A Cuba ci sono ancora tre italiani in carcere, condannati a lunghe pene detentive, dopo la morte di una baby prostituta al termine di un’orgia in una casa di Bayamo, piccolo centro nella zona orientale dell’isola. Nessuno fa niente per loro, forse non sono persone importanti, forse sono cittadini di serie B. Il Ministero degli Esteri - in tutt’altre faccende affaccendato - pare del tutto disinteressato a risolvere un problema grave per le famiglie dei cittadini coinvolti. La stampa non fa parola di un fatto orribile, che dal dicembre del 2011 vede i nostri concittadini reclusi nelle carceri cubane, costretti a scontare una pena a loro dire ingiusta.
Angelo Malavasi e Simone Pini, accusati di omicidio e corruzione di minori, sono stati condannati a 25 anni di galera, mentre Luigi Sartorio dovrà scontare 20 anni per il secondo capo di imputazione. Luigi Sartorio, dopo un lungo periodo in cui mostrava segni di squilibrio psico-fisico, disturbi segnalati senza esito al personale del carcere del Combinado del Este, si è visto diagnosticare un tumore al cervello ed è stato operato.
Pini e Sartorio hanno proclamato la loro innocenza rilasciando dichiarazioni ala stampa straniera. Pini sostiene (e può provare) che non si trovava a Cuba quando si è verificato il tragico evento.
I condannati cubani sono in prigione da oltre due anni, prima in alcuni penitenziari della provincia di Granma, quindi Sartorio e Malavasi sono stati fatti rientrare rispettivamente al Combinado del Este e La Condesa. Pini è ancora a Bayamo, nel carcere provinciale di Las Mangas. Il cadavere di Lilian Ramírez Espinosa, 12 anni, era stato rinvenuto il 19 maggio 2010 in un luogo difficilmente accessibile, coperto dalla vegetazione spinosa, nella campagna alla periferia di Bayamo. La minorenne era asmatica e pare che avesse preso parte a un convegno erotico, ma la morte è sopravvenuta per asfissia nel bagagliaio dell’auto, dove era stata nascosta prima di essere seppellita nei campi.
I familiari degli italiani assicurano che i condannati sono innocenti e che i veri assassini di Lilian Ramírez Espinosa sono ancora a piede libero. Accusano il Dipartimento Tecnico di Investigazioni di Bayamo di aver fatto un pessimo lavoro, di aver fabbricato prove e usato comportamenti minacciosi, inganni, pressioni psicologiche e persino di aver usato le maniere forti per ottenere confessioni. Gli italiani assicurano che non si trovavano a Cuba nel giorno in cui è morta la bambina e affermano che le autorità ignorano deliberatamente le prove portate a sostegno del fatto che erano in Italia.
La storia di questo orribile delitto non sembra finita. I nostri connazionali sono nelle mani di un sistema processuale che non garantisce la certezza del diritto e a questo punto si sentono anche un po’ abbandonati dalla giustizia italiana.
Gordiano Lupi