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Gianfranco Cercone. “Qualche nuvola” di Saverio Di Biagio e il “filone matrimoniale”
17 Luglio 2012
 

Nella stagione cinematografica che sta concludendosi, in questa stagione in particolare, il cinema italiano ha dato diverse buone prove di sé, sia per qualità artistica, sia, in certi casi, per coraggio e intelligenza civili. Non faccio al momento degli esempi perché nello spazio di questa rubrica conto di recuperare alcuni titoli usciti quest’anno, che si possono vedere o rivedere nelle arene estive.

Ora mi riferirò piuttosto a un filone del cinema italiano, minoritario, che ha origini lontane, ma è persistente, che chiamerei: il filone matrimoniale.

I film di questo filone si caratterizzano non soltanto perché si concludono con un matrimonio, come è del resto nella tradizione della commedia classica; ma perché il matrimonio è considerato un valore, prima ancora che religioso, civile: è visto come la soglia che segna il passaggio all’età adulta, la prova di una effettiva maturazione personale.

Si tratta di film perlopiù di giovani registi. Tra i titoli recenti di maggiore spicco, ce ne sono due di Gabriele Muccino.

Ed è un giovane anche Saverio Di Biagio, del quale è uscita da poco l’opera prima, che si intitola Qualche nuvola; e, a mio parere, consapevolmente o meno, volente o nolente, appartiene a pieno titolo a tale filone.

Di cosa tratta Qualche nuvola?

Il film si svolge in un quartiere periferico di Roma. Il promesso sposo è un operaio edile; e la promessa sposa è una ragazza cattolica, figlia di operai.

Nella commedia tradizionale l’ostacolo al matrimonio sarebbe stato un vecchio, o un personaggio influente. Qui invece l’unico ostacolo è psicologico.

L’operaio cade in tentazione (è il caso di dirlo perché il matrimonio si deve celebrare in chiesa). Quando va a fare dei lavori nella casa di una ragazza ricca e sola, costei si invaghisce, forse per un capriccio, di questo giovane forte; lusinga il suo amor proprio, perché chiede il suo parere su delle foto d’arte o gli fa leggere dei romanzi d’autore; lo porta con sé nelle gallerie di quadri del centro di Roma; e in breve riesce a portarselo a letto e a farlo innamorare di sé.

A questo punto il progetto matrimoniale, nell’animo dell’uomo, è seriamente in crisi.

Senonché, provvidenzialmente, un’amica della promessa sposa sorprende i due amanti; riferisce tutto alla legittima fidanzata dell’operaio, e le due insieme organizzano una spedizione punitiva contro la ricca svergognata che rischia di far sfumare il matrimonio.

Costei però rivela alla fine dirittura di sentimenti: congeda l’operaio e lo lascia alla ragazza onesta e innamorata a cui egli è evidentemente destinato.

Si potrebbe pensare a questo punto che il giovane si sposi un po’ obtorto collo. E in effetti fatica a pronunciare il fatidico “sì”. Tuttavia il giorno delle nozze il suo volto è più pulito e luminoso; l’orchestrina dei colleghi operai, immigrati dall’Europa dell’Est, dà un tocco di solennità al banchetto nuziale. E il film si conclude in una splendida notte in riva al mare, quando la sposa, rimasta da sola con lo sposo, finalmente felice, lo perdona con un: “Te possino!”

Saverio Di Biagio ha voluto fare un film di propaganda in favore del matrimonio cattolico? Probabilmente no. I suoi interessi dovevano andare alle disparità sociali tra i personaggi, alla seduzione che la ricchezza e il mondo della cultura, possono esercitare su un giovane povero.

Ma assistendo al film è difficile sottrarsi all’impressione non soltanto che il matrimonio sia la destinazione ideale dei due personaggi, ma anche che sia l’unica destinazione positiva possibile.

Per questo, forse, sembra un film planato dagli anni Cinquanta ad oggi, “senza alcun sospetto”; come se nel frattempo in Italia, quanto a evoluzione dei costumi, non fosse accaduto alcunché.

Ciò che sorprende e lascia perfino costernati.

 

Gianfranco Cercone

(da Notizie Radicali, 17 luglio 2012)


 
 
 
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