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Iván García. Disponibili
03 Luglio 2012
 

In materia di sigle nessuno batte il governo dei Castro. Vediamone alcune: PCC, FMC, CDR, DSE, DTI, MININT, MINFAR, MINED, CTC, ANAP, ICRT, UNEAC, ICAIC... Un gergo ufficiale che trasporta la lingua castigliana in un’altra dimensione. I furti quotidiani che avvengono nei negozi o nelle imprese vengono chiamati “perdite” o “ammanchi”. Se una sera un capo operaio carica un camion di mattonelle e lo parcheggia nel garage di casa sua, eufemisticamente, il fatto viene catalogato come “sottrazione delle risorse”. I dissidenti sono “controrivoluzionari”, mentre i disoccupati sono definiti “eccedenti” o “disponibili”. Proprio di loro voglio parlare.

Vi presento Gloria, 49 anni, laureata in contabilità, che due settimane fa è andata a rimpinguare l’elenco dei disoccupati cubani. Adesso fa parte di quel milione e mezzo di lavoratori che nel breve volgere di tre anni il governo di Raúl Castro vuol mettere per strada per alleggerire le piante organiche statali. Quando è stata creata la commissione “incaricata di studiare le pratiche di quei compagni che dovevano restare a disposizione”, racconta Gloria, nella sua impresa sono cominciate le scommesse. Nessuno si sentiva sicuro. Persino coloro che di solito gonfiavano il petto, orgogliosi per aver partecipato a battaglie nella giungla africana, camminavano preoccupati e a testa bassa per i corridoi. Non era un merito sufficiente aver gridato offese negli atti di ripudio organizzati periodicamente contro le Dame in Bianco. Non bastavano neppure i vecchi diplomi e le medaglie che provavano la fedeltà al regime. Adesso quel che importava erano gli interessi dell’impresa e soprattutto l’“idoneità” (di nuovo il gergo ufficiale).

È crollato il mondo a una donna come Gloria - che ha passato la vita alzandosi alle sei del mattino, facendo colazione con caffè senza latte, pane con aglio e olio, rientrando alle cinque di sera, cenando con riso, fagioli e poco altro, addormentandosi davanti alla telenovela di turno - quando un tipo dalla voce grave le ha detto che a partire da una certa data sarà considerata “disponibile”. Nella solitudine della sua abitazione ha pianto desolata. Senza tante storie e senza fare drammi. Ha 49 anni e deve affrontare una realtà alla quale non era preparata. Il suo salario mensile era di 450 pesos, in più aveva un incentivo di 27,50 in moneta convertibile. Inoltre, ogni giorno, le davano una merenda e una bibita da un litro che vendeva a 45 pesos, guadagnando 225 pesos extra per settimana. Divorziata da diversi anni, Gloria ha mantenuto da sola sua figlia, cosa abituale nella realtà cubana. Non ha rubato mai niente, non ha falsificato cifre o conti bancari. Ma l’impresa è stata categorica. Non è servito neppure fare ricorso. Il verdetto: una mese di stipendio e la possibilità di lavorare in un ufficio a molti chilometri da casa sua, senza trasporto pubblico, con un salario di 264 pesos e nessun incentivo pagato in divisa.

Gloria ha fatto due conti. Se avesse accettato avrebbe perso in un colpo solo 186 pesos e 27 cuc (pesos convertibili, che valgono ventitré volte un peso cubano, ndt). Per lei non è poca cosa. Inoltre, avrebbe dovuto perdere tre ore al giorno in viaggi di andata e ritorno a bordo di un affollato autobus urbano. Che fare? Non aveva molte alternative. Poteva dare ripetizioni di matematica ai bambini della primaria, tenere la contabilità a qualche lavoratore privato, oppure mettersi a guardare soap opera a ripetizione e attendere che tutto andasse a fondo.

Per il momento, Gloria non vuol pensare al futuro. Comincerà a lavorare nell’ufficio lontano da casa nel mese di agosto. Non sa ancora come riuscirà a ottenere legalmente il denaro extra. Vedrà a tempo debito. Una buona contabile più essere utile per nascondere le ruberie dei burocrati corrotti. Ma il padre operaio e la madre sarta l’hanno educata a seguire regole di onestà e moralità. Valori che Gloria non vuole abbandonare, nonostante siano diventati un peso. Gloria deve vivere in una società che adesso non le garantisce più nulla. Deve soltanto applaudire. Una cosa le è chiara: non vuole sentir parlare più dei fratelli Castro e della loro rivoluzione. Sono loro i colpevoli della sua vita grigia, del caffè senza latte, del suo pane condito con aglio e olio.

 

Iván García

(da Diario de Cuba, 2 luglio 2012)

Traduzione di Gordiano Lupi


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