Nella seconda metà del secolo XIX le forze rivoluzionarie si organizzarono contro il potere coloniale spagnolo.
Carlos Manuel de Céspedes y Castillo, emerse come importante cospiratore indipendentista cubano. In rappresaglia, l'esercito spagnolo arrestò suo figlio minore e condizionò il suo rilascio alla rinuncia di Céspedes ai suoi ideali; in caso contrario suo figlio sarebbe stato fucilato. La risposta di Céspedes fu tanto coraggiosa quanto dolorosa: «Oscar non è il mio unico figlio. Io sono padre di tutti i cubani che sono morti per la rivoluzione».1
Suo figlio fu assassinato. Da quel momento Céspedes diventò per i rivoluzionari il Padre della Patria. Céspedes organizzò la guerra di indipendenza. Il 10 ottobre 1868 lanciò il Manifesto e liberò i suoi schiavi invitandoli a unirsi alla lotta. L'11 ottobre intentò l'assalto a Yara, ma l'arrivo di una colonna spagnola divise e disperse gli insorti. Céspedes restò con pochissimi uomini. Secondo gli storici dell'epoca, fu in quella circostanza che disse: «Siamo rimasti in 12 uomini; bastano per conseguire l'indipendenza di Cuba». Céspedes ricompattò le truppe e, il 13 ottobre, conquistò Bayamo e altre località e fu riconosciuto come Comandante Generale della guerra.
Altri attribuiscono una frase simile a Ignacio Agramonte y Loinaz, Maggiore Generale della guerra, dopo una sconfitta: «Non badate a chi non ha fiducia, che con dodici uomini si può fare un popolo».2
Il 10 marzo 1952, Batista effettua il suo secondo colpo di Stato con l'appoggio di più di 50 ufficiali e loro forze,3 ma si continuò a raccontare che aveva «solo una dozzina di uomini al seguito».4 A questo numero, il 12, si diede molto risalto: alcuni sostengono che Batista intendesse paragonarsi a Céspedes; altri, a Gesù.
Il 2 dicembre 1956, Fidel sbarca con il “Granma” nella spiaggia delle colorate. Erano in 82. Le truppe di Batista, avvertite, mettono a punto un piano militare per eliminare i rivoluzionari. Erano arrivati alla tenuta di Alegría del Píoquando vennero sorpresi dall'esercito e dall'aviazione. Molti morirono, gli altri si dispersero. Il 18 dicembre il gruppo di Fidel si rincontra con quello di Raùl. Si radunarono 8 uomini venuti col “Granma” e dei contadini della zona.5, 6
Allora, Fidel chiese: «Quanti fucili avete portato?». «Cinque», gli risposero. E Fidel: «Con i miei due arriviamo a sette. Ora sì che vinciamo la guerra»,7 probabilmente alludendo alla forza e alla convinzione di Céspedes, dopo la sconfitta. Gli storici però preferirono ricalcare pari pari la frase di Céspedes del 1868.
Carlos Manuel de Céspedes aveva interpretato gli ideali di indipendenza per tutti, bianchi e neri, ricchi e poveri, istruiti e analfabeti, cattolici e no, nati in Cuba e immigrati. L'essere cubano acquistò una dimensione completamente nuova: la voglia di esserlo.
Leonardo Antonio Mesa Suero
1 José Cantón Navarro, Storia di Cuba. La sfida tra il giogo e la stella, SI-MAR S.A., La Habana, 1998, p. 44.
2 Fidel Castro (2003), Autobiografia a due voci. Conversazione con Ignacio Ramonet, Mondadori, Milano, 2007, p. 174.
3 Mario Mencía, “El golpe de Estado del 10 de marzo de 1952”, in Enrique Oltuski et. al., Memorias de la Revolución, Editorial Imagen contemporánea, Cátedra Faustino Pérez, La Habana, 2007, pp. 12-31. Elenco dei principali seguaci di Batista durante il colpo di Stato nelle note 5-11, pp. 19-20.
4 Edmund A. Chester, Un sargento llamado Batista, Editorial Arocha, La Habana, 1954. Chester fu il primo biografo consentito da Batista.
5 Osviel Castro Medel, “La profecía de Cinco Palmas”, Juventud Rebelde, 16 dicembre 2011.
6 Claudia Furiati, La storia mi assolverà, Il Saggiatore, Milano 2002, p. 267.
7 Fidel Castro Ruz, Un grano de maíz. Conversación con Tomás Borge, Oficina de publicaciones del Consejo de Estado, La Habana, 1992, p. 25.