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Lidia Menapace. ILVA Taranto - salute e lavoro
28 Luglio 2012
 

Volevo quasi fare un racconto del 25 luglio 1943, visto che nessuno ne parla, ma sono travolta da quel che succede, che sembra avere insieme una logica perversa e una impressionante illogicità, il massimo della contraddizione. E se voglio trovare il fatto, l'evento che simboleggia tutto ciò, non posso che parlare dell'Ilva di Taranto.

Dunque. la magistratura emette una ordinanza che impone la chiusura delle acciaierie di Taranto, a motivo delle responsabilità penali dei suoi padroni e dirigenti, otto dei quali vengono arrestati: si potrebbe invocare come precedente la sentenza contro la Thyssen Krupp o quella sull'amianto a Casale, anzi quest'ultima è ancora più simile: le condizioni nelle quali si lavora in certe fabbriche e nelle città che le ospitano sono mortifere e uccidono. Quando la magistratura interviene, certo blocca un processo che era già in corso da decenni, ma almeno lo blocca e lo dichiara delittuoso, non casuale o incidentale, o inevitabile come una calamità detta appunto naturale.

A Taranto viene bloccato un impianto che è la più grande acciaieria del mondo -dicono i giornali- ed esiste da 50 anni, che fu di stato e poi è stata venduta e che adesso deve chiudere il suo cammino di morte. Ma naturalmente non si può chiudere una fabbrica che ha 22.000 dipendenti tra diretto e indotto, una fabbrica che è la maledizione e il pane della città.

La rabbia è inevitabile, lo sconcerto pure, ma la risposta della popolazione sembra straordinariamente matura e democratica: ho sentito con le mie orecchie al Tg3 notte operai e cittadini, sindacalisti ed ambientalisti analizzare la situazione con grande passione ed equilibrio, dicendo che la fabbrica non deve chiudere, ma deve cominciare subito e continuare ad inquinare sempre meno.

Bisogna assolutamente appoggiare questa esigenza del tutto razionale e sostenere le forze che in quella direzione si impegnano. E ogni volta, di fronte a bisogni o eventi del tipo citato, bisogna sforzarsi di trovare soluzioni complesse, del tipo enunciato a Taranto, si tratti della docenza universitaria, degli/lle insegnanti inidonei, delle donne precarie, dei comuni depredati.

La risposta di Taranto sembra la realizzazione del motto di Rosa: la strada della rivoluzione o dell'alternativa è “lo sciopero generale a oltranza nel corso del quale i soggetti costruiscono la nuova società”. L'analisi deve essere spietata e l'azione coordinata, decisa, progettata ed eseguita dagli e dalle interessate. Lo si vede anche dal fatto che quando ci sono enti locali sani o enti autonomi dotati di poteri, è possibile rifiutare le ricette approssimative feroci e rozze del governo “tecnico” e dare risposte articolate ed economicamente ragionevoli e persino meno dispendiose: lo testimonia la resistenza delle province autonome di Bolzano e Trento, che difendono la loro autonomia politica e normativa, difendendo anche il livello di vita e dei servizi costruiti.

Per costruire l'alternativa è decisivo mettere sempre insieme la protesta motivata e la lotta con l'impegno costruttivo, l'attivazione di nuove relazioni sociali: la strada che serve anche a superare il populismo semplificatorio alla Grillo e ad avviare l'alternativa in tutta la sua complessità.

 

Lidia Menapace


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