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La ristretta visuale mediorientale di D'Alema
08 Settembre 2006
 
Voleva spiegare «il filo della nuova politica estera italiana», Massimo D'Alema, nella sua recente lunga - e celebrativa - intervista al Corriere rilasciata all'educato Gianni Riotta, che sembra essersi guadagnato il posto di direttore del Tg1. E c'è riuscito. Abbiamo capito, ma non c'è piaciuto. Lasciamo da parte i toni trionfalistici tutto rose e fiori (fine dell'unilateralismo di Bush, ritorno al multilateralismo, l'Onu protagonista, l'Europa al centro, l'Italia di nuovo sulla scena) e concentriamoci sulle frasi chiave.
«... l'Iran è un grande paese, con culture e identità diverse e con una società civile molto forte ed articolata. È stato il moderato Kathami a dire che la sola politica di isolamento ha finito per rinforzare la popolarità di Ahmadinejad».
Certamente l'Iran è tutte quelle cose, ma la civetteria di D'Alema è rivolta più al regime degli ayatollah che al popolo iraniano. Il fallimento del sedicente “riformista” Khatami non ha alibi e la politica iraniana non era molto diversa con lui al potere, quando la politica Usa, con Clinton, non era certo di isolamento. Shirin Ebadi e Muhammad Sahimi hanno ricordato (Corriere della Sera, 7 marzo scorso, pag. 8) che «i piani atomici hanno subito un'accelerazione attorno al '97, quando il riformatore Mohammad Khatami è stato eletto presidente».
«Hamas ed Hezbollah non sono al Qaeda. Oltre alle note responsabilità di azioni terroristiche, hanno anche snodi politici, si occupano di assistenza. L'Ira e l'Eta da gruppi terroristici sono diventati movimenti politici».
Il paragone tra Hamas e Hezbollah da una parte e Ira ed Eta dall'altra non sta in piedi. Anzi, è ridicolo. Viene il sospetto che o D'Alema ignori del tutto la specificità del fondamentalismo islamico, o - peggio - intenda ingannare il pubblico con similitudini che in qualche modo attenuino la gravità del fenomeno che minaccia la pace e la democrazia. Negli statuti di Hamas e Hezbollah - c'è da augurarsi che D'Alema li abbia letti - per non parlare delle loro “parole e opere” quotidiane, c'è scritto chiaramente che l'obiettivo ultimo delle due organizzazioni è la distruzione di Israele e l'eliminazione degli ebrei.
Non risulta, invece, che Ira o Eta abbiano mai fatto riferimento alla distruzione dell'intera Spagna o dell'intera Gran Bretagna. Ira ed Eta sono movimenti indipendentisti e irredentisti i cui obiettivi erano, e sono, negoziabili. L'Ira si è trasformata dopo lunghi anni di durissima guerra, mentre la trasformazione dell'Eta è tutta da verificare.
«Se coinvolgiamo la Russia e l'Onu nella trattativa con Teheran non vedo perché dovremmo fallire. L'Italia deve entrare nel gruppo che dialoga con l'Iran, la nostra storia e i nostri interessi ci legittimano. Da gennaio saremo nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu fino al 2008, e useremo il nostro seggio in chiave europea, per far sentire meglio, e con più forza, la voce dell'Unione all'Onu».
E qui giungiamo all'unico, vero obiettivo della politica estera dalemiana. Nell'accettare di giocare un ruolo importante nella missione dell'Onu in Libano, persino la sua guida, la preoccupazione italiana è sembrata quella di esserci. Esserci comunque, a ogni costo. Prodi e D'Alema hanno offerto la disponibilità italiana ben prima di tutti gli altri governi. Anzi, a poche ore dall'inizio delle operazioni israeliane già avevano lanciato l'idea di una forza d'interposizione internazionale di cui, evidentemente, pensavano di far parte. Questo perché al Governo italiano non interessava tanto quale fosse l'obiettivo della missione. Esserne promotore e parteciparvi da protagonista era di per sé un obiettivo.
Una volta deciso il ritiro dall'Iraq si presentava un'occasione imperdibile per dimostrare che non era stato frutto di una scelta isolazionista e che l'Italia non rinunciava alla sua, seppur piccola, proiezione internazionale. Ma soprattutto, intervenire in Libano significava porsi geopoliticamente sul crocevia tra Israele, Hezbollah, Siria e Iran. Una nuova posizione difficilmente trascurabile dagli altri attori internazionali: come si fa a escludere l'Italia dal tavolo sul dossier iraniano quando impiega 3 mila uomini lungo la frontiera di una possibile guerra tra Iran e Israele?
L'obiettivo che con spregiudicatezza, e sufficiente dose di cinismo, D'Alema persegue è quello di far sedere l'Italia al tavolo delle trattative sul nucleare iraniano, dove finora, tra i paesi europei, sono ammessi Gran Bretagna, Francia e Germania. Ma per fare che cosa? Non si sa bene. A questo D'Alema penserà a tempo debito. Certamente, essendo l'Italia il primo partner commerciale dell'Iran, per tutelare gli interessi economici italiani, anche (e soprattutto) nel caso in cui le sanzioni contro il regime degli ayatollah fossero inevitabili.
Tutto ciò senza considerare che la missione in Libano, in questo momento, dà sì visibilità e maggiore peso internazionale all'Italia, ma che sono molto alte le possibilità che fallisca (come quasi tutte le missioni dell'Onu), con grave perdita di credibilità dell'Italia, dell'Europa e dell'Onu stessa.
Più che una visione, quella di D'Alema sembra quindi una visuale, e un po' troppo ristretta alla difesa degli interessi che ci legano a Teheran. Inoltre, muoversi «in chiave europea, per far sentire meglio, e con più forza, la voce dell'Unione» potrebbe voler dire fare il gioco di Parigi per un'Europa a guida francese, che agisca più da contrappeso che da partner di Washington. In tutto questo, del disarmo di Hezbollah, della bomba iraniana, e della minaccia che grava su Israele, sul Medio Oriente, sulla pace e la democrazia, sembra importarci poco. È l'implicita ammissione di debolezza e di declino culturale e politico di un paese che, come d'altronde gran parte delle altre impotenze europee, pensa troppo in piccolo e a breve termine.
Chi è seriamente impegnato a far sì che gli ayatollah non si dotino della bomba dubita delle intenzioni italiane: Roma è davvero determinata a impedire all'Iran di possedere la bomba atomica? Insomma, a chi giova che ai negoziati prenda parte anche il paese che più di altri (ma non il solo) è sensibile quando si preme il tasto del giro d'affari che ha a Teheran?
Per l'italia, e per la visuale di D'Alema, potrebbe essere già troppo tardi. Scaduto l'ultimatum dell'Onu del 31 agosto, il «gruppo che dialoga con l'Iran» cui aspira di far parte D'Alema potrebbe aver esaurito il suo compito, o comunque veder ridotta la sua azione. Nel gennaio 2008, quando saremo in Consiglio di Sicurezza, le sanzioni contro Teheran potrebbero già essere in vigore.
 
Federico Punzi
(da Notizie radicali, 07/09/2006)

 
 
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