In una grigia serata del 2010, Sonia Garro mi raccontava il progetto di creare una struttura per i bambini poveri che vivevano nel quartiere Los Quemados, situato nel municipio avanero di Marianao.
Ricordava che mentre stava seduta alla sua macchina da cucire nordamericana anni Cinquanta, le capitava spesso di assistere a incidenti subiti da bambini che giocavano per strada, a causa della negligenza dei genitori. Dal porticato di casa sua, durante la notte, vedeva adolescenti prostituirsi per pochi pesos o in cambio di oggetti di poco valore. In quel periodo, Sonia lavorava in un policlinico come tecnico di laboratorio. In pochi mesi prese una decisione che le avrebbe cambiato la vita. Creò nel suo quartiere un centro indipendente per bambini che provenivano da famiglie povere. Non era necessaria alcuna affiliazione politica. L’idea era che i minori non utilizzassero il tempo libero giocando in maniera pericolosa per strada. Il progetto crebbe. La casa di Sonia contava molti frequentatori, quando i ragazzini superarono le 20 unità, lei pensò di aprire altre succursali nei quartieri marginali di Pogolotti e Palo Cagao. Sonia Garro non avrebbe mai pensato di diventare oggetto delle attenzioni dei servizi speciali della polizia. E invece ai tipi duri dell’intelligence il suo lavoro non piaceva per niente. Fu così che cominciarono a organizzare meeting di ripudio contro di lei nella sua casa situata in Avenida 47, all’incrocio tra 116 e 118. Tutti sappiamo che cosa sono i meeting di ripudio. Veri e propri linciaggi verbali, a base di offese, ma anche bastoni e catene per colpire, un gruppo di combattenti in pensione chiamati a tirare pietre e pomodori.
Sonia vide fallire il progetto di creare uno spazio dove offrire svago a bambini e adolescenti, ma decise di puntare più in alto. Insieme ad altre donne, come le Dame di Appoggio e le Dame in Bianco, cominciò a uscire per protestare nelle strade del centro cittadino. I motivi erano i più disparati. Ricordare il dissidente Orlando Zapata, ma anche gridare a squarciagola l’esigenza di avere libertà e rispetto dei diritti umani.
Fu la sua scommessa personale. Sono proprio le strade e le attività pubbliche, il gran timore del governo di Raúl Castro, che utilizza tutte le armi del suo arsenale per esercitare il controllo. Sonia è stata bastonata spesso dagli agenti della polizia, fino a quando un giorno gli alti ufficiali della Sicurezza di Stato le hanno fatto sapere che non avrebbero sopportato una sua nuova protesta di piazza. Ed è stato proprio così. Nel marzo scorso, Sonia e il marito Ramón Alejandro Muñoz sono stati arrestati, una settimana prima della visita del Papa, al termine di una spettacolare operazione di polizia condotta da forze antisommossa. Adesso Sonia attende la sentenza nella prigione femminile di massima sicurezza conosciuta come Manto Negro. Potrebbe essere condannata a scontare molti anni di reclusione, perché le accuse governative parlano di “tentato omicidio” e “disordine pubblico”. Sonia non sa perché è accusata di “tentato omicidio”, visto che non ha mai pensato di uccidere nessuno.
Sonia Garro ogni tanto mi fa arrivare alcuni appunti dal carcere. In una lettera scritta sopra un pezzo di carta dice: «Da quando sono prigioniera mi è stato negato ogni contatto con mio marito. Le altre donne, che hanno i mariti in carcere, vengono portate al Combinado del Este perché possano vederli. A me hanno detto che non sono nell’elenco». In un’altra nota mi racconta che il 30 maggio ha subito un incidente mentre era a bordo di una camionetta della prigione. Ha avuto difficoltà a farsi curare.
Yamilé - la sorella di Sonia - ogni settimana le porta alimenti e il necessario per l’igiene personale. Fa lo stesso con il cognato. La Sicurezza di Stato ha fatto in modo che qualcuno irrompesse nella sua modesta abitazione di Marianao per svaligiarla.
Sonia Garro subisce rappresaglie da parte delle autorità e attende una sentenza reclusa in un carcere molto duro, dopo aver lasciato sola una figlia di 15 anni che crescerà senza l’affetto e l’educazione dei genitori. Il messaggio inviato dal Generale Raúl Castro ai dissidenti è chiaro e forte: ci sono limiti che non devono essere superati.
Nessuno sa con certezza quale sia il labile confine che separa il consentito da ciò che il Governo considera un delitto. Neppure Sonia Garro. Lei sa soltanto che è in prigione per aver reclamato i suoi diritti.
Iván García
(da Diario de Cuba, 28 giugno 2012)
Traduzione di Gordiano Lupi