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Da Olmi e Marina Spada, a Curagi e Gorio: le tante (belle) facce del documentarismo milanese 
di Mauro Raimondi
11 Settembre 2012
 

Volete vedere Bob Marley a San Siro? O preferite il Macondo, celebre locale alternativo chiuso nel ‘78? Oppure vi interessa Scerbanenco, l’inventore del “noir alla milanese”? Nessun problema: i documentaristi milanesi hanno registrato tutto il registrabile…

Questo primo articolo della stagione è dedicato agli amanti del cinema su Milano e chiude la parentesi aperta nell’agosto 2011, quando si è trattato il documentarismo precedente agli anni ‘60. Continuando l’analisi e arrivando ai giorni nostri, la prima positiva caratteristica che si rinnova è la presenza di grandi nomi che si interessano a Milano. Dopo la fine della 2ª guerra mondiale, infatti, si è visto Luigi Comencini e Dino Risi dedicare dei lavori alla città. Da allora a oggi, per limitarci ad alcuni, troviamo l’Oscar Gabriele Salvatores con 1960 (2010), Marina Spada con Poesia che mi guardi (2009) sulla poetessa Antonia Pozzi, Giuseppe Bertolucci, recentemente scomparso, con Panni sporchi (1980), incentrato sui clochard della Stazione Centrale. Ma anche il caposcuola Ermanno Olmi, con Milano ’83, ha continuato questa tradizione. In piena “Milano da bere” e in un lavoro commissionatogli dal Comune per la serie “Capitali d’Europa”, Olmi andò come sempre controcorrente ed evitò ogni falso trionfalismo abbinando la monumentalità cittadina alla quotidianità anche grigia (le pulizie notturne, gli arrivi dei pendolari, la Milano dei barboni, dei cantieri, delle periferie…). Il quadro che ne uscì fu quello di una Milano vera e perciò problematica, e provocò imbarazzo nelle istituzioni che vedevano così crollare il loro tentativo di autocelebrazione.

Registi famosi, ma non solo. Pure un fuoriclasse della fotografia come Lamberto Caimi ha dedicato a Milano due opere: Desmentegass. Molti non ricordano (2003) sulla città durante e dopo il 2° conflitto mondiale, e Ona strada bagnada (1999) in cui racconta (in dialetto e con sottotitoli) le attività e la vita sui barconi che percorrevano il Naviglio Grande.

La seconda caratteristica del documentarismo meneghino è quella di poter vantare un cospicuo numero di specialisti. Tra i più importanti, ricordiamo Tonino Curagi e Anna Gorio, che nel fortunato Malamilano (1997) hanno raccontato la ligera e la sua fine sovrapponendo immagini d’epoca a interventi di “protagonisti” come Bruno Brancher, Giancarlo Peroncini detto “Pelè”, Primo Moroni. I due, insegnanti nella Civica Scuola di Cinema, in questi anni hanno narrato la città con garbo e sensibilità attraverso temi scottanti come l’immigrazione (Io sono invisibile del 2000, coprodotto da Tele2) e la realtà dei rom (Via San Dionigi 93, 2007). Oppure, affrontando argomenti più leggeri come ne Il mondo alla rovescia. Appunti sul cabaret milanese (2002) o ne Le ragazze di Milano (2007), in cui vengono presentate otto importanti interpreti dello spettacolo in città grazie all’utilizzo di interviste, spezzoni di film e opere teatrali; in MI/MA (Milano/Manhattan, 2008), un confronto tra le due città realizzato a partire da un’idea di Gino&Michele (e con la voce narrante di Claudio Bisio) o in Non sono che un critico (2009), dove dipingono un ritratto di Morando Morandini.

Insieme a loro sarebbero molti a dovere essere nominati. In questo contesto, ci limitiamo a citare Alina Marazzi, autrice de Il declino di Milano (con Gianfilippo Pedote, 1992) sulla Milano di Tangentopoli e di Vogliamo anche le rose (2007) sulle trasformazioni della società negli anni ’60 e ’70 viste secondo la prospettiva dell’emancipazione femminile. Ma anche dell’applauditissimo Un’ora sola ti vorrei (2002), in cui la regista ha ricostruito l’immagine di sua madre morta suicida quando aveva sette anni, attraverso filmini di famiglia (appartenenti in particolare al nonno Ulrico Hoepli) e parole di lettere e diari della donna. Nel film, Milano appare nei ricevimenti alla Terrazza Martini, nell’inaugurazione della nuova sede Hoepli nel 1959 o in una piazza Duomo dove si sta tenendo il comizio per celebrare il 25 aprile.

Curiosamente, pure uno scrittore inglese conosciuto in Italia per i suoi libri dedicati al calcio, al ciclismo o alla città stessa (“Milano dopo il miracolo”), John Foot, ha immortalato la Bovisa in Ringhiera: storia di una casa (2004), in cui mostra sia gli aspetti positivi di solidarietà comunitaria e sicurezza sia la negativa mancanza di privacy della casa di ringhiera di piazzale Lugano 22 (dove lui stesso ha abitato). Allargando poi lo sguardo a tutto il quartiere, dove gli immagini d’epoca dei lavoratori che arrivavano in treno si alternano alle inquadrature di fabbriche abbandonate.

Un’altra zona profondamente cambiata, quella nei pressi della stazione di Porta Genova, è osservata invece da Sabina Bologna, direttrice della fotografia di Maria Spada, in Oltre il ponte-Storie di lavoro (2008): il quartiere operaio è stato sostituito dalla nuova sede della Fondazione Arnaldo Pomodoro, dallo showroom di Armani, dal complesso di via Bergognone 53, e senza retorica la regista invita a interrogarsi sulle conseguenza sociali e morali di questi mutamenti.

Se si desidera qualcosa riferito alla 2ª guerra mondiale, Bruno Bigoni e il veterano Giuseppe De Sanctis hanno ideato una biciclettata condotta da Moni Ovadia (Oggi è un altro giorno, 1995), mentre sul binario 21 e la deportazione degli ebrei si può vedere Fratelli d’Italia (2009) di Dario Barezzi. Se invece si preferisce uno spicchio di storia “alternativa” della città, Michele Sordillo ha inframmezzato materiale d’epoca a interviste ricostruendo la storia di Macondo a Milano (2005), e Sandro Baldoni ha immortalato il celebre Carlo Torrisi, detto C. T., famoso per i suoi cani e le sue scritte sui marciapiedi, ne Il Vaticano uccide con l’onda (1990).

Infine, il documentarismo milanese degli ultimi decenni si è distinto per l’eccezionale numero e varietà di temi e lavori che riproducono la città in modo più realistico di tanti film “di cassetta”. E sicuramente molto del merito va alla Scuola di Cinema, Televisione e Nuovi Media del Comune di via Colletta, che continua ad allevare nuovi registi.

Ad esempio, per quanto riguarda la musica, potete trovare il già citato concerto di Bob Marley a San Siro del 27 giugno 1980 ne La Notte del Leone (2002) da Giorgio Carella e Paolo Cognetti, oppure la ricostruzione del rock milanese in Santa Marta Social Club (2005) di Marco Maroni, con la testimonianza di diretti protagonisti come Area, P.F.M., Stormy Six, Alberto Camerini, Gianfranco Manfredi. Ma se preferite esiste pure Milano in jazz: jazz al Capolinea (2006) di Salvatore D’Alia, che illustra anche grazie all’utilizzo di filmati d’epoca la vitalità di questo tipo di musica nello specifico ambrosiano.

Neppure il teatro è dimenticato, dalla The reconstruction of Milano’s Scala del berlinese Reiner Penzholz (con la co-regia di Oscar Nani) al Teatro degli Arcimboldi (2005) di Riccardo Rechichi per finire a Il Piccolo di Maurizio Zaccaro, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia del 2009.

Personaggi della letteratura, del cinema e della cultura milanese sono soggetti di bei ritratti raccolti nella collana Gente di Milano della Provincia. E su Scerbanenco, come si scriveva all’inizio, esistono i lavori di Manlio Gomarasca e Davide Pulici (Scerbanenco noir, 2004) e di Stefano Giulidori (Scerbanenco by Numbers, 2006).

In pratica, tutti gli aspetti della città sono riproposti, dalla MM (La Metropolitana Milanese di Luigi Turolla, del lontano 1964) alla storia quotidiana degli anni ’60-’70 illustrata dal Collettivo di Cinema Militante (Le lotte di via Tibaldi sull’occupazione delle case, La città del capitale presentato addirittura a Cuba davanti a Fidel Castro); dalla realtà scolastica (Una scuola nel parco di Giulia Ciniselli, 2005) ai quartieri (la Bovisa di Elvio Annese e Rosario Monteleone de I luoghi di Christian, il corso Garibaldi de L’ultima casa di Mietta Albertini, dove si rievoca la vicenda del n° 36 da cui vennero sfrattate 60 famiglie, o La casa degli artisti di Simone Cariello e Luca Puglia, incentrato sulla palazzina costruita nel 1911 che ha poi visto tra i suoi inquilini anche Buzzati e Chet Baker).

Addirittura, ci sono la microagricoltura urbana (Ortometraggio di Gianpaolo Gelati e Michele Ulisse Lipparini del 2002) e gli animali (Animol di Martina Parenti e Marco Berrini del 2003, con interviste ad esperti del rapporto tra la città e gli animali), oppure la nuda cronaca, con lo sciopero “selvaggio” dei tramvieri milanesi del 1° dicembre 2003, impresso su pellicola grazie a Marco Carraro, Maurizio Grillo, Alessandro Fea e Filippo Ticozzi in Regalo di Natale (2004).

Per ragioni di spazio, siamo costretti a fermarci qui. E spiace, perché esiste davvero un universo (cinematografico e milanese) che vi invitiamo di andare ad esplorare, per osservare in modo diverso e spesso originale la città dove viviamo.

Questi lavori dovrebbero essere raccolti e custoditi con cura per creare un archivio storico su Milano. Invece, come purtroppo scoprirete, vi risulterà senz’altro difficile trovarli. Tuttavia, non desistete: ne vale assolutamente la pena. Saludi


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