Firenze – È stato nominato il nuovo consiglio di amministrazione (CdA) della Rai. Da tempo se ne parlava in modo particolare per il metodo con cui si arriva a questa scelta da parte della commissiona parlamentare di vigilanza, metodo che non potrebbe essere altrimenti visto che i componenti di detta commissione sono nominati dal Parlamento non per meriti ma per mera spartizione rispetto alla composizione del Parlamento stesso. Così era, così è e, salvo modifiche radicali, così sarà. A nostro avviso a nulla valgono le singole professionalità dei nominati (quando ci sono) fintanto che il metodo di nomina sarà questo; perché i partiti dovrebbero fare altrimenti? Perché stupirsi se il sen. Paolo Amato (Pdl) è stato buttato fuori dalla commissione dai suoi capi in collera con lui per il voto difforme rispetto alle indicazioni del suo partito; non solo, ma buttato fuori con tanto di gogna mediatica basata su falsità (si è dimesso dal partito, etc.), in perfetto stile fascista/stalinista.
Registriamo per l'ennesima volta che l'informazione e l'intrattenimento di Stato è in mano a questa gente. Fare la voce grossa in nome di pluralità e partecipazione, come fanno alcuni partiti per avere posti migliori nella spartizione, copre di ridicolo i medesimi vocianti.
E intanto i contribuenti continueranno a pagare l'imposta più odiata, il cosiddetto canone/abbonamento. Mentre le migliaia di giornalisti, shoman e tecnici che rendono possibile la produzione dell'emittente di Stato, continueranno a percepire stipendi di cui (nonostante una legge imponga il contrario) noi contribuenti non possiamo esserne edotti.
L'on. Benedetto Della Vedova dice che se si va avanti così la Rai finisce come Alitalia... troppo buono l'onorevole dei finiani: a nostro avviso la Rai è già Alitalia nella quotidianità grazie al pagamento dell'imposta/canone: come i contribuenti hanno pagato l'incapacità dei boiardi di Stato nella gestione del vettore aereo nazionale, risolvendo i debiti della vecchia gestione e pagando per la capitalizzazione della nuova, ogni famiglia italiana per la Rai è costretta a fiscalmente contribuire ogni anno alle spese da nababbi decise ed avvallate dal CdA di nomina parlamentare/partitica.
Metodi per venirne fuori ce ne sono a iosa, con cure dimagranti che farebbero bene all'informazione, all'intrattenimento ed alla economia. A partire dalla privatizzazione, sì da tutelare il patrimonio professionale esistente, fino all'indizione di gara d'appalto per l'informazione cosiddetta pubblica. Gara a cui, così come -con difficoltà- è in corso per esempio nei settori della telefonia e dell'energia, la Rai (privata) dovrebbe competere con altri soggetti per vincere la gara d'appalto. Una Rai (privata) che ovviamente non dovrebbe godere dell'imposta/canone, imposta che sarà a disposizione del vincitore e dovrebbe essere raccolta non come avviene oggi, ma dal cumulo fiscale (così come -per esempio- già avviene per la fiscalita' che viene destinata alla radio di Stato: una percentuale della raccolta RC-auto).
Ma perché questo accada, cosa dovrebbe succedere? Una rivoluzione! Senza questa è solo continuità con nomi e sorrisi diversi. Come si fanno le rivoluzioni nel 2012?
Forse il metodo indicato in senso generale dal sen. Marcello Pera e fatto in parte proprio anche dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, la costituente, potrebbe essere valutato. Ma con estrema urgenza, perché i nuovi investiti di potere nel CdA non facciano a tempo a cristallizzare il proprio potere. A chi ci rivolgiamo? Non abbiamo scelta: al Parlamento e ai propri componenti. È dura, viste le attuali performance che questa istituzione sta dando. Ma la democrazia se non è difficile non è democrazia, l'importante è che quelli come noi tengano duro e non si vendano.
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Vincenzo Donvito, presidente Aduc