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Lina Porta. Il diritto di avere diritti
04 Settembre 2012
 

Una nostra socia ci ha inviato il racconto di un’esperienza estiva da lei vissuta con i propri figli. Questo racconto ci pare possa rappresentare anche il pensiero della nostra associazione che, da ben 11 anni, lotta per concretizzare nella realtà di tutti i giorni i valori fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana, in primo luogo nella scuola. Scuola anche come simbolo di valori e di diritti, di tutti. (Associazione Scuola e Diritti, Morbegno)

 


IL DIRITTO DI AVERE DIRITTI

 

 

...una sera di luglio sono andata con i miei figli a vedere il film Diaz

 

– Ma sono veri? Perché si sono comportati così? – mi hanno chiesto.

Di fronte a queste domande, apparentemente così semplici, ho avuto grandi difficoltà a rispondere.

La difficoltà maggiore è stata quella di non poter offrire loro un finale semplice e logico (a volte illogico ma congruente alla storia) come quello delle fiabe che hanno letto fino a ieri. Mi avrebbe aiutato poter loro dire che sì, è tutto vero, quello che hanno visto è successo veramente, ma è stato sbagliato, è stato un grave errore e chi lo ha commesso ha pagato... quei signori sono stati sospesi, non fanno più i poliziotti, i medici, gli infermieri.

Mio figlio, il più piccolo, mi ha chiesto se la nostra Associazione, Scuola e Diritti, non avrebbe potuto protestare, manifestare nell'anniversario di quegli avvenimenti. In fondo, diceva, è successo in una scuola... voi vi occupate di questo, dello star bene a scuola.

Ecco, quello che forse mi ha colpito di più è questo: in una scuola, dove si educa, (dicono anche alla legalità)... dove si parla e ci si nutre di diritti, di diversità, di rispetto per sé e per gli altri e per la costituzione...

Lì si è sospesa la democrazia... come a Breslan.

E ho pensato che la dittatura, “garage Olimpo”, è dietro l'angolo e mi sono chiesta anch'io perché è potuto succedere e, mi sono detta, che avere definito l'accaduto “macelleria messicana” è stato un modo per allontanare il problema, di non riconoscerlo come nostro. Come quando chiamiamo mostro qualcuno che ci fa troppo paura e preferiamo non vedere l'umano di quel volto.

Tutto quello che ho visto in quel film mi era noto, ma la forza delle immagini è potente e i diritti violati sono un pugno nello stomaco... mai più? Non in mio nome?

 

La Cassazione il 5 luglio 2012 ha deciso che non ci furono innocenti quella notte, non lo fu chi agì la violenza sulle persone presenti nella “Diaz” e nella caserma di Bolzaneto, non lo fu chi le ordinò e poi cercò di coprirle. Ma il conto definitivo, grazie al gioco della prescrizione, lo pagano solo alcuni vertici della polizia. Anche Amnesty International ha sollevato dubbi e parla di «condanne tardive e pene che non riflettono la gravità dei crimini accertati».

Le sentenze che hanno, 11 anni dopo, colpito i vertici della polizia, hanno restituito un po' di senso alla parola diritto, ma la scritta finale del film che informa che la tortura non è un reato previsto nel nostro codice di procedura penale, pertanto non sussiste pena... mi ha riportato nel mondo del paradosso: se non c'è scritto non esiste, se non lo riconosco non c'è, è altro, è mostro, è macelleria messicana.

Mi conforta sapere che l'anziano Arnaldo Cestoro, presente al momento della sentenza, abbia dichiarato che «dopo 11 anni da suddito torno ad essere un cittadino».

Mi conforta sapere che un gruppo di poliziotti della questura di Bologna, decidendo di confrontarsi criticamente sugli eventi, ha organizzato un pubblico convegno nonostante una circolare del Ministero di P.S. vietasse agli agenti ogni commento sui film Diaz e Acab.

Ma non posso non chiedermi: Cosa c'è dietro l'angolo?

Possiamo esserci anche noi ad esigere rispetto, a chiedere il diritto, tutti i giorni, di esprimere voci, pensieri, dissensi, parole diverse. Perché i diritti, anche quelli più semplici ed elementari non sono acquisiti e scontati e di questo occorre esserne consapevoli.

È semplicistico pensare che le nostre società complesse e indebitate da crisi economiche, sociali ma anche di pensiero, possano aprirsi spontaneamente all'idea di uguaglianza e diritto sempre e comunque. Perché si riesca ad essere parte di un “noi”, di una identità collettiva, occorre che si crei, come scrisse Hanna Arendt, il diritto ad avere diritto.

Esistere politicamente non è affatto scontato (E. Balibar).

Per questo ho portato i miei figli a vedere Diaz, per questo ci sono andata.

Per ricordarmelo.

 

Lina Porta


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