giorni previsti dagli accordi contrattuali ed era stata minacciata di azione legale se non avesse portato a buon fine l'ordine. Dai documenti esaminati risultò che la Bedrock aveva consegnato a fine giugno solo tremila dei 20 mila metri cubi promessi, per cui il tempo stringeva per le sorti della giovane impresa.

Cronologicamente era verosimile, agli occhi della legge, che il clamoroso furto coincidesse con il completamento della consegna, per cui un ispettore andò a bussare alle porte dell'ufficio del direttore del Palmyra, mister Costanzo, il quale dichiarò che la direzione aveva deciso di annullare l'ordine di sabbia alla Bedrock dopo aver riscontrato delle irregolarità nella documentazione della ditta fornitrice. Ma intanto, miracolosamente, l'enorme spiaggia del Palmyra appariva completata e pronta per l'uso, per cui l'affermazione del dirigente strideva alquanto con i documenti emersi dall'inchiesta del settimanale.

Non risultò inoltre nulla di scritto sull'annullamento dell'ordine, per cui la polizia ordinò alcune perizie tecniche, prelevando campioni di sabbia dal complesso.

Nel frattempo la Nepa, l'agenzia governativa per la difesa dell'ambiente, compiva rilevamenti ai fini di determinare l'impatto che la scomparsa del litorale avrebbe avuto sulle mangrovie e le foreste adiacenti del Cockpit Country, una piccola Amazzonia ancora vergine nel cuore della Giamaica.

 

Tre mesi dopo...

Passato il clamore dell'inchiesta iniziale, tutto rientra nei ranghi del quieto vivere caratteristico dello jamaican style. La polizia non ha comunicato ancora i risultati delle perizie sulla sabbia del Palmyra, la cordata Stewart/Issa non ha avanzato ulteriori richieste di accertamenti, ed ovviamente quello che pensa e sostiene l'opinione pubblica giamaicana vale come al solito, cioè meno di zero.

Fino a che il 21 ottobre esce sul Guardian, autorevole foglio londinese, un'intervista al vicecapo della polizia giamaicana, Mark Shields, nella quale sono denunciate evidenti complicità tra le forze dell'ordine a copertura del misfatto di luglio. Il funzionario punta sulla certezza che diversi ambienti criminali si siano mossi per tale operazione: i ricettatori della sabbia rubata, i camionisti addetti al trasporto, fino al committente finale, per cui è impossibile che tutti l'abbiano fatta franca senza che qualcuno negli alti ranghi della polizia abbia chiuso un occhio o meglio entrambi. La notizia è ripresa anche dal nostro Corriere della sera, che dedica ai fatti giamaicani uno spazio nella sezione esteri del suo sito.

Il Gleaner, primo quotidiano nazionale, è costretto a scuotersi dal torpore iniziale e mi telefona chiedendomi di occuparmi della vicenda. Mi reco sul luogo del “delitto” e apprendo da pescatori del posto che un Big Man della Parish (provincia) di Trelawny vicino al sindaco avrebbe coperto l'intera operazione in complicità con la stazione di polizia di Duncan, il paesino che si trova a meno di un miglio da Coral Spring.

Rumors, semplici pettegolezzi, oppure dati di fatto? Quello che è certo è che Falmouth, il capoluogo di provincia, è in subbuglio da alcuni mesi per la notizia che da lì a tre anni al massimo ospiterà il più importante porto di crociera dei Caraibi dopo Nassau in Bahamas, e nessuno ha l'interesse, né i Big Men né lo small people, a far emergere alla luce uno scandalo che potrebbe bloccare la chance di emancipare una zona degradata come questa dalla sua miseria. E soprattutto mettere a rischio la possibilità, per i pochi benestanti della zona, di potersi arricchire senza freni. Sta di fatto che pochi giorni dopo il Gleaner esce con un suo editoriale di protesta senza però portare nuovi elementi concreti alla luce, e la mia inchiesta rimane sospesa.

 

Quattro anni dopo...

Nel febbraio del 2011, in seguito alle accuse specifiche della Felicita ltd, l'impresa proprietaria della spiaggia di Coral Spring, i titolari della Bedrock Building, Devon Sterling e Christopher Pryce, vengono arrestati e portati davanti alla Corte di Falmouth. Ma durante il processo il direttore della Felicita è minacciato di morte e ritira l'accusa nei confronti dei due, che sono così rilasciati. Il 3 luglio 2011, tre anni dopo il clamoroso furto, il caso viene nuovamente discusso, stavolta direttamente alla Corte Suprema.

Insieme alla Bedrock, sono chiamati in giudizio il gruppo Fiesta, proprietario del Gran Palladium, il RiuTropical di Negril, il Club Riu di Montego Bay e Palmyra Resort& Spa. Tutti negano le accuse, tranne Fiesta che ammette, davanti all'evidenza delle commesse scritte, di aver ordinato nel 2008 10 mila metri cubi di sabbia alla Bedrock, che conferma.

Da allora il caso è rimasto fermo, anzi “insabbiato”. Dov'è oggi la sabbia rubata? Occultata da qualche parte, ammesso che sia possibile nascondere 500 tonnellate di materiale su una piccola isola che scarseggia di magazzini senza dare nell'occhio, oppure molto più semplicemente adagiata sotto le schiene dei turisti nei nuovi paradisi artificiali dell'isola?

Non è di certo la prima volta che una spiaggia libera nei Caraibi è saccheggiata del suo contenuto ai fini della vendita presso i resort turistici; ma un furto di queste dimensioni non era mai stato portato a termine prima.

 

I nuovi conquistadores

Alla luce dei soliti rumors mormorati nell'ambiente turistico che frequento da 16 anni, sembra che i Grandi Vecchi promotori della cordata di Coral Spring abbiano lasciato cadere le accuse, alla luce di una ricca compensazione elargita dai resort spagnoli.

È la solita storia quaggiù: un'oligarchia di potentati economici, formata dai locali post-coloniali e i “nuovi mostri” stranieri, se la canta e se la suona a piacimento, alla faccia della legge e della cittadinanza. Il loro abbuffarsi intorno alla sempre più esigua torta Giamaica, tra litigi e riappacificazioni a suon di milioni di dollari o euro, ha prodotto una deforestazione del 40 per cento dell'isola e la distruzione della piccola imprenditoria turistica, a fronte dell'impiego di una manodopera sotto pagata, con il minimum wage (il salario minimo) fermo a 4.500 dollari giamaicani a settimana, equivalenti a circa 45 euro.

Nel 2002 il salario minimo era di tremila dollari giamaicani, con un incremento del 50 per cento in dieci anni, mentre il costo della vita è triplicato da allora. Tutto ciò mentre la gente è stretta nella morsa delle gangs criminali, che ammazzano circa duemila persone all'anno, una media che pone l'isola caraibica appena dopo Messico e Colombia, e una polizia corrotta, responsabile tra l'altro di centinaia di omicidi di cittadini innocenti.

 

Flavio Bacchetta

(da il manifesto, 7 settembre 2012)


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