Scienze e umanesimo, la stessa materia. Così non stupisca di incontrare figure di medici impegnati pure in qualità di registi, musicisti, pittori, scrittori e poeti (Carlo Levi, Mario Tobino, Giuseppe Sinopoli, Francesco Fiorista). E Barbarah Guglielmana, chiavennasca laureata in medicina e poetessa. Il lavoro di medico è un osservatorio privilegiato sulle necessità e i bisogni spirituali (sì, spirituali) di ogni essere umano, colto nella sua fragilità e debolezza, ma anche nella sua resistenza e armonia.
Barbarah ha collaborato a numerose riviste e fanzine – Macondo, Il Maltese, Fotocopianda, Inchiostro, 'l Gazetin etc. – e sue poesie sono state pubblicate in svariate plaquettes. Fra le mani ho Tredici cadenze. Giovani poeti in Pavia (prefazione di Gianfranca Lavezzi, puntoacapo Editrice di Cristina Daglio), un'interessantissima antologia che dà voce e spazio, per l'appunto, a tredici autori: Bonač, Alessandro Castagna, Virginia Fabrizi, Mario Barrai, Dario Bertini, Davide Castiglione, Vanessa Navicelli, Enrico Barbieri, Marco Ferrari Piccinini, Costanza Gaia, Giacomo Francesco Lombardi, Silvia Patrizio e Barbarah Guglielmana.
Chi ha già approcciato la poesia di Barbarah è “predisposto” alla sorpresa. Forse. Difatti, i versi della nostra autrice sono sempre felicemente spiazzanti e non per una mera voglia di stupire. Sono partenze e ritorni imprevisti, in quel ciclico ondivago rotolio che l'esistenza è, accensioni, spegnimenti e ancora il divampare della ragione in conflitto con il sentimento o... «Forme imprecise che scivolano/ sulla vita, pasoliniana./ E passa un tempo interno e/ un sole lunare si fa spazio tra le nuvole insorte,/ facendo ombra al buio di fine giornata» (da Un picchio batte il tempo).
Ogni volta che mi sono imbattuto in una poesia della Guglielmana ne ho tratto gran godimento e al tempo stesso mi sono rammaricato per alcuni suoi lunghi silenzi. La verità è che vorrei leggerla più spesso. «Il rosalaccio sborda dal giardino,/ di carta colorata scrive di periferia/ come di città calvine imperiali […] Passa l'uomo d'oggi, con l'ombrello scuro trasparente/ e lo vede in un quadro/ rosso come il sapore dell'amore,/ ingustato». Dolcemente spaesante. Notare le “città calvine imperiali”, non certo un superfluo sfoggio di erudizione, bensì un voluto contrasto: l'astrazione intellettuale e l'inevitabile erompere del fiore. L'unione di elementi “dissonanti” come è dato nel panorama della vita. Commistione di cultura e natura. Ordine e disordine (quanto è primigenio?). Ossimoro d'angoscia, noia e amore (“ingustato”, neologismo di rara efficacia).
«Le mie mani sono esangui,/ del colore laccato di supermercato le ricopro/ ma sono svenate […] indugianti temporali aspettati, quasi asciutti/ Si sgretola il pavimento di sabbia alle stille/ dove appoggio il senso significato dell'etimo,/ come crepe sugli anni del viso di una donna/ screpolato al sole della vita/ in un agosto al culmine del calore scabroso./ La verde foglia che circondava il reclusorio si è strozzata su se stessa,/ altalena di lucertole» (da Hanno strappato le edere). “Si sgretola”, “screpolato”, “scabroso”, “si è strozzata”... allitterazioni, per dire del vuoto, nelle corsie dell'esistere, fra scansie di ricordi, nella ricerca di un senso.
«Il bambino piange in mezzo alle folle». Chi è? Quale io? O un noi? «Io mi volto, il primo temporale ci sorprende,/ I miei tulipani non fanno in tempo ad aprirsi/ e muoiono il loro colore sotto l'acqua di un marzo non finito […] Io mi vesto, l'amore è stato fatto/ e la mia malattia non si vede ancora,/ Posso uscire fingendomi Venere» (da Raccogliendosi in Aprile). Nei falsi transitivi la contraddizione, da ricomporre, il mutante e il transeunte. Mi ripeto mentalmente... “Io mi vesto, l'amore è stato fatto”. Il filo di perle della disperazione. Ma... «Il bambino ha smesso di piangere,/ in ogni folla ha una mamma che lo prende per mano,/ e tu mi guardi andandotene precario». La fine. Ossia un nuovo incipit, per quanto esiziali o esitanti. L'enigma, la soluzione dei giorni che comunque si svolgeranno. L'antidoto. «E passa un tempo interno e/ un sole lunare si fa spazio tra le nuvole insorte».
Una poesia matura, compiuta. Felicemente spiazzante.
Alberto Figliolia