Mattina frenetica in casa mia. Tra poco il nostro Speedy Gonzales erede al trono si esibisce in televisione per dirci che sarà sempre ventisei, proprio come nella canzone di Carlos Puebla. In alternativa possiamo sentire Machado Ventura, un ragazzino imberbe che fa politica da poco e parla ancora di nemici batistiani nascosti sotto mentite spoglie di dissidenti. Oggi è il ventisei di luglio, bandiere rosse e nere pendono dai balconi, i negozi sono chiusi, i politici raccontano cazzate, come sempre. E io non le vorrei ascoltare, vorrei vivere pensando che oggi è il 15 di agosto, si va al mare, si beve birra e si tampina qualche ragazza. Non me ne può importare di meno di quel che dicono Raúl a Guantánamo e Machado Ventura in Piazza della Rivoluzione, all’Avana. Mio padre no, lui si alza di buon mattino e accende la televisione, tanto Cubavision che Tele Rebelde passano la stessa spazzatura. “A Cuba siamo poveri ma consapevoli della forza di una Rivoluzione che deve andare avanti. La situazione è questa, guadagnano poco anche i medici, anche noi guadagniamo poco. Ma l’imperialismo non vincerà”, dice Raúl.
– Babbo, tu sei contento di dover campare portando turisti a giro per L’Avana?, – chiedo.
– La situazione è questa, – risponde.
– Non parlare come Raúl, adesso. Ho chiesto la tua opinione. Sei un medico, non dovresti fare soltanto il medico per campare?
– Noi siamo rivoluzionari prima che medici.
Inutile continuare. In alternativa c’è Machado Ventura che grida alla minaccia batistiana. Deve aver visto Juan de los muertos questa notte, forse il nipotino gli ha portato il dvd pirata in casa. Parla di zombi e non si rende neppure conto delle cazzate che dice. Batistiani. Siamo nel 2012, Machado Ventura. Nel 2012. Svegliati, prima che sia troppo tardi. La maggior parte dei giovani cubani non ricorda neppure la faccia del presidente mulatto, magari vorrebbe una Cuba democratica, pluralista, libera, ma a tutto pensa fuorché all’ideologia batistiana. Magari voleva sentirti dire qualcosa sul permesso di entrata e di uscita dal paese, sulla possibilità di riunire i cubani della diaspora, sul libero associazionismo, sulle elezioni. Magari. Niente di tutto questo, i nostri allegri vecchietti rimestano retorica in forma breve, fidelismo corretto al raulismo in forma breve, e via andare. Per loro sarà sempre ventisei. Fino alla morte.
Alejandro Torreguitart Ruiz
L’Avana, 26 luglio 2012
Traduzione di Gordiano Lupi