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Fra naturalismo e fiaba: “Liliom” di Ferenc Molnár 
di Gabriella Rovagnati
Ferenc Molnár (foto del 1918)
Ferenc Molnár (foto del 1918) 
30 Giugno 2012
 

Berlino, 29 giugno 2012 – Quando Giacomo Puccini gli chiese di poter mettere in musica il suo dramma Liliom, lo scrittore ungherese Ferenc Molnár (Budapest 1878 – New York 1952) si rifiutò di cedergli i diritti. Temeva infatti che il testo con cui era finalmente arrivato al successo, sarebbe diventato in quel modo un'opera di Puccini e che il suo nome sarebbe di nuovo stato dimenticato.

Liliom, rappresentato per la prima volta Budapest nel 1909, è rimasto in effetti l'unico titolo al quale ancor oggi si lega il nome di Molnár, che con questo dramma popolare continua ad essere identificato. Nella sua città natale, per la verità, il testo fu stroncato da pubblico e critica. Al successo Molnár arrivò a Vienna nel 1913 grazie all'adattamento in tedesco che del suo dramma fece l'austriaco Alfred Polgar, sottotitolandolo “Vorstadtlegende in 7 Bildern und einem szenischen Prolog” [Leggenda di periferia in 7 quadri e un prologo]. Da allora la pièce si affermò anche a Berlino e fece poi il giro del mondo.

Il parco dei divertimenti di Budapest, diventa, nella versione di Polgar, il Prater, con il suo chiasso, i suoi baracconi, i suoi carrozzoni, le sue giostre. È qui che lavora Liliom, un piacione di periferia, sbruffone e prepotente, che la gente conosce con questo soprannome. Liliom lascia però il suo posto di imbonitore alle dipendenze di una giostraia, di cui è anche l'amante, per amore di Julie, un'ingenua camerierina che, squattrinato com'è, porta a vivere con sé nel retrobottega di un fotografo. Disoccupato e infantile, Liliom, invece di affrontare le proprie difficoltà e assumersene la responsabilità, diventa sempre più aggressivo e scarica con violenza sulla giovane moglie le proprie frustrazioni, benché le voglia bene e sia felice che lei stia per dargli un figlio.

Alla coppia di Julie e Liliom, sempre più vicina al baratro, si contrappone quella dell'amica Luise e del suo Wolf, che sono in apparenza l'incarnazione della felicità nel matrimonio borghese. Luise è stata più avveduta di Julie nella scelta del compagno, nel quale ha cercato soprattutto la sicurezza economica. Il sogno di questa seconda coppia è quello di risparmiare per costruirsi una casetta in campagna da riempire con tanti pargoletti. Alla fine del dramma, tuttavia, anche questo matrimonio si rivela una convivenza priva di reciproca partecipazione affettiva.

Julie è invece perdutamente innamorata del suo Liliom, sopporta tutti i suoi maltrattamenti e cerca in vano di salvarlo dall'influenza negativa di un amico scioperato e privo di scrupoli, che infine lo induce al crimine. Questo figuro prospetta infatti a Liliom la possibilità di risolvere tutti i suoi problemi economi assassinando un ricco industriale ebreo. Ma l'agguato al magnate fallisce e, prima di cadere nelle mani della polizia, Liliom trafigge se stesso con il coltello da cucina con cui avrebbe dovuto ammazzare la prevista vittima. Anche quando, in punto di morte, Liliom le confessa il misfatto, Julie, pur consapevole delle molte colpe del suo uomo, dichiara di amarlo.

A questo punto l'azione si sposta nell'aldilà, dove Liliom viene sottoposto al giudizio di un Dio-poliziotto che lo condanna a trascorrere 16 anni fra le fiamme dell'inferno. Trascorso questo periodo di pena, egli tornerà per una volta sulla terra per riconciliarsi con la compagna abbandonata e per incontrare la figlia, nata dopo la sua morte, che nel frattempo è un'adolescente. Ma neppure questa riabilitazione finale riesce a Liliom, incapace di scalfire, con il racconto della verità e con il suo pentimento, la figura paterna che la ragazzina ha del tutto idealizzato grazie ai racconti della madre. Quando il fantasma del padre le dà un violento schiaffo sulla mano, la ragazza ha la sensazione che le sia stato fatto un baciamano. Sorpresa, chiede spiegazioni alla madre che, fino alla fine, afferma che ci sono botte che non fanno male.

L'unica figura che si salva in questo dramma è la signora Hollunder, la proprietaria del misero alloggio di Julie e Liliom, instancabile nell'invitare alla ribellione la sua giovane inquilina, disposta a subire qualsiasi sopruso dall'uomo che ama.

Un testo amaro, quello di Molnár, che evidenzia la labilità sentimentale di persone che, non riuscendo a maturare, giustificano, nel loro infantilismo psicologico, la loro incapacità di prendere in mano la propria esistenza accanendosi contro gli innocenti che stanno loro intorno. Il dramma invita a riflettere sul comportamento delle numerose donne simili a Julie che – come purtroppo ci racconta anche oggi la cronaca quotidianamente – non sono in grado, per educazione, per vergogna o per fragilità personale, di reagire al violento strapotere dei tanti Liliom, che ancora si permettono analoghi eccessi nei confronti delle loro compagne.


 
 
 
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