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Gordiano Lupi. Cuba prima della rivoluzione
17 Agosto 2012
 

Cuba è la zuccheriera del mondo, come disse Cristoforo Colombo è “la terra più bella che occhio umano abbia mai contemplato”, dal suolo fertile con i sigari fantastici, uno dei luoghi migliori per vivere. Cuba è stata un possedimento spagnolo per quattrocento lunghi anni, caratterizzati da malgoverno, ruberie e violenza. I conquistatori hanno sterminato gli indios al punto che oggi i cubani sono soltanto spagnoli, neri, creoli o mulatti. I cubani lottano da sempre per la loro indipendenza, le tappe fondamentali sono state la guerra dei dieci anni (1868 - 1878), l’insurrezione di José Martí (1895) e la guerra ispano - americana (1898). L’aiuto dei nordamericani contro gli spagnoli viene ritenuto determinante da molti storici, ma Castro ha sempre sostenuto che non servirono a niente, vennero soltanto a raccogliere i manghi maturi. Il trattato di pace di Parigi (1898) segnò la nascita della nuova Cuba, ma l’emendamento Platt (1901) - che sanciva il diritto dei nordamericani di intervenire a Cuba a tutela dei loro interessi - trasformò per quasi mezzo secolo l’isola in una colonia economica degli Stati Uniti. Il fattore più umiliante fu che l’emendamento Platt venne inserito nella Costituzione cubana, che riconosceva il diritto di intervento nordamericano a tutela dell’indipendenza cubana (art. 3). L’art. 7 della Costituzione sancì la nascita della base navale di Guantanamo come enclave statunitense sull’isola, che venne affittata agli Stati Uniti per le loro necessità. L’emendamento Platt è stato abrogato nel 1934, ma la base di Guantanamo è ancora nordamericana ed è stata utilizzata spesso come prigione politica. Gli Stati Uniti sono sempre stati contrari a una vera e propria indipendenza cubana, anche se non hanno mai voluto annettere l’isola.

José Martí predicava una politica di indipendenza sia dalla Spagna che dagli Stati Uniti ed è soltanto per questo elemento che le sue idee assomigliano a quelle di Fidel Castro. Martí è stato il Lincoln cubano, l’apostolo dell’indipendenza, come idee politiche molto vicino al nostro Giuseppe Mazzini. Martí era riuscito a unire i cubani, impresa oltremodo difficile, vista la perenne litigiosità di questo popolo, non era un leader politico, ma un letterato che divenne un simbolo dopo la morte in battaglia, il 19 maggio 1895, contro gli spagnoli.

Fidel Castro si iscrisse all’università in un periodo storico caratterizzato dalla rilettura delle opere di Martí e fu lui il primo ad affermare di essersi formato al suo idealismo. Fidel non leggeva Marx e Lenin, ma i libri di Martí, pure se dal suo insegnamento ha appreso solo gli elementi formali non certo la sostanza politica. La Cuba di oggi non ha niente a che spartire con il popolo colto e libero che l’apostolo aveva idealizzato. Fidel ha sempre avuto in comune con Martí l’odio nei confronti dei nordamericani, perché il padre della patria diceva: “Sono stato nel mostro e ne conosco le viscere”, riferendosi agli Stati Uniti. In tutto questo giocava un ruolo importante l’atteggiamento nordamericano che ha sempre considerato Cuba e buona parte del Caribe come una sua estrema propaggine. Cuba era un’appendice naturale, un mare nostrum da sfruttare, un’idea che i cubani non potevano sopportare. Gli Stati Uniti pensavano di aver sottratto l’isola alla dominazione spagnola per poterla assoggettare ai loro scopi economici. I presidenti della Repubblica Cubana sono stati sempre fantocci nelle mani dei nordamericani. Gerardo Machado ricoprì la carica dal 1924 al 1928, non fu né peggiore né migliore di altri, ma alla fine del mandato instaurò una dittatura sotto la protezione statunitense. Machado fu deposto dall’esercito nel 1932 e dopo questa ribellione salì al potere il sergente Fulgencio Batista, che diventò prima colonnello, poi capo di stato maggiore e infine Presidente della Repubblica Cubana dal 1940 al 1944. Fu sotto il suo governo che Cuba divenne il regno della corruzione e la mecca del gangsterismo.

La politica cubana era diretta da una classe dirigente composta da ex combattenti, banchieri, proprietari terrieri, militari, uomini d’affari e professionisti. La politica era strutturata come un sistema di favoritismi, pensata come un modo per arricchirsi e per guadagnare potere personale, non certo per fare gli interessi del popolo. Agli Stati Uniti stava bene così, perché il ruolo dei politici era quello di proteggere i loro interessi, permettendo il sistematico arricchimento delle imprese nordamericane. Il regime imposto da Fulgencio Batista generò una reazione rivoluzionaria diffusa, sia per l’ingordigia dei governanti che per la violenza della polizia. Il governo era indifferente alle necessità della popolazione che chiedeva istruzione, sanità, case e giustizia sociale. Le sole aperture democratiche si erano avute con Grau San Martín e Prío Socarrás, ma sia Machado che Batista avevano dato vita a regimi illiberali e dispotici. L’economia cubana era saldamente nelle mani di imprenditori statunitensi che possedevano enormi latifondi e grandi piantagioni di canna da zucchero. Lo zucchero - monocoltura dell’isola saldamente in mani statunitensi - creò sfruttatori e sfruttati, schiavi e padroni, proprietari e massari, ma anche lo schiavismo negro. Il tabacco era la ricchezza della classe borghese, ma era nelle mani di grandi proprietari che venivano dagli Stati Uniti oppure di ricchi cubani. Il problema di Cuba era la sua non indipendenza economica, visto che poteva dirsi soltanto la zuccheriera e il luogo di vacanza degli statunitensi. Cuba non era un paese sottosviluppato, ma era economicamente dipendente dal capitale straniero. “Il mostruoso vicino” non era ben visto dai cubani che volevano essere davvero indipendenti invece di farsi governare da uomini corrotti.

La rivoluzione cubana si inserì in un substrato sociale antiyankee che chiedeva giustizia, fine del razzismo e attenzione alle istanze popolari. L’anticomunismo nordamericano fece il resto quando trionfò la rivoluzione e Fidel Castro scelse il marxismo - leninismo.

La rivoluzione cubana nacque da un sentimento antibatistiano diffuso in ogni strato della popolazione e fu proprio il golpe dell’ex sergente mulatto a fornire il pretesto per l’azione di Fidel. La ribellione sfociò nell’assalto alla Caserma Moncada del 26 luglio 1953, primo sollevamento popolare contro un regime corrotto e marcio che aveva prodotto un capo di Stato golpista come Batista. Fidel era l’uomo adatto per incarnare tutte le istanze rivoluzionarie.

Prima della rivoluzione a Cuba c’erano le classi sociali, esistevano borghesia, aristocrazia terriera e popolo minuto. La rivoluzione spazzò via tutto, sostituendo alle classi sociali i membri del partito e il popolo, sotto il partito esisteva soltanto una classe bassa. La classe alta del passato era composta per lo più da bianchi, proprietari terrieri, uomini d’affari, funzionari del governo, militari, politici e professionisti. Neri e mulatti non sono stati segregati e limitati, ma non hanno mai ricoperto incarichi di responsabilità. A Cuba non c’è mai stato un razzismo di tipo nordamericano e sudafricano, ma solo un sentimento razzista strisciante. Gli abitanti delle campagne tiravano avanti in condizioni misere, guajiros o campesinos che fossero, le loro case erano bohíos, capanne con tetti di foglie di palma e pavimenti in terra. I segnali di progresso economico erano inesistenti e l’analfabetismo toccava livelli di guardia. Il reddito medio pro capite era di cinquecento dollari all’anno, una media non cattiva rispetto al resto dell’America centro-meridionale, ma il livello di disoccupazione era piuttosto alto. In campagna si mangiavano riso, piselli, banane e radici, senza carne, uova, pesce e latte, mentre le condizioni igieniche erano pessime, le case prive di luce e con pochissimi servizi sanitari. In città abbondavano le bidonvilles, la piaga del sottoproletariato era una triste realtà, il popolo mancava di cibo e lavoro, ma in compenso la terra era inutilizzata e non si costruivano fabbriche. La rivoluzione venne fatta dal ceto medio, come sempre accade non sono le masse a dettare cambiamenti radicali e a sollevarsi, ma la borghesia, le classi colte che incarnano le esigenze di rivolta. Adesso le condizioni cubane sono simili, ma non esiste una classe media, perché Fidel Castro l’ha distrutta, i borghesi sono all’estero o in condizione di non nuocere.

Nel 1944 Batista si fece da parte, perché era giunta la fine del mandato. Presero il suo posto Ramon Grau San Martín e Carlos Prío Socarrás, esponenti del Partito Autentico, il Partito della Rivoluzione Cubana, che promise la riforma agraria ma non provò neppure a farla. Otto anni di Partito Autentico al potere produssero un aumento della corruzione e della concussione. Eduardo Chibás uscì dal Partito Autentico e fondò il Partito del Popolo Cubano, detto Partito Ortodosso, che poco a poco divenne un’importante forza politica. Nel 1951 Chibás si suicidò in diretta radiofonica sparandosi un colpo di pistola allo stomaco e denunciando la corruzione dilagante. Era il 1952 quando Fidel Castro si presentò alle elezioni nelle liste del Partito Ortodosso, ma il 10 marzo 1953 arrivò il colpo di Stato di Batista che mise da parte Prío Socarrás. Fu dopo questo rapido susseguirsi di eventi che Fidel Castro organizzò l’assalto alla caserma Moncada messo in atto il 26 luglio 1956.

 

Gordiano Lupi


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