Lo statalismo dilaga - Il cittadino è suddito della burocrazia - La legislazione è pletorica e favorisce gli abusi - La tassazione è impari e persecutoria - La magistratura agisce come unico potere insindacabile - Di tutto questo bisogna liberarsi se si vuole uscire dalla nostra pseudodemocrazia.
PARTE PRIMA
Il grande male che si è radicato nel nostro Paese e ne compromette il benessere materiale, morale e psicologico sta nel fatto che lo Stato si comporta nei confronti dei cittadini – ed è da essi percepito – come un soggetto inaffidabile, ostile e nemico.
Su questo aspetto dello Stato si levano ogni giorno strazianti geremiadi. La consapevolezza è così unanime che ogni commento risulta banale. Il cittadino, nella sua veste di titolare di diritti, di interessi legittimi, di utente, avverte in ogni campo, in ogni occasione della propria vita quotidiana che le espressioni concrete, le manifestazioni reali, i comportamenti specifici dello Stato, degli apparati pubblici sono in realtà forme di inadempienza e spesso veri e propri atti di ostilità, soperchierie.
Perché lo Stato, al di là dell'astrazione concettuale, della formula linguistica e giuridica, impalpabile e inafferrabile, è in realtà una somma di atti, persone, comportamenti concreti: è il funzionario del Catasto che dietro lo sportello continua a conversare col collega, incurante dei cittadini in attesa; è il poliziotto che apostrofa con arroganza, forte della sua divisa; è l'impiegato dell'U.S.L. che arriva a snervarti, richiedendoti ogni volta documenti e certificati mancanti, sempre diversi; è il funzionario dell'INPS al quale telefoni per avere notizie su una pratica vecchia di anni, e non c'è mai perché – ti rispondono – è appena uscito...; è l'ospedale che ti respinge quando hai bisogno, tramite un infermiere che ti risponde con mala grazia.
Ogni giorno insomma ci troviamo di fronte ad una inadempienza e ad una soperchieria da parte di chi – nostro concittadino, rappresentante dello Stato – è retribuito proprio per fornirci un pubblico servizio e il cui compito dovrebbe essere quello di renderci la vita migliore. Funzione pubblica che viene svolta non già come servizio, ma come esercizio arrogante di potere per conto di un tiranno invisibile: lo Stato, controparte inadempiente e proterva, che rapina il nostro reddito, senza darne corrispettivi.
Oltre a questo senso di delusione, rabbia, risentimento verso lo Stato, che non dà quel che deve e si beffa dei suoi creditori, il cittadino percepisce lo Stato come vero e proprio nemico da cui si sente oppresso e minacciato. Lo Stato dunque – si comporta nei confronti dei cittadini, ed è da essi percepito, come nemico.
Ciò deriva essenzialmente da tre cause: la metastasi normativa, la follia tributaria, la nuova inquisizione, o governo dei magistrati (“Ne habeas corpus” = Stato di Polizia).
La metastasi normativa
Parallelamente al dilagare delle funzioni dell'apparato pubblico in ogni campo e all'attribuzione allo Stato di una vera e propria “patria potestà” sul cittadino, si è avuta negli ultimi decenni una proliferazione delirante di leggi, prescrizioni, regole che ha superato ogni limite di ragionevolezza.
Sull'onda di una folle concezione hegeliano-etico-paternalistica dello Stato, si è ritenuto che fosse dovere e diritto dello Stato disciplinare minuziosamente ogni luogo, ogni momento, ogni azione della vita individuale e associata.
Una furia devastatrice degli spazi di libertà individuali è stata resa possibile dall'attribuzione allo Stato del compito di dettare regole di condotta fin nelle sfere più intime e personalissime. Abbiamo costruito così, gradualmente, un ambiente di vita associata che è più simile a un campo minato o a un penitenziario, in cui le nostre mosse autonome sono state ridotte al minimo, in numero e in ampiezza. Ad ogni nostro movimento, rischiamo di infrangere una regola, di violare un divieto che neppure siamo in grado di conoscere.
Alcuni banali esempi daranno consistenza a queste affermazioni.
Il barbiere che usa uno shampoo, nel gettare il flacone vuoto rischia di compiere un reato; altrettanto l'artigiano che ripone nel retro del magazzino il barattolo vuoto di lubrificante. Il cassiere di banca non avrà mai la certezza, alla fine della giornata, di non aver violato qualche nuova oscura norma antiriciclaggio; il professionista che ha nel computer l'anagrafe dei clienti sarà forse perseguibile per non aver adempiuto a qualche assurda formalità imposta a tutela della privacy; il pubblico funzionario, nell'apporre una firma avrà sempre il dubbio di poter essere accusato di qualche presunta omissione o abuso; il cittadino privato, l'uomo della strada, nel semplice atto di azionare l'interruttore nella propria casa avrà il timore di essere perseguibile per non aver adeguato l'impianto elettrico alle norme UE. E così via, letteralmente all'infinito.
Ad ogni nostro movimento insomma, rischiamo di violare una norma di cui spesso non abbiamo la più pallida idea, o di cui al massimo (e al peggio) abbiamo avuto un vago sentore in forma dubitativa, approssimata, attraverso articoli di stampa, o mozziconi di notizia televisiva.
Ad ogni nostro movimento, per tornare alla metafora del campo minato, rischiamo di pestare una mina piazzata alla cieca sul territorio, proprio da chi pretende di tutelarci, da chi dichiara di volere la nostra salute, la nostra incolumità: lo Stato, appunto.
I divieti, gli obblighi, le sanzioni ad essi collegate sono ormai tanti e tali che la nostra vita, se operosa ed attiva, è costantemente scandita da termini perentori, scadenze, prescrizioni, e minacciata da un qualche potere dello Stato che potrà in qualsiasi momento porci in stato d'accusa.
Il cittadino vive in un perenne stato di ansietà, la sua condizione è, per definizione, quella di reo. Tutti siamo suscettibili di punizione, per il semplice fatto di non conoscere la norma («Come puoi dirti innocente, se nemmeno conosci la norma che hai violato?» Kafka).
Su tutto e su tutti aleggia sinistro e minaccioso il potere punitivo dello Stato e dei suoi uomini nostri “tutori”.
Lo Stato è vissuto ormai nella coscienza collettiva come un novello Jehovah che, pur avendo perso la patria potestas per indegnità, continua ad esercitare la sua vendetta.
Una macchina oppressiva e ossessiva, i cui ingranaggi lacerano la serenità dei cittadini, ledono il loro equilibrio e la loro sanità mentale, frenano il loro operare, inibiscono l'attività produttiva degli scrupolosi e degli onesti, distruggendo posti di lavoro e lasciano spazio ai furfanti e ai criminali che tranquillamente ignorano ogni norma legale, favoriti proprio dalla legge e dai suoi tutori.
In campo tributario, come in quello dell'ecologia, nell'edilizia, nella banca come nell'agricoltura e nell'industria, nelle professioni, nel commercio, chiunque opera e produce beni o servizi è oggi assillato da una quantità tale di grovigli normativi, che viene dissuaso dall'applicarsi, dall'incrementare o anche dal proseguire il proprio lavoro.
È dunque urgente e indispensabile ridurre il numero di regole, leggi, prescrizioni, la maggior parte delle quali sono innecessarie, insensate, vessatorie.
Occorre sfoltire drasticamente la selva normativa. Bonificare il nostro habitat inquinato dalle emissioni di miriadi di leggi e leggine che ne compromettono la vivibilità. Fare opera di ecologia normativa. Cancellare, eliminare regole, e non solo quelle superflue, ma anche tutte quelle che non siano assolutamente indispensabili.
Il problema dunque non è solo di semplificare, cosa sulla quale tutti concordano. Il problema vero è molto più radicale: si tratta di eliminare ogni norma, ogni divieto, ogni obbligo di cui non si comprovi l'indispensabilità.
Si obietterà, e sensatamente, a questo punto: con quali criteri e chi potrà stabilire quando una prescrizione è indispensabile? A questa domanda sensata si può rispondere solo in un modo: dovrà guidarci solo il vecchio e trito buon senso, l'ormai dimenticato “senso comune”.
Nel decidere se una prescrizione deve essere imposta alla collettività e quindi agli individui, dovremo smetterla di delegare tutto ai tecnici, agli specialisti, agli esperti, agli esegeti, agli azzeccagarbugli.
È accaduto, in questi ultimi anni, che nella elaborazione a livello legislativo delle varie regole di condotta si è delegato tutto, di volta in volta, agli “esperti” i quali, per inevitabile deformazione professionale, hanno dato nei vari settori di normazione un'impronta esasperantemente specialistica, senza tener conto della conciliabilità con l'insieme. Conciliabilità cioè con la primaria esigenza di non rendere complicata ed angosciosa la vita degli individui e di non accrescere ed estendere poteri di repressione, di sanzione (e quindi di ricatto) a favore di alcuni individui e a danno di altri.
Gli esperti purtroppo, quasi sempre, hanno un campo visivo limitato e non si curano troppo degli effetti collaterali.
Il metodo che si impiega ormai per le grandi opere pubbliche dovrà adattarsi a maggior ragione per le opere legislative che sono ancor più importanti e possono risultare altrettanto perniciose per la comunità. Si dovrà insomma, prima di imporre al cittadino una nuova prescrizione, valutare bene l'impatto ambientale della norma. Dovrà essere fatta una seria stima di tutti i possibili riflessi negativi indotti sulla serenità, sulla libertà, sulla semplicità, sulla vita dei cittadini. Si dovrà rinunziare alla soluzione astrattamente ottimale del problema specifico, a favore di un possibile ottimo globale. Si dovrà rinunziare al perseguimento del “rischio zero” in un singolo campo, perché questa meta si risolve il più delle volte in un aggravamento di disagi, rischi, danni, costi in altri campi.
Ad esempio, è preferibile accettare, nella sicurezza delle auto, una soglia di rischio più elevata, piuttosto che costringere milioni di automobilisti ad un'eccessiva frequenza nella revisione del veicolo. È preferibile accettare una soglia più elevata di evasione tributaria, piuttosto che costringere milioni di contribuenti a costosi, vessatori, idioti adempimenti formali. È preferibile lasciare a chi – maggiorenne non inabilitato – lo desidera, affrontare il rischio di fare una bella corsa in moto senza casco o in auto senza cinture, piuttosto che trattarlo da incapace o da interdetto imponendogli una misura precauzionale alla quale liberamente e consapevolmente vuol rinunciare.
Ma il presupposto inderogabile per legittimare la permanenza di una prescrizione o la sua introduzione nell'ordinamento dovrà essere la sua indispensabilità. Dobbiamo uscire dal delirio demiurgico che ha preteso di organizzare, disciplinare, guidare, correggere il mondo, gli individui, noi cittadini come fossimo minori o minorati, per proteggerci dagli altri e da noi stessi e per proteggere gli altri da noi.
Dobbiamo smetterla di imbrigliare, ostacolare, scoraggiare il libero esplicarsi della creatività intellettuale ed economica con mille lacci legislativi e amministrativi. Dobbiamo uscire dalla maniacale ossessione di tracciare percorsi obbligati, di sterilizzare, bonificare il territorio, perché così facendo lo stiamo devitalizzando. Dobbiamo restituire ai cittadini l'autonomia negoziale di cui li abbiamo privati come fossero interdetti giudiziali.
Si tratta di abbandonare la folle pretesa di ergerci al ruolo di “guardiani” della repubblica platonica, imponendo minuziose prescrizioni, militare disciplina, di volta in volta in nome della salute, della sicurezza, della morale privata e pubblica, della protezione dei presunti più deboli, dell'ambiente, e di un “ordinato vivere civile”, della “giustizia sociale”.
Da osservare, infine, che su una ragnatela legislativa nazionale già patologicamente intricata e stretta, si è andata a calare quella comunitaria, la quale ha reso l'ambiente invivibile. Anche riguardo a questo (Direttive, Regolamenti UE) va riesaminata tutta la filosofia “europeistica”, vanno ridiscussi i criteri che hanno determinato la nascita mostruosa dell'Eurocrazia burocratica e normativa. La situazione è infatti aberrante e non tollerabile.
Concludendo, ciò che occorre è la cancellazione drastica di norme non indispensabili e, ovviamente, la semplificazione di quelle residue. Ogni norma prima di essere emanata dovrà essere sottoposta alla verifica di indispensabilità, di impatto ambientale, di leggibilità e di intelligibilità (dovrà essere comprensibile da parte della generalità dei cittadini). Oggi siamo infatti arrivati al punto in cui neanche chi per professione opera nel campo del diritto riesce a intendere il senso di molte leggi.
Quali conseguenze pratiche ha provocato tale follia normativa?
a) La medioevalizzazione del Paese. Il cittadino è sempre più alla mercé del poliziotto, del pubblico funzionario, del magistrato, di chiunque sia incardinato nell'organismo pubblico ed eserciti una pubblica funzione.
b) L'impoverimento del Paese. Freno alle attività produttive. (Se mi muovo in un campo minato rischio di saltare in aria. Diviene quindi preferibile star fermi o muoversi il meno possibile). I nefasti riflessi della metastasi normativa e sanzionatoria sull'economia, sugli investimenti, sull'occupazione, non sono stati ancora sufficientemente esaminati nel nostro Paese e meriterebbero un'analisi accurata.
Aldo Canovari
(in Commentari, n. 4 /1994, vol. 6)
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