Lo statalismo dilaga - Il cittadino è suddito della burocrazia - La legislazione è pletorica e favorisce gli abusi - La tassazione è impari e persecutoria - La magistratura agisce come unico potere insindacabile - Di tutto questo bisogna liberarsi se si vuole uscire dalla nostra pseudodemocrazia.
PARTE SECONDA
La follia tributaria
In questo contesto già malato strutturalmente (eccesso di regole di condotta, eccesso di norme punitive) si è innestata una politica fiscale letteralmente pazzesca che ha imbarbarito a tal punto l'ordinamento tributario da renderlo molto simile ai sistemi di prelievo adottati in passato dai Paesi coloniali nei loro domini.
In particolare, il sistema sanzionatorio che si è venuto imbastendo dal 1982 ad oggi è stato ispirato ai seguenti principi: a) Le attività di lavoro autonomo e di impresa sono di per sé sospette e criminose, salva prova contraria. b) Tutti i contribuenti, ma in particolare gli imprenditori, gli artigiani, i professionisti, vanno posti in stato di soggezione totale all'arbitrio del Fisco e del magistrato penale. c) Le distrazioni, le banali violazioni di prescrizioni formali vanno criminalizzate, a prescindere dalla loro reale attitudine a favorire l'evasione.
Questo stato di cose non è più tollerabile e ha contribuito assai ad esasperare il cittadino e a confermare in lui l'immagine dello Stato come nemico. Il nocciolo della questione tributaria non sta solo nell'eccesso di prelievo ma soprattutto nell'imbarbarimento del rapporto giuridico di imposta, i cui dati salienti sono: la condizione di borbonica sudditanza, la privazione di garanzie giuridiche del cittadino; l'inflessibile esosità del Fisco quando è creditore e la sua sorda morosità quando è debitore; l'aberrante sistema sanzionatorio, amministrativo e penale; l'ambiguità di leggi, decreti, circolari, l'illeggibilità dei moduli, l'esasperante complicatezza di idioti adempimenti; la permanenza di tributi di dubbia legittimità e di nulla utilità; la demonizzazione del lavoro non-dipendente. Quest'ultimo punto in particolare merita un chiarimento.
Ogni regime politico, quando si avvede che il consenso su cui legittima il proprio potere rischia di dissolversi, ricorre allo stratagemma della ricerca di un nemico. Questa manovra diversiva è divenuta una regola da manuale per il Principe. La scoperta di un Nemico Pubblico infatti finisce per dirottare l'attenzione, le tensioni dell'opinione pubblica dalla causa reale dei problemi, per dirigerle verso altri bersagli contro i quali possano scaricarsi. Ebbene questo si è verificato anche da noi, negli ultimi anni.
Il più appariscente sintomo dei mali italiani, come è noto, è il deficit pubblico. Ma questo, non essendo che un saldo fra due grandezze di segno opposto, esprime solo la misura del dislivello fra le due grandezze primarie, cioè fra la spesa e le entrate. Tutti sappiamo che, delle due, la variabile impazzita è la spesa pubblica, ma a questa consapevolezza se ne è sempre opposta un'altra: frenare la spesa significa affrontare l'impopolarità, perdere i consensi comperati col denaro pubblico. Meglio far credere che la causa del dissesto sia altrove, che il nemico è un altro.
Il nemico pubblico da combattere è stato dunque identificato con il lavoratore non-dipendente. Il comportamento scorretto di alcuni ha consentito l'innescarsi di un processo di criminalizzazione in blocco di intere categorie economico-sociali (lavoratori non-dipendenti). Il lavoratore non-dipendente è stato identificato tout court con l'evasore. Ciò ha finito per determinare una nuova contrapposizione manichea nel corpo sociale, suscettibile di facile strumentalizzazione: lavoratore dipendente contro lavoratore autonomo.
Il fenomeno dell'evasione viene enfatizzato ed ingigantito come alibi per sviare l'attenzione dalle vere cause dei mali del Paese.
Attraverso la denigrazione generalizzata del lavoro non-dipendente si è tentato di metterne in discussione la stessa legittimità. Una nuova utensileria semantica atta ad alimentare la lotta di classe: alla formula obsoleta “padrone-capitalista = sfruttatore”, si è sostituita l'altra “imprenditore-professionista-artigiano = evasore”. Di qui l'uso punitivo dell'arma fiscale, attraverso leggi spoliatrici e terroristiche.
A questo riguardo va anche denunciata una frode linguistica continuata nell'impiego del termine “accertamento”. Con questo termine infatti politici, fisco, finanzieri e stampa hanno sempre spacciato all'opinione pubblica per materia imponibile evasa quella che è solamente una pretesa del Fisco. Una pretesa che il più delle volte le Commissioni Tributarie dichiarano illegittima, accogliendo i ricorsi dei contribuenti. Una pretesa che nella massima parte dei casi è infondata ed arbitraria. L'uso fraudolento di questo termine è una scorrettezza deplorevole da parte di chi – Fisco e Guardia di Finanza – conosce bene il suo vero significato. Va ricordato, per inciso, che insigni giuristi avevano sconsigliato l'adozione del sostantivo “accertamento”, e del verbo “accertare”, proprio per la loro natura fuorviante, proponendo l'utilizzo del termine “imposizione”.
In conclusione: lo Stato, con la sua politica terroristica e spoliatrice, per l'assurda complessità dell'assolvimento dell'obbligo, per l'indecifrabilità delle norme, confisca, oltre al denaro, anche una spropositata quantità di tempo, di energie mentali, di serenità, rendendoci doppiamente schiavi e comportandosi doppiamente come nemico.
Aldo Canovari
(in Commentari, n. 4 /1994, vol. 6)
| 1 | Parte Seconda – segue... | 3 |