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Sergio Caivano. “Ribelli in Val Grosina” di Giuseppe Rinaldi 
La lunga, sofferta lotta verso la libertà e la democrazia
04 Agosto 2012
 

L’Amore per la gente, per gli amici e i compagni. Il rimpianto per gli scomparsi

 

 

Giuseppe Rinaldi, in questo suo bel libro intitolato Ribelli in Valgrosina, uscito da poco e già nelle librerie, ma non ancora ufficialmente presentato, ci ha messo dentro tutto quello che ha trovato, in casa e fuori. Ci ha messo dentro quanto aveva gelosamente conservato per tanti anni, e quanto è riuscito a recuperare: fotografie, tante, documenti di ogni tipo, testimonianze, ritagli di giornale, una cronologia degli avvenimenti che si snodano lungo gli anni che vanno dal 1919 al 1939 che sottolineano gli anni del fascismo indispensabili per capire la sorte di tanti giovani inviati poco dopo sui fronti delle guerre scatenate già nel 1936 con l’aggressione all’Etiopia e poi, con un crescendo spaventoso, negli anni successivi, in particolare dal 10 giugno 1940 in poi. Altri, senza andare al fronte, saranno richiamati, lontani da casa, ed impiegati in servizi vari, sempre più o meno connessi, direttamente o indirettamente, con la guerra. Di questo suo vagare da Torino a Merano e altrove in attesa dell’invio al fronte, me ne parlò nel corso di un viaggio che facemmo assieme per partecipare ad una riunione dell’Anpi a Sesto S.Giovanni. Infine e soprattutto, i suoi ricordi. Ne esce una rappresentazione completa della sua vita, delle sue esperienze, delle sue sensazioni. Emerge un quadro di famiglia, nella sua Grosio, e poi quella del soldato che aveva creduto nel fascio per poi accorgersi, poco alla volta, di fronte alla realtà, e soprattutto alle testimonianze rese dai reduci della Russia, che era tutto un cumulo di menzogne, di falsità, di riti senza senso, di stolta presunzione; e quella dell’uomo che prende coscienza dell’inganno subito, dell’uso che è stato fatto di lui e di tanti come lui, onesti e creduloni. Da qui matura la sua avversione alla guerra, al fascismo, alla dittatura. È quanto pensano in molti, a Grosio, e decidono, poco alla volta, di trasferirsi in Val Grosina, da “Ribelli” quali erano inizialmente chiamati con disprezzo dai nazifascisti e non solo da questi. Molte donne, con le famiglie, sono costrette a seguirli, per sicurezza. Arrivano anche i parroci, impediti dai fascisti di espletare correttamente la loro funzione. Nasce così, nella valle, una nuova comunità, ancora più unita di quella di Grosio, perché comuni sono le avversità e le difficoltà, molte nuove, da affrontare e superare. Comunità che diventa consapevole della necessità di riconquistare la libertà. Ma, per riaverla, dovranno battersi. Allora si danno da fare, si organizzano, anche se non è facile partendo dal nulla. E su, in Val Grosina, incominciano a studiare come condurre la lotta. Da partigiani. Imparano le tecniche della guerriglia, che mettono in atto contro gli invasori tedeschi e i loro servi fascisti. Li terrorizzano al punto che questi perdono la testa, e commettono azioni indegne che producono il risultato di convincere gli incerti e le popolazioni che non l’avevano ancora fatto a schierarsi dalla parte dei partigiani.

Ma è anche un libro che rivela come l’autore resti, senza volerlo, sopraffatto dai ricordi, dalle abitudini di vita, dalle tradizioni della gente, della sua gente. E spuntano fuori i nomi degli amici, dei parenti, dei compagni, i soprannomi, i nomi di battaglia che li individuano sicuramente, ancor più dei loro veri nomi. Insomma, senza mai indulgere alla retorica, com’è nel suo stile asciutto, un racconto di vita intenso ed indimenticabile, nel quale si sente l’amore per la gente, per l’esperienza in comune di tanti problemi, per gli amici ed i compagni di lotta. E il rimpianto per tutti quelli, e sono tanti, che oggi non ci sono più.

Una storia vissuta in attesa del suo epilogo, che si realizza nella battaglia di Grosio del 18 aprile 1945, sostenuta all’altezza della centrale dell’AEM, nella quale i partigiani della “Tredici” di cui Giuseppe Rinaldi fa parte, assieme agli altri partigiani, si battono con grande determinazione contro i miliciens di Darnand inviati direttamente dalla Germania per costituire il famoso “Ridotto alpino della Valtellina” e riescono a fermarli, facendo saltare i camion carichi di armi, munizioni ed esplosivi. Una emozione forte che resta, per sempre. Assieme al ricordo, e al rimpianto, dei due comandanti partigiani Guglielmo Pini ed Emilio Valmadre caduti nella battaglia. Ricordo che non si affievolisce col passare degli anni, anzi si riempie di maggiore consapevolezza e gratitudine. Per Rinaldi, la battaglia alla centrale di Grosio rappresenta, assieme, la salvezza del paese e delle sue genti, la vittoria contro gli invasori tedeschi e francesi, la sconfitta definitiva del fascismo. È, anche, la “sua” personale vittoria. L’ultima liberatrice e definitiva battaglia, sostenuta a Tirano il 28 aprile anche da Giuseppe, pur lunga e combattuta, rappresenta la logica conseguenza di quanto successo dieci giorni prima a Grosio. Con la cacciata dei tedeschi e dei francesi di Pétain, con la sconfitta del fascismo, ha inizio una nuova vita, una vita migliore, normale che si realizza col lavoro, con le famiglie riunite nel segno della pace, con le prime scelte democratiche.

C’è tutto questo, e molto altro, nel libro di Rinaldi, in cui molti si riconosceranno e moltissimi altri individueranno vecchi parenti, conoscenti, amici. Un libro da leggere con calma, e da meditare, pagina dopo pagina.

 

Sergio Caivano


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