Immanuel Kant (Königsberg 1724-1804) scrisse nel 1795 questo Per la pace perpetua (titolo originale: Zum Ewigen Frieden -Einphilosophischer Entwurf won I. Kant, pubblicato a Königsberg da Nicolovius in quello stesso 1795) che reca, quale sottotitolo: «Un progetto filosofico di Immanuel Kant». Il testo viene ora riproposto, in seconda edizione, dalla BUR per la cura editoriale di Laura Tundo Ferente (Rizzoli, 2004). Il volume è composto di due sezioni: la prima delle quali dedicata all’esposizione dei 6 «articoli preliminari per la pace perpetua tra gli stati», la seconda: ai 3 «articoli definitivi». Sono contenuti, in aggiunta, due «Supplementi» (il secondo dei quali, presente dalla seconda edizione del 1796) ed una «Appendice».
Kant, fedele fino in fondo al sottotitolo di questa sua opera, traccia in queste pagine un vero e proprio progetto globale da dover porre in atto ai fini del conseguimento, da parte degli stati, di quell’«idea della ragione» che è l’instaurarsi in maniera definitiva della pace fra essi. Le prime due sezioni, in questo senso, sviluppano un reticolato, o una griglia, per un totale di 9 articoli (fra preliminari e definitivi) che dovranno essere messi in atto e rispettati nei rapporti fra i vari stati ed all’interno di ogni singolo stato. Il progetto, dunque, comincia fin da subito ad essere delineato nella sua natura, caratteristica e costituzione più propria. Ma Kant non si ferma qui. Nel «Primo supplemento» cala, infatti, questo progetto nella concreta realtà storica dei suoi anni: «È lo spirito commerciale, che non può andare d’accordo con la guerra, e che prima o poi s’impadronisce di ogni popolo. E poiché fra tutte le forze… che costituiscono il potere dello stato, la forza del denaro potrebbe essere la più sicura, così gli stati si vedono costretti… a promuovere la nobile pace e, quando la guerra minaccia di scoppiare nel mondo, a impedirla mediante compromessi». In questa maniera, Kant giustifica il suo «progetto filosofico» partendo dalla considerazione di quella «situazione in cui la natura ha collocato le persone che agiscono sulla grande scena del mondo» e risolvendo la questione relativa a «cosa fa la natura al fine di imporre all’uomo il dovere di sottostare alla sua propria ragione, e con ciò favorire la sua intenzione morale, e quale garanzia offre la natura per assicurare che ciò che l’uomo dovrebbe fare secondo la legge della libertà e non fa, egli lo farà costretto dalla natura, senza che peraltro sia compromessa questa libertà morale, e ciò nel triplice rapporto del diritto pubblico, del diritto internazionale, del diritto cosmopolitico». In qualche modo, con queste parole il filosofo di Königsberg ci indica lo stato di cose dal quale è partito.
Con il «Secondo supplemento», poi, Kant pone una specie di clausola del tutto particolare alla quale gli «stati armati per la guerra» saranno tenuti inoltre ad attenersi. Questa clausola, nel contesto generale dell’opera, fungerà da raccordo fra i contenuti del «Primo supplemento» e quelli dell’«Appendice» che seguirà. Infatti, in questo «Secondo supplemento» (o «articolo segreto per la pace perpetua») Kant afferma: «le massime dei filosofi circa le condizioni che rendono possibile la pubblica pace debbono essere prese in considerazione dagli stati armati per la guerra». Per mezzo di questa salvaguardia ed accoglienza del ruolo del filosofo (e della filosofia) all’interno degli stati: Per la pace perpetua può passare dalla delineazione iniziale del «progetto filosofico» proposto da Kant alla concretazione di esso nello spirito del tempo da cui Kant prende le mosse («Primo supplemento») per giungere alla contestualizzazione –globale ed astratta- dello stesso progetto portato avanti fino a quel punto al livello delle più generali istanze filosofiche. L’«Appendice», infatti, sarà tutta incentrata «sulla discordanza fra morale e politica riguardo alla pace perpetua». Kant, in questo luogo del suo scritto, si esprime molto chiaramente, come dice anche Laura Tundo Ferente nella sua «Introduzione», a favore del «primato della morale sulla politica». Kant afferma infatti che: «L’onestà è migliore di ogni politica… è la condizione indispensabile della politica». Il progetto filosofico «Per la pace perpetua», dunque, arriva a chiudere un cerchio perfetto che è composto dalla sua configurazione, dalla sua contestualizzazione e dalla sua completa generalizzazione; non trascurando un intermedio punto di passaggio fra questi tre stadi. Tale punto di passaggio essendo costituito, come si è visto, da quella «classe dei filosofi» che «re o popoli sovrani… non facciano scomparire o tacere… e li lascino pubblicamente parlare».
Volendo scendere più nel particolare: l’ordinamento previsto dagli «Articoli definitivi» per ogni singolo stato, e cioè quello di tipo repubblicano, federalista ed orientato ai principi dell’«ospitalità universale» riflette pienamente quelle che sono le assunzioni di base da cui Kant produce questo suo discorso. Il senso dei tre articoli definitivi sta nel fatto che, usando le parole di Laura Tundo Ferente, Kant «pensa che il diritto possa avanzare estendendo la capacità di regolare la vita associata, la convivenza umana, dall’ambito interno dello stato a quello dei rapporti fra stati, e infine all’ambito più vasto e totalmente comprensivo della cosmopoli». Il diritto, infatti, è un’idea della ragione; una di quelle idee «alle quali non si può trovare nell’esperienza nessun oggetto adeguato». Ed inoltre «il continuo approssimarsi ad una tale idea della ragione… non costituisce se non il cammino verso quell’idea rappresentato dallo sviluppo della coscienza civile e, a livello più alto, dalla coscienza morale». Questa «architettonica della pace» disegnata da Kant in questo suo scritto, ha perciò una giustificazione ed una coerenza del tutto immanenti al totale del sistema filosofico dello stesso Kant. Giungendo a rappresentare, nello stesso tempo, come afferma Giuliano Marini (nel saggio “Per una repubblica federale mondiale: il cosmopolitismo kantiano”; saggio contenuto nel volume collettivo La filosofia politica di Kant, curato da Giulio Maria Chiodi, Giuliano Marini e Roberto Gatti ed edito da Franco Angeli nel 2001) il «culmine» dell’intera filosofia politica kantiana.
Gianfranco Cordì