Non voglio analizzare le implicazioni etiche e giornalistiche del lavoro di Julian Assange. Confesso di provare simpatia per la sua ideologia, almeno quando proclama il bisogno di trasparenza nelle questioni diplomatiche e di governo. Il problema è che a Cuba non sono state pubblicate tutte le informazioni svelate da Wikileaks, ma solo quelle in cui il governo cubano fa una buona figura. Proviamo a tracciare alcune conclusioni. Come non ho bisogno della fantomatica fibra ottica, né di un’antenna parabolica illegale per conoscere le notizie quotidiane, anche questa volta possiedo tutti gli elementi per farmi un’opinione.
Un governo che ha fondato il suo potere su segretezza e silenzio non ha titolo per complimentarsi con un hacker che rappresenta l’esatto contrario. La pubblicazione di informazioni segrete viene lodata dalla nostra televisione, emanazione di un regime da sempre attento a non lasciare tracce dei propri errori. Il “Robin Hood delle informazioni” - come è stato definito - riceve complimenti dallo sceriffo che ha rinchiuso i cubani in un castello feudale di censura. C’è qualcosa che non torna.
Il fascino improvviso dei mezzi di comunicazione cubani per il fondatore di Wikileaks segue la solita logica dello squallido slogan antimperialista: “il nemico del mio nemico è mio amico”. L’assurdo raggiunge il massimo quando il programma televisivo “Mesa Redonda” (Tavola Rotonda), noto per anti-giornalismo e compiacenza con il potere, presenta questo giovane di 41 anni come un eroe del web. È la cosa più contraddittoria che ho visto ultimamente, anche se vivo in una terra piena di grandi paradossi.
Se a Cuba un funzionario della Sicurezza di Stato rendesse pubblico il costo che il paese sostiene per attaccare gli avversari e per organizzare manifestazioni contro le Damas de Blanco, che cosa accadrebbe? Se domani un medico, motivato da onestà personale e professionale, pubblicasse il numero reale delle persone contagiate dal dengue a Cuba, che cosa potrebbe accadere? Immaginiamo un soldato cubano - nei panni di Bradley Manning - che rivelasse i protocolli militari esistenti tra i governi dell’Avana e Caracas. Avrebbero pietà di lui? E se qualcuno dovesse rivelare le reali dimensioni della fortuna personale di Fidel Castro? Se un semplice blog che pubblica opinioni mette in guardia l’intero apparato repressivo, mi vengono i brividi al solo immaginare cosa potrebbe accadere a una persona che creasse un sito web ricco di informazioni segrete riguardanti Cuba.
Ragioniamo su alcuni elementi noti. I regimi autoritari non lasciano traccia su carta delle loro malefatte. I loro archivi raramente contengono cose compromettenti, perché gli ordini vengono dati verbalmente e senza testimoni. I gerarchi sono specialisti nel mandare qualcuno a uccidere gli avversari, sono molto bravi a disporre atrocità, basta che muovano un sopracciglio. Possono fomentare azioni di guerriglia in un intero continente sussurrando poche frasi, possono distribuire missili nucleari nel loro territorio sotto l’impunità del silenzio, e rinviare per 15 anni la pubblicazione del bilancio delle vittime di una guerra combattuta in territorio africano. Questi regimi nemici dell’informazione sanno individuare bene i potenziali Julian Assange. Fiutano il loro odore sin da quando sono giovani, quando fanno domande, quando non sono d’accordo con la solita tiritera della televisione statale e cercano di approfondire. I regimi controllano i potenziali Assange da quando cominciano a mettere in discussione ciò che è sbagliato e a ficcare il naso in alcune questioni spinose. Agiscono rapidamente contro queste persone. In alcuni casi li comprano con privilegi effimeri, in altri rendono la loro vita impossibile, spingendoli verso l’esilio, in altri ancora li demonizzano per togliere loro ogni credibilità. Non c’è modo per diventare un Julian Assange a Cuba e rimanere vivi, credetemi.
Yoani Sánchez
(da The Huffington Post, 25 agosto 2012)
Riduzione e adattamento a cura
di Gordiano Lupi e Massimo Campo