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Ingmar Bergman. Da Scene da un matrimonio (1973) a Sarabanda (2003)
21 Luglio 2012
 

Scene da un matrimonio (1973). Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist. Montaggio: Siv Lundgren. Musiche: Owe Svenson. Scenografia: Björn Thulin. Costumi: Inger Pehrsson. Interpreti: Liv Ullmann, Erland Josephson, Bibi Andersson, Jan Malmsjö, Anita Wall, Gunnel Liendblom. Premi principali: David di Donatello (1975) a Liv Ullman (miglior attrice straniera); Golden Globe (1975) miglior film straniero.

 

Sarabanda (2003). Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Ingmar Bergman. Fotografia: Stefan Eriksson. Scenografia: Göran Wassberg. Costumi: Inger Pehrsson. Trucco: Cecilia Drott. Interpreti: Liv Ullmann, Erland Josephson, Börjeb Ahlstedt, Julia Dufvenius, Gunnel Fred. Premi principali: Argentina Film Critics Associations Awards (2005); Santi Jord Awards (2006).

 

 

Ingmar Bergman (1918 - 2007) è una personalità fondamentale e imprescindibile del cinema, drammaturgo e letterato, sceneggiatore, indagatore della psiche umana, introspettivo cantore dell’incomunicabilità e della difficoltà dei rapporti interpersonali. I suoi capolavori sono vere e proprie pietre miliari della storia del cinema: Il settimo sigillo (1956), Il posto delle fragole (1957), La fontana della vergine (1959), Luci d’inverno (1962). Non è possibile citarli tutti senza cadere nella sterile elencazione. Vogliamo parlare diffusamente, senza pretesa di dire niente di nuovo, di Scene da un matrimonio (1973), lungo film in capitoli per la televisione, teatrale, realizzato in interni claustrofobici, ridotto per il cinema alla durata di due ore canoniche.

Scene da un matrimonio è un film introspettivo che sviscera fino in fondo il rapporto uomo-donna e affronta il tema dell’incomunicabilità, senza dimenticare temi importanti come la solitudine, la difficoltà di amare e la contraddittorietà dei sentimenti. Un uomo e una donna, Marianna e Johan, sono descritti in tutte le loro debolezze, negli interni di un’esistenza colma di errori e indecisioni, fragili esseri alle prese con mille contraddizioni. Bergman racconta la storia di un matrimonio che non vuol morire, di una passione che riaffiora ogni volta che i due ex coniugi si incontrano, di due esseri umani in preda alla sensualità ma ancora capaci di tenerezza. Il film è strutturato in sei episodi: Innocenza e panico, L’arte di nascondere la spazzatura sotto il tappeto, Paola, Valle di lacrime, Gli analfabeti, Nel cuore della notte in una casa buia in qualche parte del mondo. Si parte con la felicità coniugale, affiorano i primi segni di crisi, l’amante giovane del marito, il divorzio, il nuovo incontro con l’ammissione degli errori, la scoperta di un amore diverso che nonostante tutto li accomuna. Lo sceneggiato televisivo è molto più bello della riduzione cinematografica gonfiata a 35mm, ma in ogni caso la tematica è profonda e semplice al tempo stesso, visto che porta sul banco degli imputati l’istituzione borghese del matrimonio. Teatrale, con suggestioni di Ibsen e Strindberg, due passioni di Bergman, ma molta ispirazione dalla vicenda personale del regista che ha avuto cinque mogli e nove figli, un’esistenza sentimentale molto convulsa.

Ritroviamo i due protagonisti di Scene da un matrimonio in Sarabanda (2003), l’ultimo film di Bergman, girato a 85 anni, in digitale, ancora una volta per la televisione e sempre strutturato in capitoli. Sono passati trent’anni dall’ultima volta che Marianna e Johan si sono incontrati, adesso si ritrovano invecchiati, perché la donna decide di fare una visita all’ex marito che vive in solitudine, accudito da un’infermiera. Marianna irrompe nella vita di Johan ma lo fa con delicatezza, senza disturbare, senza dire mai una parola di troppo, convive con il suo cinismo, la sua durezza, il disfacimento di un corpo che soffre il passare del tempo. Johan ha un figlio che disprezza e il figlio lo ricambia riversando su di lui un odio viscerale, in compenso la defunta moglie del figlio era molto amata da Johan che vuole bene anche alla nipote, ragazza dotata per la musica. La tragedia si consuma nel volgere dei dieci capitoli che scorrono al ritmo di una colonna sonora ispirata a Bach con lunghi brani dalle Sarabande del compositore austriaco. Bergman mette l’accento sul rapporto uomo-donna, narra la difficoltà di comunicare, ma anche il rapporto padre-figlio, l’egoismo, la vecchiaia, insomma racconta la vita e ci lascia un testamento spirituale racchiuso in un’opera complessa e irrisolta, proprio come la vita. Bergman non risparmia frecciate a nessuno, scava con durezza sulle piaghe dell’umanità, stigmatizza il rapporto morboso padre-figlia, ma anche il genitore che rifiuta la paternità. Persino l’arte è oggetto di critica senza appello, una sorta di vampira che succhia il meglio dalle persone, pure se il regista riconosce che serve ad alleviare il dolore della vita. Bergman riversa nel film tutto il suo dolore per l’ultima moglie morta, la costernazione di dover sopravvivere in solitudine e senza un conforto quotidiano. Stupenda la scena di nudo con i due attori principali che si spogliano, vanno a letto insieme, abbracciati, senza dover fare l’amore, ma solo con tenerezza, comunicando il bisogno di affetto insito in ogni essere umano.

Liv Ullmann e Erland Josephson sono bravissimi, due attori espressivi, fantastici interpreti sia del primo film, dove portano il loro vigore giovanile, che del secondo, dove impersonano il lento incedere del tempo e le problematiche legate alla vecchiaia.

 

Gordiano Lupi

 

 

Post scriptum: Capolavori come questi vengono programmati da Rai 3 alle 4 del mattino, nonostante la nostra azienda televisiva abbia coprodotto Sarabanda. È normale che vengano passate in prima e in seconda serata cose ignobili (senza citare i titoli per non pubblicizzare) mentre per vedere opere d’arte e cinema di qualità si devono trascorrere le notti in bianco?


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