Eppure come cittadino vorrei conoscere, e non per morbosità, quanto si sono detti al telefono il mio, il nostro, presidente e il suo vecchio amico. Se il contenuto della conversazione era così irrilevante perché, giunti a questo punto, non divulgarlo? In fondo di e su Berlusconi abbiamo letto e appreso di (quasi) tutto. Due pesi e due misure?
La mossa del presidente Napolitano (l'ormai celebre conflitto di attribuzione) ha tuttavia innescato ogni valzer interpretativo e dietrologico. La tormenta mediatica sta liberando vento e grandine distruttiva. Un'incontrollabile spirale. Perché allora, una volta per tutte, non mostrare la propria cristallinità? O, per difendere – a prescindere – un presunto principio d'inviolabilità (per lo meno, alla base, c'è una lacuna giuridica da colmare), si preferisce assistere a questo balletto alle soglie e sulle spoglie del buon senso? Se i contenuti sono innocui di che cosa si ha paura? Della verità, forse? Oppure di qualche opinione o giudizio, per quanto intempestivo o forte o sbilanciato, su persone, cose o fatti?
L'esercizio della verità tanto si teme in questo Paese? Quella verità sulla quale nei decenni si sono scaraventate palate di fango e omertà, depistaggi e occultamenti? Ricordiamoci che l'Italia è la nazione delle stragi, di eccidi e omicidi impuniti o di bombe senza colpevoli, dei “misteri”: Portella della Ginestra, Piazza Fontana e Pinelli, Ustica, Bologna, Via Palestro, Georgofili... Luoghi tragicamente arcinoti, morti famose e oscuri nomi accomunati da una triste sorte.
Si sta divagando troppo? Basti ricordare che mentre, con una certa probabilità, mafia e Stato stavano con oscuri canali trattando – nero tunnel di dispregio –, Falcone e Borsellino morivano ammazzati e con loro gli agenti di scorta. Quante vittime, nobili vittime... che avrebbero tutte diritto alla verità.
E il Paese, anestetizzato, continuava a languire perdendo ricchezza e senno e prospettive e speranza e innocenza, smarrendo il futuro, ma tristemente guadagnando, di contro, povertà, frattura sociale (con il conseguente bagaglio di iniquità), paura, cinismo, indifferenza, apatia, egoismo, colpa.
Difficile, detto con amarezza, mandare giù l'amaro boccone degli ennesimi segreti e continuare a coltivare fiducia in questo Stato. Arduo, peraltro, credere che siano saldi i capisaldi della democrazia. Saldi evidentemente sono solo capi, capetti, capataz, carrieristi e faccendieri, coloro che, insomma, detengono il potere, un potere, coloro che manipolano e “orientano”, anche con i mezzi della democrazia (paradossale?) o dietro le quinte, nei retrobottega, negli scantinati dell'etica. Trasparenza, poca; opacità, tanta. Perché, tanti si domandano ironicamente in questi giorni, non ripristinare la lesa maestà? E mai discutere il principio di autorità...
E i cittadini? Che sanno? Chi e che cosa sono? Sono nella “finzione” elettorale quando vanno a scegliere dei nominati? Siamo, a proposito, ansiosi di conoscere il parto della nuova legge elettorale. Un miraggio, quello che coltiviamo, di partecipare tutti all'edificazione della comunità? Ci illudiamo di essere?
Bisognerebbe con un atto di coraggio diradare le cortine di tenebra e nebbia. Con la luce della verità. E che crolli il trionfale (a ben vedere, tragico) baraccone dell'ipocrisia, che uccide una volta di più i martiri (e la credibilità delle istituzioni). Basterebbe poco, forse.
Eppure come cittadino vorrei conoscere, e non per morbosità, quanto si sono detti al telefono il mio, il nostro, presidente e il suo vecchio amico.
Alberto Figliolia