Ho incontrato Eugenio Rebecchi durante la presentazione de L'isola e il sogno di Paolo Ruffilli a Macerata.
L'avrei rivisto il giorno dopo alla premiazione del “Rabelais” al Palazzo Pallotta di Caldarola.
Mi colpì subito l'aria assorta, il suo silenzio e la barba bianca e folta. Sembrava anche lui viaggiare nella Sicilia assolata e navigare nei sogni di Ippolito Nievo.
Gli sedeva accanto una donna dal viso di porcellana e occhi scurissimi. Si chiama Flavia, è la sua compagna, è pittrice e scultrice. Cominciammo a parlare la sera del giorno dopo. Eugenio aveva letto con un'intensità difficile da riferire o meglio trasferire in lettere, alcune poesie dei vincitori. È cominciata così un'amicizia bella, armoniosa e reciproca. Ci siamo visti nelle rispettive città di Piacenza e Ferrara, visto mostre, scambiati libri, mangiato con gusto e parlato di tante cose, abbiamo riso, siamo stati bene. Scoprirlo poeta a me corrispondente in sensibilità è stata storia successiva, quella di oggi che devo ancora scrivere, ancora rileggo con desiderio inesausto di poesia vera la sua raccolta Mimesi del gerundio.
La continuità della vita che colpisce, attraversa, salva, muore e rinasce nella permanenza del tempo indica un agito in fieri e ne seguita l'andamento proprio nella scelta della forma del verbo che titola la raccolta. E mentre tutto naviga verso approdi sconosciuti è la crisalide che figura la copertina. Ed è un acrilico su tela dello stesso poeta.
Sono musica, immagini in forma di commozione a significare nel testo lo snodarsi dei sentimenti. Forse era tutto questo che mi aveva colpito nello sguardo silenzioso e profondo di Eugenio Rebecchi.
Patrizia Garofalo
I sei quadri: | 1 | 2 | 3 | 4 | 5 | 6 |
Illustrazione
Eugenio Rebecchi. Qui in veste di editore (dirige la Blu di Prussia), alla Biblioteca comunale di Mattarello di Trento nel 2010, per la presentazione del libro di Olga Tamanini, La scatola dei ricordi