I clienti del supermercato non di dimenticheranno mai quella giornata. Prima la rapina, con morto ammazzato, anzi morta ammazzata, subito a seguire lo tsunami e, poco benvenuti e poco graditi ospiti portati dalle acque dell'imprevisto diluvio, i temibili, voraci e insaziabili squali bianchi, micidiali murders.
I sopravvissuti clienti del supermercato giacché lo tsunami ne spazzerà via la maggior parte. Agli occhi, ai sensi e alle menti dei “fortunati” scampati al liquido cataclisma gli spettri che si aggirano nuotando all'interno del moderno tempio del consumismo, fra gli scaffali sommersi e semisommersi in cima ai quali stanno, per l'appunto, i (disgraziati) superstiti, l'unica carne fresca del supermercato.
BAIT (adescamento, allettamento) o Shark 3D è un vero film horror. Splatter e terrific, spaventoso, eccessivo, claustrofico nella sua conchiusa equoreità – e se l'ambientazione nel centro commerciale occhieggiasse e citasse il ben più celebre film di Romero?
Il 3 D poi accresce il coinvolgimento emozionale dello spettatore avvolgendolo nelle fredde spire dell'acqua oceanica così tragicamente debordata, un quid di grottesco e di innaturale aleggiando, e afferrandolo in una stringente tensione.
Il cattivo peraltro è veramente cattivo e non è detto che il topos sia rappresentato dagli squali che, “poverini”, non fanno altro che seguire il proprio atavico istinto predatorio.
Qualche spruzzatina d'ironia, una sapiente e pilotata serie di colpi di scena, qualche storia nella storia (pur d'amore), fra un pasto e l'altro degli infaticabili squali.
Nulla del capolavoro di Spielberg, Jaws, ma la pellicola è godibile, passandoci l'ossimoro visto che si tratta di un horror, e dal punto di vista tecnico l'ennesimo prodigio che ormai quasi non ci sorprende più. Produzione fra Italia e Singapore.
Happy end apparente, nella visione apocalittica delle rovine, ma il gabbiano che nelle ultime inquadrature vola felice a dare il segnale della vita che, nonostante tutto, risorge e riprende... quel gabbiano... Buontempone il regista Kimble Rendall.
Alberto Figliolia